DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

AL DI LA’ DELLA SPONTANEITA’, VERSO IL PARTITO

Di fronte a una crisi economica del Capitalismo che non è mai cessata dal 2008, la borghesia internazionale ha aggravato dappertutto il peso del suo dominio sul proletariato. Gli Stati democratici come la Francia mostrano sempre più la natura dittatoriale del loro sistema, come si è visto quando il presidente Macron si è appoggiato sulla Costituzione per scavalcare allegramente i dibattiti dei cosiddetti « Rappresentanti del popolo » e imporre l’allungamento dell’età pensionabile, o quando la destra repubblicana ha concesso il suo sostegno al ministro degli Interni Darmanin, incoraggiandolo a inasprire il suo progetto di legge anti-immigrati , uniformandosi in questo modo alla politica sciovinista di tutta l’Europa. D’altronde, in questa democrazia autoritaria l’estrema destra è sempre pronta a proporre i suoi servizi in caso di bisogno: così, i populisti tipo Le Pen (figlia) si fanno sempre più sentire, dopo essere rimasti abilmente silenziosi durante tutto il lungo periodo della battaglia contro la Riforma delle pensioni.

Il proletariato invece non ha cessato di battersi contro la stangata governativa, con manifestazioni convocate o meno dai sindacati ma affollate e vivaci, nonostante il carattere di quelle organizzazioni ossessionate dall’amore delle negoziazioni e della pace sociale. Si sono fatti notare scioperi con tentativi di generalizzazione e creazione di nuove, piccole ma interessanti organizzazioni come quelle dei lavoratori più oppressi, gli immigrati « senza-carte » e i netturbini. Grandi o più piccole, le « manifs » hanno in parte compiuto la loro funzione : non solo protestare,  ma riunire i lavoratori, dare loro gioia e coraggio, fierezza nel ritrovarsi « tous ensemble » ad alzare il capo e mettersi « debout » (in piedi), come dicevano gli slogan. E questa volta Parigi non è rimasta sola: in provincia, città anche medie e piccole hanno visto abitanti anche non politicizzati scendere per la prima volta in piazza: tanto grande è la forza dell’esempio e del numero!

Ma allora a che cosa è approdato questo bel movimento? Prima di tutto bisogna pur notare che, subito dopo l’acme del Primo Maggio, per il quale i sindacati avevano promesso una « mobilitazione senza precedenti », il movimento è caduto, almeno apparentemente, in una debilitante immobilità. Mentre le direzioni sindacali si chiudevano nel silenzio, i lavoratori e i loro solidali non hanno avuto la forza di continuare la battaglia senza essere stati convocati. La « gente normale », che aveva incominciato a muoversi, si è improvvisamente fermata, impaurita dall’impresa di terrorizzazione da parte dei media e dalla tenacia del governo. Non esiste uno sbocco politico visibile: gli « estremisti » propongono solo di cambiare governo (« A la retraite Macron et son monde!»: in pensione Macron e il suo mondo!). E intanto la Riforma delle pensioni è stata confermata.

Questa situazione non sorprende: anzi, ricorda esempi ben noti del passato. Gli esponenti del Sessantotto, che proclamavano  « Elections pièges à cons ! » [Elezioni, trappole per i coglioni !] o scandivano « Ce n’est qu’un début, continuons le combat ! » [Non è che l’inizio, continuiamo la lotta!], si ritrovano oggi membri, anzi dirigenti, degli apparati dello Stato borghese francese,  o anche delle istanze governative europee.

Naturalmente, la « Vecchia Talpa » della storia continua a scavare lo stesso, approfittando di tutte le situazioni, alte o apparentemente basse. I movimenti di oggi mancano per il momento di un vero sbocco politico, ma i nuovi e ingenui manifestanti dovranno imparare nel corso delle lotte, anche se non automaticamente, e anche se dapprima molto minoritari, a non credere più nella democrazia (dimostratasi per quello che è: una dittatura accanita del Capitale) e neppure nei sedicenti amici dei lavoratori, per quanto travestiti da sinistri ed estremisti. Finché durerà il Capitalismo, i risultati immediati, anche vittoriosi, saranno sempre ripresi. Come dice il Manifesto del 1848: « il risultato più importante delle loro lotte sta nell’unione crescente dei lavoratori ». Questo significa imparare a vedere al di là del presente e a sentirsi una classe, nemica della classe borghese in tutte le sue varianti. La spontaneità proletaria è bella, ma per essere efficace dovrà accompagnarsi all’unione e all’organizzazione. Questo implica riconoscere e raggiungere il partito di classe, che non è prigioniero né del presente né del locale, perché si ricollega alle lezioni, alla teoria e alle battaglie del comunismo internazionale rivoluzionario. Su questa linea noi ci battiamo, con le nostre forze ancora piccole, ma decise e tenaci.

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14 LUGLIO 2023: PROLETARI DI TUTTI I PAESI UNITEVI!

Et voilà! Ancora una volta, s’è preteso di farci sfilare e plaudire agli armamenti super-sofisticati, destinati a massacrare i nostri fratelli e sorelle di altri paesi, in un prossimo massacro mondiale che il nostro Stato, come tutti gli altri Stati del mondo, sta preparando attivamente, a colpi di miliardi di crediti militari e propaganda sciovinista.

Ma la "Nazione" che qui vogliono farci celebrare ha da tempo cessato di meritare che si viva e si muoia per essa. Il 14 luglio 1789 fu infatti una data rivoluzionaria, poiché si trattava di abbattere l'Ancien Régime feudale, quello della monarchia che difendeva e garantiva il potere degli aristocratici, oppressori di tutto il popolo. Ma da allora il “popolo” si è diviso in classi. Dietro il tricolore, gli eserciti e le milizie borghesi sono stati schierati contro la classe nemica dei proletari, di coloro che per vivere sono costretti a vendere la propria forza-lavoro in cambio di salario. Non possedendo nulla, nemmeno una "patria", i proletari hanno da perdere solo le catene: e così, nel giugno 1848 (la “rivoluzione sporca”), si scontrarono con una borghesia che, al loro fianco, nella “rivoluzione pulita” di febbraio, aveva appena sconfitto la monarchia; e, infine, nel 1871, gli eserciti francese e prussiano si unirono per sconfiggere il nemico comune – il potere rivoluzionario della Comune di Parigi, la prima vera dittatura proletaria, che avrebbe ispirato quella, di dimensioni  più internazionali, del 1917 in Russia.

Oggi, nella “dolce Francia”, il potere democratico borghese, con il suo arsenale di istituzioni elette che pretendono di rappresentarci, mostra sempre più il proprio volto odioso. Dopo l'assassinio da parte della polizia del giovane proletario Adama Traoré, soffocato dal « plaquage ventral » (“placcaggio ventrale”: ricordate George Floyd?) effettuato su di lui da tre gendarmi durante un fermo (una tecnica particolarmente barbara, che non ha nulla di eccezionale visto che oggi come oggi è insegnata nelle scuole di polizia), c'è stato quello di Nahel Merzouk, un ragazzo di diciassette anni ucciso a freddo e a bruciapelo durante un controllo di polizia; e, in questi giorni, nella manifestazione di protesta (proibita) che intendeva ricordare queste morti, il fratello di Adama è stato brutalmente aggredito dalla polizia, subendo, fra l'altro, un trauma cranico. Intanto, i sindacati di polizia marciano per chiedere sempre più riconoscimento e impunità...

All'"Unione Sacra" all'interno della "Nazione" tra i proletari e la classe nemica super-armata, (in Francia e altrove è lo stesso!), si contrapponga allora l'unione transfrontaliera dei lavoratori di tutti i paesi (che presuppone in primo luogo la solidarietà tra proletari “nazionali” e immigrati). Gli operai di Francia non hanno dimenticato Adama e Nahel. Meglio: non hanno dimenticato i "fucilieri senegalesi", mandati a combattere in prima linea nell’ultima guerra inter-imperialista, e poi, al loro ritorno, con il falso pretesto di una "ribellione", massacrati in massa dall'esercito francese, quando osarono reclamare, pacificamente, migliori condizioni e il pagamento dello stipendio (campo militare di Thiaroye, alla periferia di Dakar, nel dicembre 1944: almeno quattrocento morti!). A questo proposito, salutiamo l'iniziativa dei Comitati di Sostegno agli Immigrati, che a nome di "tutti i fucilieri di ieri e di oggi" hanno aggiunto un pizzico di sale internazionalista con l'ostinato slogan, ripetuto ancora una volta, "Abbasso la legge Darmanin!”, opponendosi così al minestrone borghese e nazionalista del 14 luglio. La solidarietà e l'unità al di là delle frontiere dei proletari di questo Paese (e non solo), siano un mezzo per acquisire la forza di opporsi a una prossima guerra mondiale, il cui fantasma già incombe con l'acuirsi delle tensioni internazionali: prima, rifiutando ogni solidarietà alle necessità economiche e politiche della “loro” borghesia; poi, facendo rivivere, quando sarà necessario, i gloriosi esempi di “disfattismo rivoluzionario” del passato.

Che torni a ispirarli la parola d’ordine del Manifesto del Partito Comunista del 1848, da allora troppo spesso dimenticata: I PROLETARI NON HANNO PATRIA! PROLETARI DI TUTTI I PAESI UNITEVI!

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
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