DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Nel mese di aprile 2016, si è consumata la frattura del (fu) sindacato di base più rappresentativo in Italia: l'“operazione USB” è naufragata ad appena 6 anni dal suo varo. Le origini e i limiti di questa sigla sindacale sono ben descritti nei due articoli apparsi su questo giornale nel 2008 e nel 2010, in cui sottolineavamo come la nascita di USB fosse stata un’impresa compiuta totalmente dall'alto, voluta in massima parte dalla dirigenza di quelle che erano allora le RdB 1.

I protagonisti

Lei: l’Unione Sindacale di Base, l'oggetto del desiderio, una sigla che per dimensioni, e in parte per composizione, ha destato le attenzioni di molti, che hanno seguito la sua evoluzione in questi anni, ognuno con i propri intenti.

I promotori di USB sono, fin dall'inizio, ceto politico (o lo sono diventati in breve tempo). L'area di appartenenza di una significativa parte di costoro è quella storica del riformismo chiacchierone italiano di origine “staliniana”: una variegata miscellanea di personaggi delle più svariate origini (sull’arco degli ultimi 40 anni), non ortodosse, non di stretta osservanza PCista. Andati coagulandosi nel tempo nel quadro “teorico” della nostalgia per un “socialismo reale” che non c’è più, essi hanno operato per anni dietro il paravento della nascita e dello svilupparsi delle RdB, dagli anni ’80, attraverso gli anni '90 e fino al 2010, penetrando con il tempo i gangli principali di RdB, grazie a un’indubbia capacità organizzativa. Sviluppando poi un parallelo lavoro “partitico”, sono arrivati, ai giorni nostri, a permeare, con Rossa, Asia e Rete dei comunisti (le ultime loro sigle di movimento e politiche), gran parte del sindacato – ma solo gran parte). Ovviamente, quest’intenso lavoro sarebbe stato vano se non avesse incrociato sulla propria strada la necessità di una parte dei lavoratori italiani di essere difesi sul piano economico e garantiti nelle pastoie legali dei rapporti industriali, fuori dai e in contrasto con i sindacati ufficiali. Nel tempo, tattiche e obbiettivi si sono andati trasformando e definendo più volte: come da manuale staliniano. In altre parole, non è stata la dirigenza neo-stalinista a creare i presupposti della nascita di RdB prima e dell’USB poi: essa si è limitata a guidare un processo naturale di aggregazione, fuori della Triplice sindacale, di particolari settori di lavoratori: inizialmente (e significativamente dal punto di vista numerico), i lavoratori statali o simili – in fin dei conti, i più permeabili a un inquadramento corporativo esaltante il “servizio pubblico” tipico del riformismo del defunto P“C”I.

Non meravigliatevi del tono polemico! Negli anni, questi “stalinisti 3.0” ci hanno deliziato con “nette” quanto opportunistiche posizioni politiche: ricordiamo, tra le altre, l'adesione convinta alla bufala del “socialismo del nuovo millennio” di venezuelana memoria (quanti convegni, quante vane parole, per nascondere un becero vetero-capitalismo estrattivo), e l’esortazione alle forze di “sinistra” ad appoggiare il massacratore di proletari siriano Assad in chiave… “antimperialista e antiamericana”! La loro dialettica non si spinge oltre il misero ragionamento che… “il nemico del mio nemico è mio amico”.

La nascita di USB è fin dall'inizio egemonizzata da quest’area politica. Dopo il convegno del 2008 a Milano, dove, come già riportammo, vi fu una profonda critica dei lavoratori ai vertici di tutte le sigle del sindacalismo di base, i dirigenti RdB credettero che il tempo fosse giunto: proposero allora a tutti i sindacati di base di fondersi. Passarono mesi di intense discussioni: naturalmente poche e quasi inesistenti sui posti di lavoro, molte in uffici ed ufficetti delle varie sigle sindacali nazionali. Sottolineiamo questo, non perché ci scandalizzino più di tanto le discussioni fra “avanguardie” o all’interno del “ceto politico”, ma perché tutta l'operazione della nascita di questo sindacato avvenne nella totale mancanza di un qualsiasi afflato di lotta di classe.

I mesi passeranno, ma l'obbiettivo non sarà raggiunto. Per la cronaca, e nella realtà, USB, il nuovo soggetto sindacale, sarà la somma algebrica di RdB e SdL (vecchi sindacalisti RdB usciti in precedenza e facenti riferimento alla Rifondazione Comunista di allora).

Malgrado ciò, l’USB ha costituito in questi sei anni il più grande sindacato di base in Italia. La sua dimensione e le molte illusioni che si nascondevano dentro il “mito” del sindacato unico, quando non del “sindacato di classe”, hanno fatto appunto di USB una sorta di oggetto del desiderio.

Loro: Gli scissionisti. Chi sono, perché rompono con USB e se ne escono? La risposta è tanto complessa quanto è variegata la compagine di coloro che sono usciti da USB, per andare a fondare il Sindacato Generale di Base (SGB). Come minimo comune denominatore di questi soggetti, possiamo indicare il rifiuto di spendere l'organizzazione sindacale sul piano politico e in avventure elettoralesche, volendo mantenere una distanza sufficiente dallo Stato a tutti i livelli, consci del fatto che il contrario avrebbe aperto insanabili contraddizioni nella gestione dei conflitti sui posti di lavoro. Insomma, SGB si pone come la posizione in USB, di matrice più strettamente sindacale, di coloro che, per motivi diversi (diversi quanto son diversi gli aderenti), vogliono continuare a fare solo sindacato.

Gli altri: Una terza componente. Mentre le due anime principali di questo dramma si struggevano nel travaglio del divorzio, altri si affacciavano nella discussione, introducendo un ulteriore punto di vista su tutta la faccenda. Ci riferiamo ai firmatari del documento “NO alla firma del Testo Unico sulla Rappresentanza Sindacale”. Questa posizione, certamente minoritaria, si appella a un preteso spirito originario che, dopo la firma del Testo Unico (TU) da parte della dirigenza USB, sarebbe andato completamente perduto. Per costoro, sembra esistere un prima e un dopo: il prima vede l’USB sulla strada di un sindacato realmente espressione autentica dei lavoratori, mentre il dopo (successivo alla firma del TU) trasforma l'organizzazione da sindacato tendenzialmente di classe a un apparato simile nei fatti e nei metodi ai sindacati tricolore. I firmatari s’inseriscono dunque nei travagli di USB, chiedendo con documenti e appelli che si torni alla fase precedente, che si torni sulla strada di un presunto sindacato di classe.

Il finale dell’intricata faccenda è già noto. USB si è lacerata, con una parte che si è “trasformata” in SGB; i firmatari del “NO” sono rimasti con il cerino in mano, incerti sul da farsi.

La fabula: La cronaca ha visto, fino ai primi giorni di maggio, una vorticosa girandola di comunicati, mail, documenti, carte bollate, diffide, intimidazioni, fisici urti, ricatti, retromarce, avanzamenti, appelli, firmatari, lacrime, parolacce… Insomma, tutto l'armamentario che ci si aspetterebbe in casi come questi: USB contro futuri SGB, USB contro NO, flebili alleanze e compenetrazioni fra SGB e NO, e di nuovo USB contro SGB e NO, poi parziale retromarcia dei NO, e deciso avanzamento di SGB con rottura finale, amletici dilemmi del NO… Finito tutto ciò, è tornata una quiete apparente, figlia più della naturale stanchezza che caratterizza ogni finale di battaglia, che di una reale definizione della faccenda. In altre parole, ne vedremo probabilmente ancora delle belle.

***

Tutti gli avvenimenti di questi mesi sono rimasti per lo più celati alla maggioranza dell'organizzazione, ovvero ai lavoratori con in tasca una tessera USB. Per un lungo periodo, prima delle ultime settimane primaverili, le ragioni che successivamente sono andate fornendo i motivi della scissione sono rimbalzate solo negli uffici delle “massime dirigenze”. Soltanto con la fine dell'anno, le contraddizioni scaturite al centro dell'organizzazione matureranno a tal punto da infrangere gli argini delle “segrete stanze” per riversarsi pubblicamente nel corpo dell'organizzazione: malgrado ciò, la maggioranza dei tesserati scopre solo ora, ad avvenuta scissione, gli accadimenti e le motivazioni che li hanno determinati. In altre parole, gli eventi sono il prodotto ultimo di un mero “scontro al vertice”. D'altronde, chi di “manovra” ferisce di “manovra” perisce.

Come nel 2010 tutto è stato calato dall'alto, così nel 2016 la storia s’è ripetuta, ma al contrario: dall'alto non si cala una fusione, ma una scissione. E, come la fusione nulla aveva a che fare con il sentimento di rivalsa e di lotta dei lavoratori intervenuti all'assise del teatro milanese, così la scissione nulla ha a che fare con le necessità concrete di organizzazione delle lotte e di una reale chiarificazione sulla necessità di un sindacato realmente classista.

Gli equivochi e le illusioni scaturiscono dal confondere la quantità con la qualità. USB, fin dalle primissime ore, differisce dalla Triplice solo per quantità, e tale quantità fa sì che materialmente l'organismo sindacale sia penetrabile alla base da aderenti non conformi ai dettami del centro (al contrario che nella Triplice). Da questo, si fa discendere, errando, la convinzione che il sindacato sia potenzialmente di classe. Al contrario, nella qualità (ovvero nel rappresentare i bisogni nazionali e borghesi), essa non ha mai deviato dal suo decennale sentiero: essere un sindacato compatibile. Sì conflittuale, sì di movimento, sì disposto perfino a qualche scontro di piazza ogni tanto: ma democratico, concertativo, amante della Costituzione! Basta soffermarsi sulla becera politica di voluto isolazionismo dalle altre sigle sindacali che USB fin dal primo giorno ha messo in campo: in questi 6 anni, USB ha continuato, in barba alla richiesta, avanzata dalla base, di unità fra i lavoratori e di unità nelle lotte, a perseguire una pratica di scioperi e iniziative isolate e in aperto contrasto e concorrenza con il resto della galassia dei sindacati di base, tentando di far passare questa ottusa politica di parrocchia come il non plus ultra della corretta attività sindacale.

Da questo punto di vista, la divisione non ha certo contribuito a far chiarezza tra i lavoratori. La divisione, infatti, non è avvenuta su una questione di classe tale da determinare una faglia che distingua con nettezza chi vuole condurre una difesa intransigente di classe (e perché no, a un dato momento, un contrattacco) da chi intende rimanere sotto i bragoni di “Pantalone”: entrambi i “nuovi” soggetti permangono sotto le braghe nazionali!

Ma allora i comunisti non devono lavorare in queste organizzazioni? Tutt’altro! I comunisti devono lavorare ovunque ci siano lavoratori. Ma non devono prendere lucciole per lanterne. La condizione in cui si ritrovano i pochi comunisti che operano all’interno delle organizzazioni sindacali è tale da non permetter loro di opporre (o imporre) nulla, nei numeri e nei rapporti di forza, alle dirigenze opportuniste di oggi. Questo quadro deve essere ben presente per chi, da posizioni sufficientemente corrette, si vuole cimentare con la vita reale di un organismo anche limitato, ma sufficientemente articolato come USB. L'agibilità ancora presente all'interno delle organizzazione sindacali di base può realisticamente essere sfruttata per tessere saldi rapporti con i lavoratori e i comunisti devono tendere a entrare in ogni lotta in ogni posto di lavoro, a seconda delle possibilità offerte dalle loro proprie forze, e a diffondere, insieme a una corretta prassi sindacale di difesa/offesa, la critica della società esistente, nella prospettiva della lotta per una società futura. La presenza nelle lotte sul territorio (e, quando possibile, la loro direzione) sono oggi più importanti e fondamentali delle schermaglie e dei diktat alle dirigenze opportuniste. Qualsiasi altra avventura risulterebbe velleitaria e alla fine o compromissoria o perdente.

Per noi tutto questo trambusto non rappresenta una questione nuova o di difficile comprensione. Il punto centrale rimane l'assenza di un concreto e consistente fronte di lotta condotto dai lavoratori. Finché la situazione nel nostro campo di classe registrerà mobilitazioni e lotte saltuarie (se non addirittura inesistenti!), i meschini balletti di burocrati di questa o quell'organizzazione non faranno che susseguirsi. E saremo, ahinoi!, costretti a sorbirci altre rappresentazioni melodrammatiche. Solo nel vivo svolgersi delle lotte, nel loro estendersi, generalizzarsi, radicalizzarsi, potrà avvenire un processo di distillazione, di separazione netta fra avanguardie e retroguardie, nel vivo della lotta. Solo quando questo processo avrà davvero preso piede, si scioglierà l'annoso problema del sindacato di classe. Solo a quel punto l'organizzazione sindacale creata ex novo o riconquistata, ma comunque riorganizzata sulla base di organismi territoriali unificanti tutte le lotte al di là di ogni interesse di categoria, sarà espressione materiale ed effettiva della classe e il criterio per la selezione della dirigenza sarà basato sulla capacità organizzativa, la dedizione alla causa del proletariato, il senso di appartenenza alla classe, la consapevolezza del sacrificio per la sua causa. Solo quando una parte sufficiente di lavoratori sarà spinta nel campo del comunismo rivoluzionario, solo allora si potrà parlare di sindacato di classe. Affrontare l'argomento prima è solo puro disquisire per il gusto di disquisire, aperto opportunismo e pericolosa illusione.

Oggi, si deve essere consapevoli che solo lavorando con i lavoratori, nelle lotte, in opposizione alle dirigenze opportuniste di ogni sigla sindacale, avvicineremo il giorno in cui la classe si riscuoterà dall’inerzia, dalla passività, dalla paura. Solo questo lavoro metodico di contatto con la classe prepara oggi e renderà possibile domani la reale congiunzione fra operai in lotta e avanguardie comuniste rivoluzionarie.

1 Cfr. “Corporazioni sindacali di regime e filiazioni di base alla prova della crisi economica - Assemblea dei delegati delle Confederazioni di base a Milano del 17/5”, Il programma comunista, n.4/2008; e “Usb e dintorni: congressi da sballo”, Il programma comunista, n. 5/2010.

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.