DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Non ci interessa il grado di proletarizzazione dei controllori di volo spagnoli, protagonisti, ai primi di dicembre 2010, di alcuni giorni di duro scontro sindacale. Di certo, non c’è paragone tra le loro condizioni di privilegio sul piano normativo e salariale e quelle dei lavoratori migranti, presi a fucilate e arrestati quando varcano i confini spagnoli, braccati per le strade e additati come portatori di peste, né con lo stato dei lavoratori dell’industria e dei servizi, né con la grande  massa di proletari messi fuori dalle fabbriche. Non ci interessa il grado (altissimo) di corporativismo che distingue l’Unión Sindacal de Controladores Aéreos (Usca), (il sindacato autonomo che riunisce il 97% dell’intera categoria dei controllori di volo: circa 2400 lavoratori) da quello (indubbiamente minore) delle Comisiones obreras (Cc.oo) e dall’ Unión General de Trabajadores (Ugt), che tacendo sull’attacco militare portato nei confronti della vertenza dei controllori ne hanno preso distanza, temendo l’esempio di una lotta radicale.

Lo scontro con il governo, culminato nella “militarizzazione” dei controllori di volo attraverso la proclamazione dello stato d’allarme, durava da più di un anno e mezzo. A febbraio, per decreto legge, il monte ore annuale di volo veniva portato drasticamente da 1200 normali più 600 straordinarie a 1670 più 80, inclusi i permessi sindacali, le licenze e le assenze per stress, determinando, con la stroncatura delle ore di straordinario, una drastica riduzione salariale; la possibilità di andare in pensione a 52 anni con il massimo di pensione veniva abolita, mentre veniva istituita la subordinazione del settore al Ministero della Difesa e imposto l’obbligo di visita medica immediata per ragioni di salute. La condizione di privilegio di questa aristocrazia del lavoro farebbe andare in bestia qualunque metalmeccanico alla catena di montaggio (o alla più moderna produzione per isole), che deve contentarsi di salari da €1000 medi mensili, e a cui si chiede pure l’aumento delle ore di straordinario fino a 120 ore, l’abolizione delle pause, le 10 ore di lavoro  giornaliere...

Ma quel che è importa è il segnale lanciato all’intera classe operaia, non solo spagnola. Ciò che deve interessarci non è la “patente proletaria” dei controllori né il loro corporativismo. Nella lotta per la difesa delle condizioni di vita e di lavoro, ogni attacco portato ai lavoratori (e soprattutto quel tipo di attacco) è un monito per tutta la classe: la borghesia impone la propria Legge e il proprio Ordine contro i lavoratori. Per questo, la “militarizzazione” dei controllori di volo al fine di riprendere il controllo degli aeroporti, dopo il decreto di privatizzazione e a seguito dello sciopero improvviso, senza preavviso, selvaggio e di massa del 3 dicembre (“senza alcuna garanzia per il servizio minimo”), che ha provocato la paralisi completa del traffico aereo e la chiusura dello spazio aereo spagnolo, assume un carattere straordinario. Lo spettro della lotta di classe è apparso improvvisamente nel gelido inverno spagnolo, reso visibile da una super categoria del cielo, così come a Rosarno aveva preso consistenza ad opera di una sottocategoria della terra. E’ il metodo di lotta che le rende speciali: questa è la lezione che la nostra classe deve far propria indipendentemente dai due estremi della scala salariale. Nel mezzo non c’è ancora la classe, sia chiaro, ma un paludoso mondo del lavoro dove sguazzano organizzazioni sindacali corporative maggioritarie o di piccola taglia, al servizio delle imprese, dello Stato, della nazione, le quali si garantiscono grossi proventi spegnendo le lotte, spezzandole all’infinito nel tempo e nello spazio, assicurando così la pace sociale. Qui sta, ancora per poco, la maggior parte dei lavoratori qualificati e meglio pagati, che regge la conservazione sociale: ma fuori di qui la aspetta la maggior parte della classe sfruttata, trascinata alla lotta per ora ancora solo in momenti di eccezionale risveglio. Entrambe le parti hanno e avranno bisogno di un’organizzazione indipendente, di estesi comitati di lotta, retti da metodi e obiettivi di classe.

La crisi finanziaria, economica e sociale sta travolgendo ogni cosa e i drastici provvedimenti presi per decreto legge dall’idolo della sinistra spagnola e internazionale, Zapatero (diventato improvvisamente “ultraconservatore e antisociale”), mentre la disoccupazione dilaga (4,5 milioni di lavoratori: più del 20% della forza lavoro totale, il doppio della media europea), sono stati veri e propri inneschi, che hanno destato una ribellione significativa. I provvedimenti di privatizzazione per salvare la patria dallo sfacelo dovrebbero portare 27 miliardi di euro nelle casse del Tesoro per tamponare il buco del deficit in rapporto al debito pubblico e portarlo al famoso 3% europeo per via miracolistica. La sequenza degli effetti della crisi di sovrapproduzione che hanno investito prima la Grecia, poi l’Irlanda e oggi la Spagna, mascherati da attacchi speculativi, e che hanno visto le masse operaie entrare in azione, lasciano presagire eventi di più ampia portata, tuttavia ancora più confusi e contraddittori. Infatti, lo sciopero generale del 29 settembre dei principali sindacati spagnoli, con la partecipazione dell’Usca, dopo la “riforma del mercato del lavoro” di Zapatero, non ha portato a nulla e adesso il taglio, a partire da febbraio, dei 426 euro accordati come sussidio ai disoccupati di lunga durata e senza altra protezione sociale e l’aumento dell’età pensionabile da 65 a 67 anni sono destinati a rimettere sul terreno della lotta anche la parte più miserabile della classe.

Come ci aspettavamo, l‘occasione per rimestare nel torbido tra le file della classe si è presentata presto: l’istigazione al crumiraggio e alla divisione era nell’ombra e i media l’hanno colta al volo. E non deve meravigliare che, nei commenti della stampa italica “di sinistra”, subito sia rispuntato il vecchio slogan  che un tempo istigava gli insegnanti contro il “blocco degli scrutini”, inneggiando all’unità (conformista) della classe e alla “Costituzione repubblicana uscita dalla Resistenza”. Scriveva per esempio Il Manifesto del 5 dicembre: “La militarizzazione pone vecchi e irrisolti problemi sulle liceità e modalità di certi scioperi [...] è stato uno spettacolo brutto e penoso, mai visto prima nei 32 anni in cui è stata in vigore la Costituzione del 1978, che liberò la Spagna dagli orrori del franchismo”! In tutto questo nauseante gioco di parole, la democrazia, come stella cometa, scende dal cielo sulle torri di controllo ad annunciare, sotto la minaccia tangibile degli anfibi e dei fucili dei soldati, il diktat sociale ai controllori di volo che si rifiutano di lavorare. I richiami al licenziamento in tronco degli 11.345 controllori di volo da parte di Ronald Reagan nel 1980 e alla sconfitta degli scioperi dei minatori ad opera della Thatcher tre anni più tardi, sono più che ovvi; aggiungete la sconfitta alla Fiat e la manifestazione del fronte antioperaio a Torino in quello stesso 1980, per mettere tutto nel segno della punizione “giusta e severa” per aver osato infrangere l’Ordine borghese. La democrazia, la sovranità popolare, l’ordine sociale, il diritto, tutte le costituzioni, mascherano il fondamento militare della dittatura della borghesia. Questa deve essere la lezione che viene travasata nella realtà. Il tam tam borghese deve trasmettere non solo l’idea che è vano ribellarsi contro le forze predominanti del nemico di classe, ma anche il disprezzo per coloro che lottano.

Così come in Grecia (135 miliardi) e in Irlanda (85 miliardi), il cappio del credito “europeo” non può che avere una maggiore consistenza per mantenere a galla la bestia capitalista spagnola (si parla di 450 miliardi). Così come in Grecia e in Irlanda, i gioielli di famiglia, i grandi aeroporti di Madrid e di Barcellona per primi (per 14 miliardi), dovranno passare, da società statali, per il 49% al capitale privato, per riuscire a mettere insieme il capitale finanziario necessario a pagare lo stato d’indebitamento, premessa all’uscita dalla crisi.

Ora, se è vero che nel sistema capitalistico, il capitale mette in moto il processo produttivo, è anche vero che il denaro non è capitale: la merce e il denaro diventano capitale quando sono vivificati dalla forza lavoro. Non esiste capitale che non sia prodotto dal plusvalore e dalla sua accumulazione. La massa finanziaria è pura fuffa. La borghesia sa benissimo che senza sfruttamento della massa operaia non ci sarà ripresa; che senza centralizzazione e concentrazione del capitale e quindi senza chiusura di aziende e licenziamenti di massa per ottenere un rapporto organico maggiore tra forze materiali produttive e forza lavoro e quindi una maggiore produttività, è illusorio pensare a una ripresa. Per questo, la lotta di classe non può che estendersi.

E’ questa paura che improvvisamente si è materializzata: la paura dello sciopero ad oltranza senza limiti di tempo e di spazio di tutta la classe operaia. Così, in seduta straordinaria, il governo Zapatero ha proclamato lo stato d’allarme per 15 giorni, il minore degli “stati di emergenza” previsti dalla Costituzione democratica antifranchista (art.116: gli altri due sono lo stato d’eccezione e lo stato d‘assedio) in caso di “alterazione dell’ordine pubblico”, come questo della “paralisi dei servizi pubblici essenziali” (limiti costituzionali all’esercizio del diritto di sciopero e al conflitto collettivo), equiparata dunque a epidemie, contaminazioni, terremoti, inondazioni, incendi. Gli aeroporti dunque sono stati militarizzati e i controllori di volo precettati (i lavoratori vengono considerati in questo modo come personale militare e pertanto sono sottoposti agli ordini diretti dello Stato maggiore dell’aviazione militare), le camionette dell’esercito su comando delle alte gerarchie militari dell’aviazione e per ordine del Ministero degli Interni hanno bloccato le torri di controllo e i check-in e hanno intimato manu militari di riprendere il lavoro con immediato controllo dei documenti e denunce dei presenti. Provvedimenti immediati per chi non si presenterà al lavoro durante lo stato d’allarme: licenziamento in tronco, processo penale davanti a un tribunale militare per “delitto di disobbedienza e di sedizione”, riconosciuto nel codice penale militare della navigazione aerea, con pene che vanno fino a sei anni di carcere.

Il segnale è stato dunque mandato, il proletariato mondiale ne percepisca il pericolo: non per i soli controllori di volo è stato lanciato l’allarme, ma per l’intera classe proletaria.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2011)

 

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
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