DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

“La cosiddetta carestia di alloggi, di cui oggigiorno si fa un così gran discorrere sulla stampa, non sta nel fatto che la classe operaia viva per lo più in abitazioni scadenti, strapiene e malsane. Questa carestia non è qualcosa che sia peculiare del presente; non è neppure una delle pene che siano peculiari del proletariato moderno e lo distinguono da tutte le classi oppresse d'altri tempi: al contrario, ha colpito in misura abbastanza uniforme tutte le classi oppresse d'ogni tempo. Per mettere fine a questa penuria di abitazioni, non vi è che un mezzo: eliminare lo sfruttamento e l'oppressione della classe lavoratrice da parte della classe dominante. Quel che oggi s'intende per crisi degli alloggi non è che un particolare acutizzarsi delle già cattive condizioni abitative dei lavoratori, provocato dall'improvviso afflusso demografico verso le grandi città: un enorme aumento dei canoni d'affitto, un ancor più pronunciato pigiarsi di inquilini in ogni singolo caseggiato, e per taluni l'impossibilità di trovare un alloggio qualsiasi. E questa penuria di abitazioni fa parlare tanto di sé per la sola ragione che non è limitata alla classe operaia, ma colpisce altresì la piccola borghesia.

“La scarsezza di alloggi di cui soffrono i lavoratori e una parte dei piccoli borghesi delle nostre città moderne è uno degli inconvenienti minori, secondari, che derivano dall'odierno modo di produzione capitalistico. Non è affatto una conseguenza diretta dello sfruttamento del lavoratore in quanto lavoratore da parte dei capitalisti. Questo sfruttamento è il male radicale, che la rivoluzione sociale intende eliminare eliminando il sistema capitalistico di produzione. Ma la pietra angolare di quest'ultimo è il fatto per cui il nostro attuale ordinamento sociale mette i capitalisti in condizione di comperare la forza lavoro dell'operaio al suo valore, e di ricavarne però più del suo valore, facendo lavorare l'operaio più a lungo di quanto non sia necessario per riprodurre il prezzo pagato per la forza lavoro. Il plusvalore prodotto in tal modo viene ripartito nell'ambito dell'intera classe dei capitalisti e dei proprietari, è inoltre tra i loro servi prezzolati, dal Papa e dall'imperatore fino all'ultima guardia notturna e più in giù ancora. Come si effettui questa ripartizione non ci interessa in questa sede; una cosa è certa: tutti coloro che non lavorano possono vivere, appunto, solo dei ritagli di questo plusvalore, che affluisce loro in un modo o nell'altro (cfr. Marx, Il Capitale, la dove si parla di questo per là prima volta)”.

(da F. Engels, La questione delle abitazioni. Parte Prima, 1887)

Dopo che, ai primi di maggio, una studentessa ha piantato una tenda davanti al Politecnico di Milano per protestare contro il “caro affitti” per gli studenti, il “movimento” è dilagato e naturalmente stampa, esperti, politici, opinion makers di ogni risma, non hanno perso l’occasione per montare la solita campagna retorica, finalizzata a creare ogni volta “nuovi soggetti politici” da blandire, gonfiare, accarezzare, e soprattutto istituzionalizzare – vale a dire, circoscrivere entro limiti ben precisi, trasformando il “problema” in un’ennesima occasione per creare serbatoi di possibili votanti e nuove leve per la politica istituzionale (ricordate il “movimento delle sardine”?).

Che il “problema” esista è innegabile, e dunque non stiamo a ripetere i dati che sono sotto gli occhi di tutti, relativi ad affitti cresciuti nel tempo fino a essere sicuramente mostruosi. Ma mostruosi lo sono non per i soli studenti, bensì per la grande maggioranza della popolazione delle città, piccole o grandi che siano: questo sì problema storico, e tipico del capitalismo (certo non dell’anno 2023!), aggravato se mai dal procedere di una crisi economica insolubile nel quadro di questo modo di produzione.

Agli studenti che in queste settimane stanno dimostrando in maniera colorita e provocatoria, noi diciamo: è giusto e necessario battersi per migliorare le proprie condizioni di vita, ma cercate di uscire dalla dimensione settoriale in cui vi trovate e che inevitabilmente conferisce alla vostra agitazione un carattere ultra-corporativo. Collegatevi invece al più ampio (seppure ancora fragile, minoritario e segmentato) movimento per la casa, che vede in prima linea gli strati più disagiati ed esclusi della società: gli immigrati, i disoccupati, le madri sole con figli a carico, i precari, ogni tipo di lavoratore a basso reddito – tutti settori di quella composita classe sociale che per vivere e sopravvivere deve vendere la propria forza lavoro (fisica e psichica). Quella classe proletaria che i mille sociologi prezzolati dal Capitale cercano di negare, cambiandone di volta in volta nome e funzione, e che, in Italia come altrove, incontra la violenta repressione da parte di quello stesso Stato cui voi vi rivolgete perché vi dia ascolto: sfratti a raffica, violenti sgomberi di case occupate, militarizzazione di interi quartieri, bastonate, arresti e condanne. Hanno bisogno di voi come voi avete bisogno di loro: la lotta deve essere comune, oppure è persa in partenza! Una situazione che non è certo caratteristica di oggi, ma che contraddistingue tutta la storia del rapporto conflittuale fra classe dominante e proletariato [1].

Al tempo stesso, deve farsi strada la consapevolezza che la “questione delle abitazioni”, come tante altre “questioni” che affliggono una società divisa in classi come la nostra (la “questione ambientale”, la “questione femminile”, la “questione del razzismo”, ecc.), non è risolvibile finché vige questo modo di produzione, poiché sono tutte connaturate a esso: solo con la sua distruzione sarà possibile arrivare a una società che non subordini più la sopravvivenza della stragrande maggioranza della popolazione alla legge della proprietà privata, della appropriazione privata della ricchezza prodotta dal lavoro sociale, del profitto, e a tutto ciò che ne discende.

Dunque, lottare sì (per davvero, però! e in collegamento con tutte le altre lotte e mobilitazioni sociali) per difendersi: ma come allenamento per attaccare.

D’altra parte, proprio Engels, dopo aver sottoposto a dura critica le posizioni del proudhoniano Mühlberger, concludeva il suo La questione delle abitazioni, citato sopra, con queste parole, da tenere bene a mente:

Ma di risolvere la cosiddetta questione delle abitazioni non mi passa neanche per la testa; altrettanto come non mi occupo dei dettagli della soluzione della questione alimentare, che è ancora più importante. Mi ritengo soddisfatto se riesco a dimostrare che la produzione della nostra società di oggi [1887!!! – NdR] è sufficiente a fornire di che mangiare a tutti i membri della società, e che ci sono abbastanza case da fornire per il momento ricovero spazioso e sano a tutte le masse lavoratrici. Speculare su fatti come il modo in cui la società futura regolerà la distribuzione dei viveri e delle abitazioni porta di filato all'utopia. Possiamo al massimo stabilire, in base all'esame delle condizioni fondamentali dei vari modi di produzione che si sono via via susseguiti, che con la caduta della produzione capitalistica si renderanno impossibili certe forme di appropriazione caratteristiche delle società che si sono via via susseguite. Anche le misure transitorie dovranno soprattutto prendere lo spunto dalle circostanze del momento; saranno sostanzialmente diverse nei paesi in cui prevale la piccola proprietà fondiaria e in quelli in cui predomina la grande proprietà, eccetera. Dove si arriva quando si cerca di dare soluzioni isolate di queste cosiddette questioni pratiche – questione delle abitazioni, eccetera – lo dimostra meglio di ogni altro Mühlberger stesso, il quale prima spiega per 28 pagine che ‘la soluzione della questione delle abitazioni è tutta contenuta in una parola: riscatto’, e poi, quando lo si serra da presso, incomincia imbarazzato a balbettare che in realtà è molto dubbio se all'atto dell'effettiva presa di possesso delle case ‘il popolo lavoratore darà i suoi favori al riscatto’ o a una qualche altra forma di espropriazione”.

Niente utopia, dunque: ma lucida comprensione della necessità di abbattere il capitalismo. E, per farlo, di organizzarsi nel partito rivoluzionario.

                                                                                                                                             25/5/2023

[1] Cfr. i nostri articoli “Nella bufera della crisi, piani programmati di controllo e d’azione repressiva nei quartieri e nelle fabbriche”, Il programma comunista, n.6/2014, e “Milano: ‘Il più gande blitz degli ultimi anni’”, Il programma comunista, n.5/2015.

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