DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Da quando i fascisti hanno soppresso la libertà di stampa, i dirigenti confederali sono divenuti più canagliescamente anti-comunisti. È proprio di tutti i vili far vedere come non esista tra essi ed il perseguitato nessun rapporto nei momenti in cui più furibonda si scaglia l’ira del tiranno. I dirigenti confederali tengono in questi giorni di fronte ai comunisti un linguaggio insolitamente ingiurioso.

Tutto ciò non può sorprenderci. Quanto più difficile diventa la lotta contro le forze del capitale e la reazione si scatena violenta, tanto meglio appare la differenza fra i veri e i falsi amici del proletariato.

In quest’ora in cui la borghesia esce dalla legalità per ristabilire i suoi privilegi di classe, i dirigenti confederali non domandano altro che di inserire i sindacati nello Stato borghese. Questo programma non è diverso dal programma fascista. Ecco perché l’on. Baldesi avrebbe potuto accettare di fa parte del ministero Mussolini, né a questa collaborazione c’è nulla che possa opporsi. I dirigenti confederali non hanno ancora il coraggio di rinnegare la lotta di classe, ma ammettono già fin da ora che non vi può essere che una lotta di classe addormentata, secondo i limiti che la borghesia si compiace di assegnarle con le sue leggi. A questa volontà di addomesticamento delle organizzazioni operaie si deve certo anche il menefreghismo dei dirigenti confederali di fronte agli ultimi episodi della violenza fascista.

Alla vigilia del cosiddetto colpo di Stato, l’attuale presidente del Consiglio aveva dichiarato: “saremo clementi con gli inermi e spietati con gli armati”. Altri che oggi seggono al ministero con lui avevano aggiunto: “La nostra lotta è contro lo Stato, non contro gli operai” ed avevano chiesto la neutralità degli organi di questi.

I dirigenti confederali ci credettero. I comunisti invece avvertirono subito che sotto il colpo di Stato si nascondeva un compromesso delle frazioni borghesi avente per iscopo una maggiore oppressione della classe operaia. Infatti la lotta che doveva essere tra le forze del fascismo e dello Stato non ebbe per obiettivo che gli ultimi organismi del proletariato. Gli ufficiali dell’esercito e i funzionari dello Stato si misero a disposizione del fascismo, com’era naturale. Il maggior danno loro ebbe ancora classe operaia, di cui furono incendiate camere del lavoro, cooperative e sedi di giornali. I dirigenti confederali che si erano nuovamente illusi sulla capacità di resistenza alle forze fasciste da parte di alcune frazioni della borghesia, credettero di poter salvare le ultime posizioni della classe operaia, disinteressandosi completamente della lotta, la quale era soltanto apparentemente tra Stato e fascismo.

La classe operaia – essi pensavano – doveva mantenersi estranea al conflitto per non correre il rischio di perdere il suo carattere autonomo e soprattutto perché il conflitto non la interessava, essendo tra due frazioni della borghesia. Curiosa mentalità quella dei dirigenti confederali; da un lato essi pensano di poter collaborare con una parte della borghesia e di condurre i sindacati nell’orbita dello Stato, dall’altro lato si preoccupano dell’autonomia sindacale, quando per essi giunge il momento di schierarsi con la parte borghese con la quale ritengono di poter collaborare.

In ogni caso, i dirigenti confederali non hanno fatto altro che travisare lo spirito della proposta comunista.

Ciò che comunisti proponevano non era che la classe operaia si schierasse dall’una o dall’altra parte delle forze contendenti: essi erano anzi persuasi che non esisteva conflitto. I comunisti chiedevano che la confederazione del lavoro e gli altri organi operai organizzassero una difesa delle posizioni proletarie e si preparassero a fronteggiare le conseguenze del compromesso, con qual era da prevedere sarebbe finita la marcia su Roma. I dirigenti confederali ritengono pazzesche queste richieste dei comunisti. Ma essi non dicono come intendono tutelare i diritti della classe operaia, dargli una propria organizzazione e ad avere una propria stampa. Tutto ciò che essi sperano è che la borghesia si decida a rientrare nella legalità. La borghesia è pronta a questo, purché le organizzazioni operaie rinunzino alla lotta di classe. Quanto ai dirigenti confederali, essi vi hanno rinunziato già da un pezzo. Ma i lavoratori che ne pensano? Sta agli operai di impedire che i loro sindacati siano aggiogati al carro padronale, attraverso la collaborazione con lo stato borghese.

 

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