DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Secondo il senso comune (vale a dire, la semplificazione volgare dell’ideologia dominante, una delle armi che permettono alla borghesia di spacciarsi come “classe generale che provvede al bene comune”), l’imperialismo sarebbe la tendenza di uno Stato all’espansione economica e territoriale.

In genere, si usa per caratterizzare polemicamente l’espansionismo politico ed economico, con i relativi corollari diplomatici e militari, di questa o quella potenza che non sia quella nella quale ci si identifica, dove si è nati e dove si vive, di cui si è fedeli e felici cittadini.

“Il nostro popolo, il nostro paese, la nostra Patria, il nostro Stato”, proclama infatti ogni borghesia nazionale, quando allaccia rapporti economici, commerciali o industriali, o culturali, con un'altra “comunità nazionale”, nel quadro di una partnership egualitaria che, garantita e tutelata da Enti & Accordi internazionali, persegue solo il “benessere di tutti i popoli” chiamati in causa…

All’alba del nuovo millennio, per di più, la caratteristica “ottocentesca” del dominio coloniale, l’espansione con un controllo diretto di questo o quel territorio (l’organizzazione di un vero e proprio dominio territoriale, simile a quelli delle antiche classi dominanti che organizzavano lo sfruttamento del lavoro altrui per direttamente controllare e accentrare un plus-prodotto prevalentemente agropastorale) e la creazione di un impero vero e proprio sono ormai... “residui del passato”, nient’altre che l’oggetto di studi storici. Oggi, si dice, c’è stata la decolonizzazione e ogni “nazionalità” ha diritto a un suo Stato (salvo qualche marginale eccezione:la borghesia nazionale palestinese o quella saharawi o quella kurda…) e più che un controllo diretto è semmai utile costituire una trama di alleanze, di governi amici e fantocci (nominati secondo le regole della democrazia elettoralesca, oppure secondo quelle dei golpe e delle ribellioni militari), e soprattutto una rete di solide e ben posizionate basi militari, aeree e navali...

Anche nell’ambiente ideologico più raffinato (si fa per dire!), quello riformista socialisteggiante (che vuol annegare il proletariato nella palude del “popolo” e spesso starnazza di un “nemico in casa nostra”, con il malcelato desiderio di prenderne il posto), l’imperialismo è un concetto volutamente confuso, del quale sono misconosciute la natura, la storia, la dinamica, la funzione.

In questa voluta mancanza di precisione, l’imperialismo diventa banalmente una “volontà di potenza” (povero Federico Nietzsche! si capisce bene perché l’hanno beccato un giorno a Torino, disperato e deluso, a conversare amabilmente con un cavallo!) di qualche governo, governante e/o manipolo di governanti, avido e plutocrate, sostituibile con democratiche elezioni e contrastabile con una conseguente autodeterminazione e indipendenza e con la nazionalizzazione (o statizzazione, se si fa finta di aver letto Marx) delle risorse, e con l’immancabile pensiero ai “beni comuni”…

Ricordando qui solo di sfuggita che anche fior di militanti rivoluzionari come Rosa Luxemburg e Nicola Bucharin hanno affrontato gli aspetti economici e politici dell’imperialismo, riproponiamo le definizioni (forse fin troppo sintetiche) che Vladimiro Ulianov ha fornito ai proletari organizzati nel Partito Comunista come precisazioni della critica dell’economia politica, e quindi come armi e indicazioni di battaglia.

Dovrebbe innanzitutto essere inutile, ed è invece necessario, ricordare a chi ci legge che tutto il testo intitolato L’imperialismo, fase suprema del capitalismo va utilizzato, nel continuo e comune lavoro di restauro dell’organo rivoluzionario di classe – organo che, ci ostiniamo a ricordare e affermare, è unità e azione di organizzazione, tattica, programma, principi, teoria.

Lasciamo però adesso la parola a Vladimiro (1):

“L’imperialismo sorse dall’evoluzione e in diretta continuazione delle qualità fondamentali del capitalismo in generale. Ma il capitalismo divenne imperialismo capitalistico soltanto ad un determinato e assai alto grado del suo sviluppo, allorché alcune qualità fondamentali del capitalismo cominciarono a maturarsi nel loro opposto, quando pienamente si affermarono e si rilevarono i sintomi del trapasso a un più elevato ordinamento economico e sociale”.

E qui è bene fermarci un attimo, prima di continuare con la citazione. Questo passaggio, infatti va assimilato con estrema attenzione onde evitarne un utilizzo riformista e meccanico. Secondo la nostra critica dell’economia politica, la radice materiale del processo rivoluzionario, quella da cui scaturisce la necessità materiale della lotta di classe, germina dalla contraddizione tra le forze produttive e i rapporti di produzione in cui sono costrette. In questo senso, il “lavoro associato” che viene messo in moto dal modo di produzione capitalistico ed il suo “sviluppo” tecnico scientifico spingono concretamente verso una sempre meglio organizzabile socializzazione della produzione, ma i rapporti borghesi di produzione ostacolano (cioè, conservano brutalmente, mediante la dittatura più o meno democratica) ogni ulteriore, necessaria, socializzazione (quella della ripartizione, della distribuzione e del consumo della ricchezza prodotta). Il passaggio, storicamente inevitabile, da una fase di forme liberali liberistiche a una di forme totalitarie monopolistiche non costituisce un cambiamento sostanziale dell’organizzazione sociale borghese, ma solo una riorganizzazione delle forme di produzione. Quando in questo passaggio si sottolinea che “alcune qualità fondamentali del capitalismo cominciarono a maturarsi nel loro opposto, quando pienamente si affermarono e si rilevarono i sintomi del trapasso a un più elevato ordinamento economico e sociale”, non si fa altro che riaffermare, alla luce degli eventi, che il comunismo si radica nel movimento che cambia lo stato di cose esistente. Ma il movimento è tale solo perché viene guidato col metodo della lotta di classe portata fino in fondo: i sintomi del trapasso non sono il trapasso, il trapasso rimane sempre e comunque l’organizzazione del proletariato in classe dominante. Il comunismo non è il frutto della crisi del capitalismo imperialista, ma l’esito del processo rivoluzionario a cui è costretto il proletariato nei momenti in cui “nell’attuale regime sociale capitalista si sviluppa un sempre crescente contrasto fra le forze produttive e i rapporti di produzione, dando origine all’antitesi di interessi ed alla lotta di classe fra il proletariato e la borghesia dominante”. Per quel trapasso, non basta la spinta della necessità: è necessaria l’organizzazione nel partito che (organizzazione, tattica, programma, principi, teoria) prepara il proletariato al processo rivoluzionario, guida il proletariato nel processo rivoluzionario, dirige il proletariato nell’esercizio del suo domino del processo rivoluzionario che sradica divisione sociale del lavoro e proprietà privata delle forze produttive e della ricchezza prodotta.

Torniamo di nuovo a Vladimiro.

“In questo processo vi è di fondamentale, nei rapporti economici, la sostituzione dei monopoli capitalistici alla libera concorrenza.

“La libera concorrenza è l’elemento essenziale del capitalismo e della produzione mercantile in generale; il monopolio è il diretto contrapposto della libera concorrenza.

“Ma fu proprio quest’ultima che cominciò, sotto i nostri occhi, a trasformarsi in monopolio, creando la grande produzione, eliminando la piccola industria, sostituendo alle grandi fabbriche altre ancor più grandi, e spingendo tanto oltre la concentrazione della produzione e del capitale, che da essa sorgeva e sorge il monopolio, cioè i cartelli, i sindacati, i trust, fusi con il capitale di un piccolo gruppo, di una decina di banche che manovrano miliardi.

“Nello stesso tempo i monopoli, sorgendo dalla libera concorrenza, non la eliminano, ma coesistono, originando così una serie di aspre e improvvise contraddizioni, di attriti e conflitti.

“Il sistema dei monopoli è il passaggio del capitalismo a un ordinamento superiore dell’economia.

“Se si volesse dare la definizione più concisa possibile dell’imperialismo, si dovrebbe dire che l’imperialismo è lo stadio monopolistico del capitalismo.

“Tale definizione conterrebbe l’essenziale, giacché da un lato il capitale finanziario è il capitale bancario delle poche grandi banche monopolistiche fuso col capitale delle unioni monopolistiche industriali, e d’altro lato la ripartizione del mondo significa passaggio dalla politica coloniale, estendentesi senza ostacoli ai territori non ancora dominati da nessuna potenza capitalistica, alla politica coloniale del possesso monopolistico della superficie terrestre definitivamente ripartita.

“Ma tutte le definizioni troppo concise sono bensì comode, come quelle che compendiano l’essenziale del fenomeno in questione, ma si dimostrano tuttavia insufficienti, quando da esse debbono dedursi i tratti più essenziali del fenomeno da definire.

“Quindi noi – senza tuttavia dimenticare il valore convenzionale e relativo di tutte le definizioni, in ogni senso, del fenomeno in pieno sviluppo – dobbiamo dare una definizione dell’imperialismo che contenga i suoi cinque principali contrassegni, e cioè:

  • la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica;
  • la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo ‘capitale finanziario’, di un’oligarchia finanziaria;
  • la grande importanza acquistata dall’esportazione di capitale in confronto con l’esportazione di merci;
  • il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitali, che si ripartiscono il mondo;
  • la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.

“L’imperialismo è dunque il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo, in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l’esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è cominciata la ripartizione dell’intera superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalistici.

“Vedremo in seguito come dell’imperialismo possa e debba darsi una diversa definizione, quando non si considerino soltanto i concetti fondamentali puramente economici (ai quali si limita la riferita definizione), ma si tenga conto anche della posizione storica che questo stadio del capitalismo occupa rispetto al capitalismo in generale, oppure del rapporto che corre tra l’imperialismo e le due tendenze fondamentali del movimento operaio.

“Occorre subito rilevare come l’imperialismo, concepito in tal senso, rappresenti un particolare stadio di sviluppo del capitalismo.

“Per dare al lettore una rappresentazione più saldamente fondata dell’imperialismo, abbiamo appositamente cercato di citare quanto più giudizi si potevano di economisti borghesi, che si vedono costretti a riconoscere i fatti ineccepibili della nuovissima economia capitalistica.

“Allo stesso fine abbiamo prodotto dati statistici circostanziati, che mostrano fino a qual punto si sia accresciuto il capitale bancario, ecc. e in che cosa si sia manifestato il trapasso dalla quantità alla qualità, dal capitalismo altamente sviluppato all’imperialismo.

“Senza dubbio, tanto nella natura quanto nella società ogni limite è convenzionale e mobile, cosicché non avrebbe senso discutere, per esempio, sulla questione dell’anno e del decennio in cui l’imperialismo si sia ‘definitivamente’ costituito.

“Nondimeno bisogna discutere sulla definizione dell’imperialismo, innanzi tutto col maggior teorico marxista del periodo della cosiddetta II Internazionale, cioè dei venticinque anni dal 1889 al 1914, con Karl Kautsky.

“Già nel 1915, e perfino dal novembre 1914, Kautsky si schierò risolutamente contro il concetto fondamentale espresso nella nostra definizione, allorché dichiarò non doversi intendere per imperialismo una ‘fase’ o stadio dell’economia, bensì una politica, ben definita, una certa politica ‘preferita’ dal capitale finanziario, e non doversi ‘identificare’ l’imperialismo col ‘moderno capitalismo’, sostenendo che la questione della necessità dell’imperialismo per il capitalismo si riduce ad una ‘piatta tautologia’, allorché s’intendano sotto il nome di imperialismo ‘tutti i fenomeni del capitalismo moderno’ – i cartelli, i dazi protettivi, il dominio dei finanzieri e la politica coloniale – , giacché in tal caso ‘naturalmente l’imperialismo è, per il capitalismo, una necessità vitale’, ecc.

“Per esprimere con la massima esattezza il pensiero di Kautsky è meglio riportarne la definizione, la quale è diretta proprio contro la sostanza delle idee da noi svolte (giacché le obiezioni sollevate dai marxisti tedeschi, che da anni propugnavano idee simili, sono note da lungo tempo a Kautsky come obiezioni di una determinata corrente del marxismo).

“Ecco la definizione kautskiana: ‘L’imperialismo è il prodotto del capitalismo industriale, altamente sviluppato. Esso consiste nella tendenza di ciascuna nazione capitalistica industriale ad assoggettarsi e ad annettersi un sempre più vesto territorio agrario senza preoccuparsi delle nazioni che lo abitano’.

“Questa definizione non vale un’acca, poiché è unilaterale, arbitrariamente ed erroneamente connette tale questione soltanto col capitale industriale dei paesi che annettono altre nazioni, e altrettanto arbitrariamente ed erroneamente mette in rilievo l’annessione dei territori agrari.

“L’imperialismo è la tendenza alle annessioni: a questo si riduce la parte politica della definizione kautskiana. E’ inesatta, ma molto incompleta, poiché, politicamente, imperialismo significa, in generale, tendenza alla violenza e alla reazione.

“Ma qui noi ci preoccupiamo specialmente del lato economico della questione, incluso da Kautsky stesso nella sua definizione.

“Gli errori della definizione kautskiana saltano agli occhi.

“Per l’imperialismo non è caratteristico il capitale industriale, ma quello finanziario.

“Non per caso in Francia, in particolare, il rapido incremento del capitale finanziario, mentre il capitale industriale decadeva dal 1880 in poi, ha determinato un grande intensificarsi della politica annessionista (coloniale).

 “E’ caratteristica dell’imperialismo appunto la sua smania non soltanto di conquistare territori agrari, ma di metter mano anche su paesi fortemente industriali (bramosie della Germania sul Belgio, della Francia sulla Lorena), giacché in primo luogo il fatto che la terra è già spartita costringe, quando è in corso una nuova spartizione, ad allungare le mani su paesi di qualsiasi genere, e, in secondo luogo, per l’imperialismo è caratteristica la gara di alcune grandi potenze in lotta per l’egemonia, cioè la conquista di terre, diretta non tanto al proprio beneficio quanto ad indebolire l’avversario e a minare la sua egemonia […].

“Kautsky si riferisce specialmente – e replicatamente – agli inglesi, i quali avrebbero fissato il significato puramente politico del concetto di imperialismo appunto nel senso sostenuto dallo stesso Kautsky. “Apriamo l’Imperialismo dell’inglese Hobson, pubblicato nel 1902: ‘Il nuovo imperialismo si distingue dall’antico in primo luogo per il fatto di aver sostituito alle tendenze di un solo impero in continua espansione la teoria e la prassi di imperi gareggianti, ciascuno dei quali è mosso dagli stessi avidi desideri di espansione politica e di vantaggi commerciali; in secondo luogo per il dominio degli interessi finanziari, ossia degli interessi che si riferiscono al collocamento di capitale, sugli interessi commerciali’.

“Kautsky, come si vede, non ha alcun diritto di richiamarsi agli inglesi in generale, o almeno avrebbe dovuto chiamare in suo aiuto soltanto gli imperialisti inglesi più volgari o i diretti panegiristi dell’imperialismo. Kautsky, che pretende di continuare nella difesa del marxismo, di fatto fa un passo indietro in confronto del social-liberale Hobson, il quale molto più giustamente prende in considerazione due concrete peculiarità “storiche” (Kautsky invece, con la sua definizione, si beffa della concretezza storica!) del moderno imperialismo, e cioè: 1) la concorrenza di diversi imperialismi; 2) la prevalenza del finanziere sul commerciante.

“Mentre se si trattasse soprattutto della annessione di territori agricoli per opera di Stati industriali il commerciante avrebbe la funzione più importante.

“La definizione di Kautsky non soltanto è erronea e non marxista, ma serve di base a tutto un sistema di concezioni che sono in aperto contrasto con la teoria e la prassi marxista.

“Di ciò riparleremo in seguito.

 “E’ priva di qualunque serietà la disputa sollevata da Kautsky la quale ha per oggetto soltanto delle parole: se il recentissimo stadio del capitalismo debba denominarsi ‘imperialismo’ oppure ‘fase del capitalismo finanziario’.

“Comunque lo si voglia denominare, è lo stesso.

“L’essenziale è che Kautsky separa la politica dell’imperialismo dalla sua economia interpretando le annessioni come la politica ‘preferita’ del capitale finanziario, e contrapponendo ad essa un’altra politica borghese, senza annessioni, che sarebbe, secondo lui, possibile sulla stessa base del capitale finanziario.

“Si avrebbe che i monopoli nella vita economica sarebbero compatibili con una politica non monopolistica, senza violenza, non annessionista; che la ripartizione territoriale del mondo, ultimata appunto nell’epoca del capitale finanziario e costituente la base della originalità delle odierne forme di gara tra i maggiori Stati capitalistici, sarebbe compatibile con una politica non imperialista.

“In tal guisa si velano e si attutiscono i fondamentali contrasti che esistono in seno al recentissimo stadio del capitalismo, in luogo di svelarne la profondità.

“Invece del marxismo si ha del riformismo borghese.

“Kautsky polemizza contro i ragionamenti, altrettanto goffi quanto cinici, del panegirista tedesco dell’imperialismo, Cunow, il quale dice così: imperialismo è il moderno capitalismo; lo sviluppo del capitalismo è inevitabile e progressivo; dunque l’imperialismo è progressivo, e si deve strisciare servilmente  davanti ad esso ed esaltarlo. […] Kautsky ‘obietta’ a Cunow: no, l’imperialismo non è il capitalismo moderno, ma semplicemente una forma della politica del moderno capitalismo, e noi possiamo e dobbiamo combattere tale politica, dobbiamo combattere contro l’imperialismo, contro le annessioni, ecc.

“L’obiezione si presenta bene, e tuttavia essa non è che una più raffinata e coperta (e perciò più pericolosa) propaganda per la conciliazione con l’imperialismo, giacché una ‘lotta’ contro la politica dei trust e delle banche che non colpisca le basi economiche dei trust e delle banche si riduce ad un pacifismo e riformismo borghese condito di quieti quanto pii desideri.

“Un saltare a piè pari gli antagonismi esistenti, un dimenticare i più importanti contrasti, invece di svelarli in tutta la loro profondità; ecco la teoria di Kautsky, la quale non ha niente in comune col marxismo.

“Ed è comprensibile che una tal ‘teoria’ non può servire che a difendere l’accordo con i Cunow. ‘Dal punto di vista strettamente economico – scrive Kautsky – non può escludersi che il capitalismo attraverserà ancora una nuova fase: quella cioè dello spostamento della politica dei cartelli nella politica estera. Si avrebbe allora la fase del’ultraimperialismo’, cioè del superimperialismo, della unione degli imperialismi di tutto il mondo e non della guerra tra essi, la fase della fine della guerra in regime capitalista, la fase ‘dello sfruttamento collettivo del mondo ad opera del capitale finanziario internazionalmente coalizzato’.

“Dovremo preoccuparci più tardi di questa ‘teoria dell’ultraimperialismo’, per dimostrare esattamente fino a qual punto, come decisamente e irrimediabilmente, essa sia in contrasto con il marxismo, essa sia in contrasto con il marxismo.

“Per rimanere fedeli a tutta l’impostazione del presente saggio, anzitutto vogliamo esporre i precisi dati economici della questione.

“E’ possibile un ‘ultraimperialismo’ dal ‘punto di vista strettamente economico’, oppure esso non rappresenta che un’ultra-stupidità?

“Se con l’espressione ‘puramente economico’ s’intende una ‘pura’ astrazione, allora tutto ciò che si può dire si riduce alla tesi seguente: l’evoluzione si muove nella direzione dei monopoli, e quindi verso un unico monopolio mondiale, un unico trust mondiale.

“Ciò è indubitabilmente esatto, ma senza significato, come sarebbe l’affermazione che ‘l’evoluzione procede’ verso la produzione delle derrate alimentari nei laboratori.

“In questo senso la ‘teoria’ dell’ultraimperialismo è una sciocchezza come sarebbe quella dell’ultragricoltura.

“Se invece si parla delle condizioni ‘puramente economiche’ del capitale finanziario come epoca storicamente concreta, che coincide cogli inizi del secolo XX, allora si ottiene la migliore risposta alla morta astrazione dell’‘ultraimperialismo’ (la quale serve soltanto a distogliere l’attenzione dalla gravità delle contraddizioni esistenti), contrapponendole la concreta realtà economica dell’economia mondiale contemporanea.

“Le chiacchiere di Kautsky sull’ultraimperialismo favoriscono, tra l’altro, una idea profondamente falsa e atta soltanto a portare acqua al mulino degli apologeti dell’imperialismo, cioè la concezione secondo cui il dominio del capitale finanziario attutirebbe le sperequazioni e le contraddizioni in seno all’economia mondiale, mentre, in realtà, le acuisce”.

Dopo aver analiticamente descritto, utilizzando dati provenienti da un analista di parte borghese, la realtà economica e politica dei conflitti che, esplodendo in quel frangente storico, contraddicevano clamorosamente le teorizzazioni kautskiane, il testo di Vladimiro così prosegue:

“Si metta ora questa realtà, con la sue immense varietà di condizioni politiche ed economiche, con la sua sproporzione estrema tra la rapidità di sviluppo dei vari paesi, ecc., con la lotta furiosa tra gli Stati imperialisti, a raffronto con la stupida favola kautskiana del ‘pacifico’ ultraimperialismo!

“Questo non è forse il tentativo reazionario di un piccolo borghese impaurito per sfuggire alla tempestosa realtà?

“I cartelli internazionali, considerati da Kautsky come germi dell’ultraimperialismo (così come la produzione delle pastiglie nutritive nei laboratori può essere proclamata il germe dell’ultragricoltura!), non ci offrono dunque l’esempio della spartizione e nuova ripartizione del mondo, del passaggio dalla ripartizione pacifica alla non pacifica e viceversa?

“Forse il capitale finanziario americano e d’altra nazionalità, che ripartì già il mondo in via pacifica con la partecipazione della Germania – per esempio col sindacato internazionale delle rotaie e col trust internazionale della marina mercantile – non ripartisce ora di bel nuovo il mondo intero sulla base di nuovi rapporti di forza che vanno modificandosi in maniera nient’affatto pacifica?

“Il capitale finanziario e i trust acuiscono, non attenuano, le differenze nella rapidità di sviluppo dei diversi elementi dell’economia mondiale.

“Ma non appena i rapporti di forza sono modificati, in quale altro modo, in regime capitalistico, si possono risolvere i contrasti se non con la forza?”.

Già: in quale altro modo, in regime capitalistico, si possono risolvere i contrasti se non con la forza?

 

(1) La lunga citazione che segue è stata tratta dall’edizione de L’imperialismo, fase suprema del capitalismo (1916), pubblicata nel 1975 da Newton Compton Editori.

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