DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

I termini e il significato dell’accordo

A fine luglio, diciannove mesi dopo la scadenza del precedente contratto e a soli cinque mesi dalla nuova scadenza biennale, sindacati e ARAN hanno apposto la firma definitiva al contratto della scuola. Tanto ritardo, che è ormai una regola nella stipula dei contratti pubblici, questa volta s’è reso… necessario per dar tempo al governo di verificare i risparmi stabiliti dalla Finanziaria: risparmi che, in base agli accordi con i sindacati, si dovevano aggiungere alle risorse destinate a coprire l’inflazione programmata. Così, il contratto ha assegnato agli insegnanti quanto era già stato stabilito dall’accordo del febbraio 2002 (recupero dell’inflazione programmata = 109 € lordi medi, che diventano 133 grazie ai “risparmi” calcolati dai contabili del Ministero).

Gli 80 € netti di aumento medio sono più di quanto i lavoratori si attendessero, con l’aria che tira (di questi tempi non si rispettano neppure contratti già firmati!), e tanto è bastato perché i sindacati presentassero una tale cuccagna come un “buon contratto(1). Il bel risultato di 24 € in più nello stipendio ha come immediata contropartita la riduzione di migliaia di posti derivanti dal licenziamento del personale inidoneo e dalla  riduzione del 6% dei bidelli. I “risparmi”, appunto.

 

Ma la vera sorpresa, e il motivo reale dell’aumento in busta paga, è stata invece la distribuzione “a pioggia” di quasi tutte le risorse. Infatti, un elemento su cui concordavano confederali e governo era che “una quota delle risorse finanziarie [andasse] all’incentivazione dell’efficienza del servizio e della produttività” (accordo del 4 febbraio 2002, art.2). Questa quota doveva essere “consistente” e si è invece ridotta a una minima percentuale degli aumenti. Non si tratta della conversione all’egualitarismo salariale da parte di soggetti che continuano a rigettarlo come fonte di “appiattimento” e di sprechi. I motivi veri sono stati altri: in primo luogo, il rinvio della definizione di una “carriera professionale dei docenti” che avrebbe convogliato gli aumenti differenziati alle nuove figure professionali.

 

Dunque gli aumenti uguali per tutti non devono trarre in inganno. La politica scolastica del governo e le piattaforme dei sindacati confederali condividono un aspetto centrale di politica del personale che il contratto affronta limitatamente agli amministrativi, ma che rimanda espressamente ad una contrattazione ad hoc.

 

Al di là delle modalità che verranno adottate (2), conta rilevare come l’introduzione di una “carriera professionale” sia funzionale a rafforzare una élite di supporto alla gestione degli istituti con privilegi più o meno sostanziosi, a innescare una forte competizione interna, a creare una molteplicità di figure con compiti e stipendi differenziati, a dequalificare una parte della categoria che verrà esclusa dai meccanismi di “valorizzazione della professionalità”. Va da sé che questo processo di selezione ha poco a che vedere con il “merito” e molto con la disposizione individuale ad accettare la logica della competizione e ad attivarsi per coglierne i vantaggi, e che l’obiettivo è di spezzare la compattezza della categoria e compromettere così ogni residua possibilità di difesa sindacale, in vista, nel prossimo futuro, di tagli occupazionali pesantissimi.

 

Come altre volte ci è capitato di osservare, c’è una sostanziale continuità tra i governi di centrosinistra e di centrodestra nella politica dei tagli e nell’assunzione di modelli aziendali di gestione e di rapporti contrattuali privatistici. La variante introdotta dal governo attuale è l’aperto favoritismo verso la scuola privata tout-court che fa gridare allo scandalo quanti non si sono accorti del processo di privatizzazione che percorre da oltre dieci anni la scuola statale, grazie soprattutto ai governi “di centro-sinistra”. Anche i sindacati confederali, che hanno dato un sostegno fondamentale a quel processo, oggi alzano la voce contro il tentativo berlusconiano di “demolire la scuola pubblica”: ma, guarda caso, firmano un accordo che costituisce un presupposto indispensabile per l’attuazione di una politica che produrrà profondi cambiamenti nel settore.

Per citare qualche dato, la finanziaria 2003 prevedeva la soppressione di 34000 cattedre e di oltre 27000 posti di amministrativi e ausiliari entro il 2005; ma questo è niente di fronte ai tagli drastici  che deriveranno dall’attuazione della legge di riforma del sistema scolastico (stime dei confederali parlano di 250.000 posti in meno!)

 

Con queste prospettive, un accordo che avesse concesso aumenti troppo evidentemente inferiori all’inflazione reale sarebbe stato poco opportuno, sia  per il governo, che intende attuare la sua politica scolastica senza troppi contrasti, sia  per i sindacati, per la conferma e il rafforzamento delle attuali relazioni sindacali. Entrambi avevano bisogno di un “buon contratto”, o almeno di qualcosa che potesse essere presentato come tale.

 

Ma questo “buon contratto” ha come contropartita la prospettiva di una forte riduzione di personale, dell’espulsione di migliaia di  precari, della precarizzazione di una parte dei docenti “di ruolo”, di fronte alla quale i sindacati oppongono solo una generica avversione alla riforma e una lamentazione senza sbocco sui suoi effetti.  Iniziative di lotta, mobilitazione… zero.

 

Essi si apprestano anzi a cogestire le eccedenze di personale attraverso l’apertura di numerosi “tavoli di contrattazione separata”. Uno tra questi, a riprova del fatto che si dà per scontata la creazione di esuberi, riguarderà la “mobilità territoriale, professionale e intercompartimentale” finalizzata al “riassorbimento delle eccedenze del personale”. Anche qui la questione del “come” è secondaria rispetto alla certezza che una parte più o meno ampia di lavoratori sarà posta di fronte al rischio reale di perdere il posto. Superati i corsi di riqualificazione o riconversione professionale, il lavoratore sarà tenuto infatti ad accettare il posto e la funzione che gli saranno assegnati, pena la messa in mobilità e la risoluzione del rapporto di lavoro (si può fin d’ora prevedere l’attivazione di un nuovo baraccone di corsi e corsetti, dove organismi diversi ed esperti di varia provenienza lucreranno tanto sulla piccola ambizione di quelli che aspirano ad una migliore qualifica quanto sulla pelle di lavoratori a rischio di licenziamento).

 

In definitiva, questo accordo non solo ha ratificato i tagli stabiliti nella finanziaria, non solo ha adottato la logica di scambio tra riduzione dell’occupazione e aumenti salariali, ma ha dato legittimazione anche ai tagli che deriveranno dalla riforma. Il governo ha infatti incassato l’impegno dei sindacati a collaborare alla gestione degli esuberi del personale.

 

I lavoratori della scuola si rassegnino: la risposta al rischio di licenziamento e alla precarizzazione non sarà lo sciopero, ma la “riconversione” professionale, la “riqualificazione”, la “mobilità”.

 

La “concertazione” più viva che mai

Nell’illustrare il corso delle trattative, i quattro maggiori sindacati hanno tenuto a far sapere che ci sarebbe stato un “contrasto duro” sulla questione delle relazioni sindacali. Pare che l’ARAN insistesse per una limitazione delle prerogative delle RSU nella contrattazione d’istituto e per un rafforzamento di quelle del dirigente, ma che alla fine la “ferma posizione unitaria” abbia portato addirittura a un ribaltamento di indirizzo e all’attribuzione alle RSU di un ruolo più importante.

 

L’ennesima riaffermazione della “concertazione” non ci sorprende affatto. Il rafforzamento della contrattazione d’istituto è un ulteriore passo verso la completa istituzionalizzazione del sindacato in una logica di cogestione della scuola-azienda. Tutti gli intenti proclamati dal governo di giungere a un ridimensionamento del ruolo del sindacato si svuotano di fronte ai grandi risultati pratici della concertazione, come ormai dieci anni di esperienza dimostrano ampiamente: mai il contenimento salariale è stato più efficace, mai la conflittualità è stata così bassa.


I sindacati accettano di “contrattare” all’interno delle compatibilità previste dalle leggi finanziarie. Scelgono cioè di non mettere in discussione la questione basilare delle “risorse” (massa salariale e occupazione) e nello stesso tempo insistono perché si moltiplichino le occasioni di contrattazione sulle materie più varie. La stessa legge-delega sulla flessibilità del mercato del lavoro contiene quaranta rimandi alla contrattazione a vari livelli. E’ evidente che nessuna delle due parti ha interesse a modificare l’attuale quadro di relazioni sindacali: il governo per controllare e pianificare la spesa (facendo pagare il conto solo ai lavoratori) e per attuare le sue politiche, il sindacato per rafforzare il ruolo istituzionale che le attuali relazioni sindacali gli assicurano.

 

Si comincia dunque  a capire perché è un “buon contratto” e per chi. Questa vicenda contrattuale è l’ennesima riprova del grado avanzato di integrazione dei maggiori sindacati, senza distinzioni, nei meccanismi della politica e dello Stato borghesi. Il fatto che CGIL, CISL e UIL abbiano condotto insieme le trattative a partire da una piattaforma comune e soprattutto i contenuti del contratto (ma ciò vale per i contratti di tutte le categorie) confermano la natura esteriore e contingente del “contrasto” sorto qualche tempo fa tra i confederali. Né la proclamazione di uno sciopero generale in novembre, né l’impegno sull’art. 18 e sui “diritti”, né la mancata firma al contratto separato dei metalmeccanici fanno della CGIL un sindacato più incline a una reale difesa degli operai, se non in un senso del tutto contingente e strumentale. Tutte queste iniziative, oltre che come appoggio ai partiti dell’opposizione parlamentare, sono state dettate della necessità di recuperare e rafforzare i consensi al sindacato attraverso un abile dosaggio di conflittualità e disponibilità al dialogo. Certi scioperi non si possono evitare, pena la perdita di credibilità di fronte ai lavoratori, ma per questi sindacati lo scopo ultimo è sempre il rafforzamento del loro peso nel ruolo di controparte istituzionale.

 

Sviluppi recenti (verso la normalizzazione?)

Le  elezioni di metà dicembre per il rinnovo delle RSU della scuola hanno segnato il netto successo della politica dei sindacati confederali che hanno riscosso un considerevole aumento di consensi (+8,29%) a spese soprattutto degli autonomi (SNALS e Gilda = - 7,50%). La parte del leone l’ha fatta la CGIL (+6,7%), il sindacato considerato più contrario al governo attuale e sponda della sinistra istituzionale. Di più: la notevole percentuale di votanti (80%) certifica l’assimilazione da parte della categoria del sistema di relazioni sindacali a livello di singola scuola e rafforza ulteriormente il carattere istituzionale e concertativo del sindacato. Gli autonomi perdono voti o perché ormai al carro dei confederali (SNALS) o perché privi di una salda struttura organizzativa e poco credibili come controparte istituzionale ( la Gilda ha perso la metà dei voti!). Piccolo, ma molto significativo, il successo dell’Associazione Nazionale Presidi (ANP), organizzazione ultracorporativa rappresentante gli interessi dei dirigenti e delle “alte professionalità della scuola”. Da notare che i dirigenti (ex presidi), in quanto controparte, non sono rappresentati nelle RSU; i rappresentanti conquistati da questo organismo (2%) sono dunque esponenti delle “alte professionalità”, cioè di docenti subordinati agli interessi dei capi d’Istituto. I sindacati “alternativi” sono andati male, senza eccezioni. Complessivamente hanno raccolto il 5%, contro il 7% delle precedenti elezioni. I Cobas hanno pagato la loro aperta adesione al movimento no-global e la confusione tra terreno politico e terreno sindacale che li contraddistingue; la CUB paga la scelta di scioperare da sola per distinguersi e di non aderire a scioperi dei confederali molto sentiti come quello generale di novembre. Nel complesso, tutti scontano il rafforzamento del sistema di relazioni sindacali che di fatto li condanna alla marginalità, escludendoli anche dal diritto di tenere assemblee in orario di servizio, ma al quale purtuttavia hanno scelto di partecipare.

 

Le elezioni ratificano anche la piena accettazione del contratto come “il migliore possibile” e della odiosa logica di scambio che gli è sottesa (meno occupazione per qualche euro in più). La finanziaria 2004 prevede un‘ulteriore riduzione occupazionale dell’1% che si somma ai tagli già deliberati per i due anni precedenti (21000) e per l’anno scolastico in corso (12500); dà attuazione alla riconversione di 7000 docenti in soprannumero, con la possibilità di messa in mobilità per 24 mesi a 750 € al mese. Le risorse economiche per il contratto (quello appena firmato è già in scadenza) sono fissate al 3,6% e sono in gran parte finanziate dai tagli.

 

Il quadro è di una desolante normalizzazione. La strada per tagli drastici e per il deterioramento delle condizioni di lavoro è spianata e al momento non si vedono forze che possano opporre una qualche resistenza. Gran parte di questa categoria esprime valori e mentalità piccolo-borghesi, sapientemente alimentati dalla politica di “valorizzazione professionale” che è l’altra faccia della dequalificazione di interi settori minacciati di precarizzazione. Quando la dura realtà si farà manifesta, sapranno i lavoratori della scuola imboccare l’unica via percorribile, quella presa dai lavoratori dei trasporti?


Note

1)  Va ricordato che lavoratori avrebbero potuto ricevere una parte consistente degli aumenti già a sei mesi dalla scadenza contrattuale, se solo i sindacati avessero richiesto il recupero automatico dell’inflazione programmata previsto, nel caso del protrarsi della vacanza contrattuale, dagli accordi di luglio del ’93; ma se così fosse stato gli aumenti sarebbero apparsi nella loro reale consistenza e sarebbe stato più difficile presentarli come una significativa conquista sindacale.


2)  Il progetto di creare diverse fasce retributive e funzioni ha visto un paio d’anni or sono un maldestro tentativo di applicazione con il famoso “concorsone”, partorito dalla fantasia dello staff dell’allora ministro Berlinguer, che avrebbe consentito ai “promossi” di accedere a una retribuzione maggiore. La vicenda è rimasta indigesta ai sindacati confederali che spalleggiavano il governo e furono scavalcati dal successo di uno sciopero che bocciò senza appello l’idea. Oggi, tra le tante belle idee che fioriscono per stabilire modalità e meccanismi di una “carriera professionale”, oltre alla scontata partecipazione a corsi e corsetti “qualificanti”, è significativo che sia ipotizzata la disponibilità a un maggiore impegno orario rispetto a quello normale. Ciò incentiverebbe molti insegnanti ad accettare di  svolgere fino a 24 ore di lezione settimanali, evitando alle scuole l’assunzione di precari per coprire “pezzi” di orario vacanti e favorendo la tendenza ad un incremento orario medio, rafforzata anche da altre misure immediatamente operanti.

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2004)

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.