DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

21. Le prove del diavolo

Il nostro scettico, cinico, itterico avversario si china sul suo dossier e snocciola la sua documentazione.

Teste Inghilterra. Il proletariato di questo paese non ha fatto rivoluzioni dopo quella borghese, al tempo della quale non era una persona storica, e non fu visto dare una mano a decapitare il re. Sebbene dalle sue condizioni sia stata costruita la classica teoria dell'inevitabile rivoluzione di classe, non ha avuto e non ha partiti rivoluzionari. Quando nel '48 i marxisti inneggiano al moto cartista, non possono non ammettere che è una ribellione per una completa, conseguente rivoluzione borghese, per una "carta" più borghese.

Teste Francia. Il proletariato di questo campo si è più volte battuto con eccezionale vigore. Ma è sempre scattato dalla rivoluzione borghese, e quando ha rotto con la borghesia e questa lo ha fiaccato, è rimasto lungamente a terra con le reni rotte. 1797: Babeuf lotta per una esasperata uguaglianza: cade eroicamente ma nel vuoto: anche dal punto di vista marxista aveva torto. 1831: avviene lo stesso appena gli operai di Parigi osano pretendere di poter fare altro che cambiare la monarchia codina con quella borghese. 1848-49: idem con patate, ossia con borghesia a mani insanguinate fino al gomito, quando gli operai vogliono altro che repubblica borghese. Restano imbelli nel colpo di stato di Luigi Napoleone; lui, e non essi, mobilita la plebe. 1871: insorgono per risollevare l'onore nazionale, ma appena la loro avanguardia costituisce un governo di dittatura di classe e sono ancora una volta spazzati via, cadendo da eroi, non rialzano più la testa. La Francia non avrà partito rivoluzionario, né marxista, potente: al 1914 il proletariato affogherà nelle istanze scioviniste iperborghesi.

Teste Germania. La nascente classe operaia entrò in qualche modo in scena nel 1848-49 a fianco della borghesia, di cui non condivise una gloriosa vittoria ma una vana impotenza. Si organizzò poi in modo imponente col risultato di far divenire la Germania un paese capitalista, senza mai sollevarsi a fini propri che andassero oltre il suffragio universale o la caduta delle leggi eccezionali. Nel 1914 il socialismo tedesco fu gemello-nemico di quello francese. Dopo la disfatta Berlino tentò, con Carlo e Rosa[43], la sua Comune e il risultato fu lo stesso: eroismo, sgozzamento da parte della repubblica socialdemocratica. Venne Hitler a proletariato assente, cadde a proletariato assente, e al più al servizio di borghesie nemiche.

Teste Italia. Contumace per i troppi peccati di scimmiottamento del Risorgimento borghese, in cui più crassamente (malgrado il generoso comportamento nel dopoguerra I) è caduto con la liberazione partigiana[44]. La deposizione si dà per letta.

Teste America. Capitalismo a mille, rivoluzione e partito rivoluzionario a zero in tutte le epoche. Ed infatti non vi è stata rivoluzione borghese ed antifeudale che scaldasse il sangue ai lavoratori, né poteva tanto la guerra civile 1866 in cui, in fondo, due mezze borghesie si azzannavano tra loro.

Teste Russia. (Vivi rumori nell'aula, voci di ricusazione, di impugnativa di falsi). Questo proletariato aveva da inforcare il più possente destriero di rivoluzione antimedievale che mai i secoli di storia abbiano allenato. Quella borghesia che "doveva inforcar li suoi arcioni" era una cavallerizza da burla. Fu allora la classe operaia, che in lunghe attese vi si era addestrata, a fare la grande e tremenda cavalcata coi passi obbligati di guerre rivoluzionarie e uccisioni di monarchi, con la dittatura e il terrore, coi Marat e i Robespierre. Il mito aveva detto che dopo ciò il destriero della rivoluzione avrebbe saltato, lanciando fiamme dalle froge, l'altro tremendo ostacolo e iniziata la rivoluzione operaia sullo slancio magnifico che la storia gli aveva offerto; ma al suo balzo tutto l'occidente proletario doveva levarsi in piedi per la carica della morte al capitalismo. E questo oggi è in piedi. Due sono le conclusioni che vi restano, ci grida il diabolico contraddittore che abbiamo evocato:

Primo: per la sola via che la storia ammette, la rivoluzione di Marx ha vinto in Russia; riconoscete in essa la vostra economia, la vostra società, la figlia della vera, della Santa Rivoluzione.

Secondo: la seconda delle due rivoluzioni giace abbattuta. Il santo non è santo. La Russia è pieno capitalismo: non avrà più bisogno di rivoluzioni borghesi. Conforme alla conclusione della storia, una rivoluzione non vi esploderà più giammai. Il procuratore forcuto ha concluso. Il pubblico mormora che la nostra causa è perduta.

Ebbene no: nel seguito di questa nostra ricostruzione storica, rigetteremo la prima conclusione, perché in Russia non è potere proletario e socialismo. Ma rigetteremo pure la seconda. Ivi e dovunque, non essendo il marxismo un rigurgito di quarantottismo, ma un'autoctona energia rivoluzionaria, la morte del capitalismo borghese sarà morte violenta, rivoluzionaria, per ferro e per fuoco.

22. Consegna di Engels sulle cose russe

Avete ascoltato, nell'advocatus diaboli, un principe del foro storico. Vana sarebbe la speranza di rispondergli con un rigido e mistico enunciare cànoni di fede. Tagliare il cordone ombelicale che lega alla rivoluzione borghese la rivoluzione proletaria, perché questa viva da sola, non è operazione che si compia nella "coscienza" del partitante politico: la compie la storia, e dipendono dai luoghi e dai tempi la vitalità della figlia e la tempestiva morte della madre: che non riesca essa nel tentativo di Saturno, di mangiarsi lui i figli per evitar la successione.

Il nostro avversario, cui abbiamo fatto la concessione di una chiarezza da lui coi propri mezzi non raggiunta, e che attingere mai gli conviene, vuole farla alla Saturno, tagliare lui il cordone a tempo opportuno e fare il nodo dalla parte sua cantando il miserere all'esangue cadavere bambino della rivoluzione comunista. Gli risponderemo a dovere, e un giorno faremo il nodo dalla parte nostra; ma la soluzione non sarà quella di tagliare noi, dovunque, comunque e quandocumque (cioè in un momento qualsiasi), alla cieca. Il campo russo è un caso ormai cruciale di questo duro conflitto. Noi, che non pretendiamo di lavorare materiale originario, e costruire dalla base alla sommità un trattato da biblioteca, ma facciamo opera di parte avventandoci in tutte le direzioni, abbiamo iniziato il confronto con il riallineamento di quanto l'armamentario di partito contiene nella fase Marx-Engels, e siamo giunti, utilizzando questo arsenale, alla finale riserva di cospicue e ben conservate munizioni: lo scritto di Federico Engels su Cose sociali di Russia. Tale scritto risale al 1875 e fu preparato di intesa e in pieno accordo con Marx, come dimostra anche una celebre lettera, di poco successiva, redatta da quest’ultimo in risposta a quesiti russi. Engels lo pubblicò, come già detto, nel 1894 e sentì il bisogno di dotarlo di un Poscritto della più grande importanza.

Le risposte del marxismo alle domande sul futuro sono sempre alternative. Contengono un se. Se voi cani borghesi andrete all'inferno, sarà per via di dittatura e terrore, non di legalità e pace. Le certezze sono quelle negative: se il proletariato sarà tanto coglione da voler costruire il socialismo per via pacifica e costituzionale, allora sarà fregato. E così in tutti gli esempi, e in questo per noi famoso: la Russia abbrevierà il cammino al comunismo SE ci sarà la rivoluzione proletaria in Europa.

Allora non crediamo con fede inconcussa nella immancabile rivoluzione proletaria? Solito modo di porre la cosa! La diciamo in cento passi immancabile sulla base di una ipotesi comune all'avversario: che continui lo sviluppo delle forze produttive nelle forme ed entro l'involucro capitalista, che in tal caso dovrà scoppiare. Ma ogni previsione è condizionata. Tutti gli antichi oracoli si leggevano in due modi: e noi non pretenderemo mai ad oracoli. La profezia non è per il fesso. E per fesso non s'intende chi di cervello ebbe in retaggio poca razione, ma chi è inchiodato al determinismo di interessi di classe, e anche di classe di cui non è membro. Sciogliamo dunque, o Edipo, questo nuovo incapsulato vero!

Nel 1875 si era considerata possibile una rapida marcia al socialismo in Russia, su una chiara ipotesi storica: caduta del dispotismo zarista e caduta del capitalismo occidentale, non "sfasate", ma contemporanee.

Ai due dati tradizionali: funzione controrivoluzionaria dello Stato autocratico russo in Europa, sia per le rivoluzioni liberali che per quelle socialiste – imminenza di una rivoluzione liberale contro lo zarismo –, era stato aggiunto il terzo tema, che Engels pone allo studio: possibile saldatura in Russia tra sopravvivenze di comunismo primitivo e avvento del socialismo proletario moderno.

Al 1875 la saldatura appare ancora possibile sotto quel ripetuto SE. Al 1894 questa alternativa positiva appare meno probabile, per lo sviluppo del capitalismo (dichiarato pure inferno capitalista) in Russia. Engels lo afferma.

Oggi 1954[45] l'alternativa è scomparsa, perché ne è scomparsa la "condizione necessaria". Lo Stato zarista è stato distrutto e disintegrato totalmente. Gli Stati capitalistici sono saldamente al potere in tutto l'occidente.

Se avessimo accorciato o addirittura saltato il capitalismo, l’oracolo marxista sarebbe chiaramente in difetto. Non abbiamo accorciato un accidente. Europa, non Russia, in tutto difetto.

23. L' improba fatica

Con la prefazione del 1894[46], Federico Engels vuole quasi giustificare lo scarso apporto del marxismo classico alle questioni russe:

«L'ultimo articolo Soziales aus Russland (Cose sociali di Russia), uscito anch'esso nel 1875 come opuscolo a sé, non poteva assolutamente essere ristampato senza un poscritto più o meno esteso. La questione dell'avvenire della comunità rurale russa occupa più che mai tutti i russi che hanno a cuore lo sviluppo economico del loro paese. Fra i socialisti russi, la lettera da me citata di Marx ha ricevuto le più svariate interpretazioni. Ancora di recente mi è giunta da più parti la richiesta di esprimere il mio punto di vista su questa questione. lo mi sono a lungo schermito, perché so fin troppo bene come sia insufficiente la mia conoscenza delle particolarità delle condizioni economiche della Russia; come faccio ad approntare il terzo volume del Capitale e, nello stesso tempo, dedicarmi allo studio della letteratura veramente colossale in cui la vecchia Russia, come amava dire Marx, fa, prima di tirare l'ultimo respiro, il suo inventario?

«Ma insomma la ristampa di Soziales aus Russland è urgentemente richiesta, e ciò mi costringe, a completamento di quel vecchio articolo, a tirare alcune conclusioni dall'analisi storica comparata della situazione economica attuale della Russia. Queste, se non sono del tutto favorevoli a un grande avvenire della comunità russa, cercano però di avvalorare la tesi che il prossimo sfacelo della società capitalistica in Occidente metterà anche la Russia nella condizione di abbreviare sensibilmente il passaggio, che ormai si rende inevitabile, attraverso il capitalismo»[47]

Il risultato che qui l'autore anticipa si trova svolto a fondo nel poscritto 1894: per ora seguiremo lo scritto nella redazione del 1875. Engels, dopo aver concluso dalla stampa in opuscolo la parte personale della sua polemica di allora col russo Tkaciov, di tendenza bakuniniana, prende ovviamente le mosse dalla prima delle tesi marxiste sulla funzione politica della Russia in Europa.

Sia consentito ancora citare:

«Gli sviluppi della situazione russa rivestono un'importanza enorme per la classe operaia tedesca. L'odierno impero russo forma – come hanno dimostrato in modo evidente il 1848 e il 1849 – l'ultimo grande contrafforte della reazione nell'Europa occidentale. Avendo la Germania omesso di provocare un'insurrezione in Polonia e di colpire lo zar sul terreno della guerra nel 1848 (come fin dall'inizio aveva richiesto la Neue Rheinische Zeitung), questo stesso zar poté, nel 1849, schiacciare la rivoluzione ungherese spintasi fino alle porte di Vienna, erigersi a giudice supremo fra l'Austria, la Prussia e gli staterelli tedeschi a Varsavia nel 1850, e rimettere in funzione il vecchio Bundestag [oggi lo ha ristabilito l'America! La nostra teoria è che usciamo da un secolo che non ha cambiato nulla]. Ancora pochi giorni fa – sui primi di maggio 1875 – a Berlino, lo zar russo ha ricevuto, esattamente come venticinque anni or sono, l'omaggio dei suoi vassalli e ha dimostrato d'essere pur sempre l'arbitro dell'Europa»[48].

Qui si ripete il deciso teorema: «Nessuna rivoluzione può ottenere vittoria definitiva nell'Europa occidentale finché l'odierno Stato russo le sussiste accanto. Ma il vicino più immediato di questo è la Germania; sarà la Germania a sostenere il primo urto degli eserciti russi della reazione. Perciò la caduta dello Stato russo, il crollo dell'impero zarista, è una delle condizioni preliminari della vittoria definitiva del proletariato tedesco»[49].

L'aggettivo definitiva è stato posto da Engels pensando alla vittoria momentanea della Comune di Parigi. Dietro la terza repubblica [francese] erano i prussiani di Bismarck, dietro questi i cosacchi di Alessandro. Caduto nel 1917 lo stato russo, sorse la Comune di Berlino alla fine del 1918; il boia di allora, noto a noi, non lo poteva essere ad Engels: la degenerata socialdemocrazia traditrice. Il tagliatore di garretti di oggi è l'ondata dell'opportunismo stalinista. Il capitale governa l'Europa, il proletariato serve e giace. Abbiamo così fatto raffreddare il caldo cadavere dello zar giustiziato.

Ed altre parole formidabili, in anticipo di 42 anni: «Ma non è necessario che questo crollo [dello Stato russo] sia provocato dal di fuori, anche se una guerra esterna potrebbe di molto accelerarlo. Nel seno stesso dell'impero esistono fattori che lavorano attivamente alla sua rovina»[50].

Con questa osservazione andiamo a bandiere spiegate contro la tesi che materialismo storico e lotta di classe cessino di valere alle frontiere di Moscovia. Engels passa ad elencare questi nemici interni. Egli parte dai polacchi, che sono ai conati di una rivoluzione nazionale e borghese. Suggestivamente si afferma il legame tra rivolta in Polonia e rivoluzione in Europa, anche rivoluzione proletaria (tesi tanto cara a Marx). 1812: Napoleone primo tradisce la Polonia trattando la pace col vinto zar, e si consacra (oh genio!) agli infernali iddii della controrivoluzione. 1830 e 1846: fa altrettanto la monarchia borghese di Francia, e cadrà. 1848: altrettanto la repubblica borghese, e cadrà. 1856 (pace dopo la Crimea) e 1863 (insurrezione di Varsavia): tradisce i polacchi anche il secondo Impero, che crollerà a Sedan. 1875: l'autore vibra un ceffone ai radicali borghesi di Francia del tempo, che istituiscono, fin da allora, la storica alleanza di revanche con la Russia; quella che durò fino al 1914 e che, vedi caso, è un prurito insanabile non sedato ancora.

Ma occorre venire al nucleo del problema: forze e classi interne di Russia che si levano contro il potere degli zar.

24. Quadro sociale della Russia

«Da secoli, la grande massa del popolo russo, formata dai contadini, vegetava da una generazione all'altra in una specie di letargo privo di storia, e il solo mutamento che interrompesse questo grigiore erano delle rivolte isolate e infruttuose, seguite da nuove oppressioni da parte della nobiltà e del governo quando lo stesso governo russo, nel 1861, mise fine a questa mancanza di storia con l'abolizione non più a lungo differibile della servitù della gleba e la soppressione delle corvées – provvedimento applicato con tale raffinata scaltrezza, che porterà a sicura rovina la maggioranza sia del contadini, sia dei nobili. Così, la stessa situazione in cui si trova ora il contadino russo lo mette in movimento – un movimento che, è vero, è soltanto ai suoi inizi, ma che le condizioni economiche sempre più intollerabili delle masse rurali devono necessariamente promuovere con forza inarrestabile. Il sordo malumore della classe contadina è oggi una realtà con la quale sia i governi, sia tutti gli scontenti e i partiti di opposizione, sono costretti a fare i conti»[51].

Viene dunque sulla scena un personaggio, di cui in seguito si parlerà a profusione: il contadino russo. Esso si presenta come la maggior forza opposta allo zarismo. E ancora si è tentato di esaltare le differenze tra le avvenute rivoluzioni di Europa e quella attesa in Russia. Tuttavia, anche in Francia e altrove la rivoluzione antifeudale ha visto in linea la popolazione delle campagne in lotta per scrollarsi di dosso la servitù della gleba: ma il centro di una tale rivoluzione sono state le città e le grandi capitali; la forza trascinatrice il cervello e il braccio anche della rivoluzione è stata la borghesia urbana, il classico terzo stato: padroni di manifatture, borghesi, mercanti, bottegai, e con essi funzionari, intellettuali, studenti, professionisti; dietro queste categorie, ma ben presto in prima fila, verranno i lavoratori salariati dei suburbi dove si vanno impiantando le grandi aziende moderne.

Le obiezioni di cui si hanno piene le orecchie a proposito della Russia non sono recenti, e sono sempre quelle di Tkaciov ad Engels: se noi non abbiamo proletariato cittadino, non abbiamo neppure borghesia… I lavoratori russi sono lavoratori agricoli e come tali non proletari, ma proprietari… I nostri operai dovranno combattere unicamente contro il potere politico, lo Stato russo: da noi, infatti, la forza del capitale è ancora in germe…[52].

Tutte queste considerazioni dovrebbero condurre, come presso molti scrittori politici russi condussero, a dire che non è ancora il tempo di una lotta di classe proletaria, e che saranno i contadini a fare la rivoluzione costituzionale e liberale: questa differirà da quelle di Occidente perché muoverà dalle campagne, non dalle città industriali. Perché, inoltre, e come già accennato, vi è ancora un'altra grande assente: la classe "artigiana" delle città con le sue imponenti corporazioni, classe che in Italia, Fiandre, Francia, Germania, contese ai nobili il potere e l'amministrazione pubblica dei comuni e del contado, classe che, sciolta dalla rivoluzione dai vincoli corporativi, si scompose nel settore capitalistico e in quello salariato, in ambo i casi avanzando decisa verso le posizioni sovversive del tempo.

25. Rivoluzione di contadini?

Invece, e non per primo, Tkaciov, nel tracciare le linee di questa rivoluzione dei contadini, non si limita a porle i traguardi liberali delle rivoluzioni borghesi di occidente, ma dà ad esse un contenuto sociale, socialista. Ora,

«Che la condizione dei contadini russi dopo l'emancipazione dalla servitù della gleba sia divenuta intollerabile e, alla lunga, insostenibile», scrive Engels a un certo punto, «e che anche solo per questo motivo una rivoluzione si prepari, è chiaro. Il problema è soltanto: Che cosa può essere, che cosa sarà il risultato di questa rivoluzione? Il signor Tkaciov proclama che sarà una rivoluzione sociale. Pura tautologia! Ogni vera rivoluzione è una rivoluzione sociale, dal momento che spinge al potere una nuova classe e le permette di modellare la società a propria immagine e somiglianza. Ma il signor Tkaciov vuol dire che sarà una rivoluzione socialista, che introdurrà in Russia, prima che noi dell'Occidente ci si arrivi, la forma di società alla quale tende il socialismo europeo occidentale [presto! una gran tessera cominformista per l'anno nuovo al signor Tkaciov!], e ciò in presenza di rapporti sociali in cui tanto il proletariato, quanto la borghesia esistono solo sporadicamente, e ad un grado di sviluppo molto basso. Il tutto perché i russi sono, per così dire, il popolo eletto del socialismo, e possiedono l'artel' e la proprietà comune della terra»[53].

Siamo dunque al punto in cui occorre l'analisi di questa forma sociale del comunismo di villaggio, del mir, e dobbiamo con Engels discuterne.

Per fare ciò dovremo per un momento lasciare la schematizzazione delle classi sociali nella Russia del tempo di Engels, e tornare a stadi molto più remoti. Ma prima vediamo, col testo, da quando questa questione è stata sollevata.

«La proprietà comune dei contadini russi fu scoperta, intorno al 1845, dal consigliere segreto prussiano Haxthausen, e strombazzata come una vera e propria meraviglia, sebbene Haxthausen avrebbe potuto trovarne numerose sopravvivenze nella sua patria di origine, la Vestfalia, e, come funzionario statale, avesse l'obbligo di conoscerle a fondo. Da lui Herzen, di nascita proprietario russo [e uno dei primi liberali antizaristi], seppe per la prima volta che i suoi contadini possedevano la terra in comune e ne trasse motivo per raffigurare i contadini russi come i veri portatori del socialismo, i comunisti nati, di fronte agli operai dell'Occidente europeo marcio e decrepito, il cui destino era di assimilare il socialismo solo artificialmente e a prezzo di enormi fatiche»[54].

Engels non ha torto di deridere questo socialismo da terno al lotto. Ma ancora una volta vorremmo notare che qui non siamo in presenza di scienza pura, ma di militante teoria di partito. Nel vivo dell'ardente polemica tra proprietà privata e rivendicazioni collettiviste, che riempie di sè l'Europa di quei decenni, pur non lasciando per un momento il nuovo terreno antiutopistico sul quale Marx ha trasposta la battaglia per il comunismo, ogni elemento che dimostri che nel privato possesso non è la natura stessa, la verità eterna, l'imperativo della saggezza suprema, ma che vi è vita, storia e realtà senza l'istituto proprietario mefitico del tempo moderno, è elemento prezioso e vitale. L'idea del mirabolante salto sopra il cadavere dello zar e l'aborto del capitalismo, dal mir di villaggio all'internazionale del comunismo, come scienza vale poco, ma come propaganda vale immensamente: non si è fatto male in nessuna fase a lanciarla come un razzo incendiario, a condizione però di non mandare al macero la nostra integrale dottrina del corso storico, di controllare senza illusioni, come in ogni parola fra l'altro di Lenin si insegna, questa corsa panica dei contadini verso la rivoluzione, che la storia ad onde solleva.

E sarà bene, ogni qual volta avremo assodato realisticamente che passare per il capitalismo è necessario, ed è quindi in tali casi utile arrivarvi il più presto possibile, sarà igienico, e corroborante, e profilattico soprattutto, aggiungere (con la tranquilla certezza del tecnico che ha con successo convogliato in una razionale fognatura i liquidi fecali): la società non ha mai visto né vedrà nulla di più schifoso e puzzolente di lui.

26. Criteri di materialismo storico[55]

Se non deve trattarsi di confrontare la coltura collettiva del suolo da parte di gruppi, tuttora presente in Russia nel tempo moderno, con l'istanza proletaria di condurre comunisticamente la produzione e dei manufatti e delle derrate agrarie, secondo definizioni terminologiche formali e gioco di "categorie" assolute, ma si deve invece adeguatamente applicare la dialettica materialista, occorre domandarsi quali fossero le condizioni di ambiente fisico e di sviluppo dei rami della specie umana, che determinarono quello speciale tipo di organizzazione rurale della società, in contrapposto ad altri.

Non il caso né le consegne misteriose di numi tutelari dei singoli ceppi di popoli, né indefinibili tipiche impronte nel sangue trasmesso in seno a gruppi etnici isolati, devono spiegarci il motivo dei diversi rapporti sociali che si hanno, sullo sfondo comune di un'economia produttiva prevalentemente agricola, ad esempio negli Stati dell'antichità classica mediterranea culminanti nell'impero romano – e poi nell'organamento feudale proprio dei popoli germanici che si distesero per l'Europa centrale e continentale-nordica – infine nell'originale ordinarsi (che ora ci interessa) degli occupanti il campo grande-slavo.

Non intendiamo svolgere nessuna analisi specifica con completi materiali, ma solo ordinare, per la migliore intelligenza, i concetti di base.

In questi tre sistemi storici abbiamo, a diversi livelli cronologici, comuni punti di partenza, che si levano sullo stato selvaggio delle razze, lo stato barbaro inferiore e superiore, il trapasso dal nomadismo abituale di gruppi che non conoscono altra attività produttiva che la pesca, la caccia, la raccolta di frutti spontanei della vegetazione al primo fissarsi degli uomini su sedi stabili, col sorgere dell'armentizia e poi della coltivazione ciclica della terra. Secondo la nostra concezione, gli elementi relativi a condizioni materiali devono essere sufficienti a spiegarci i diversi corsi di evoluzione dei tipi di organismo sociale.

Un primo elemento è il clima più o meno mite e favorevole alla vita e alla moltiplicazione della specie. Un secondo, la natura geologico-chimica del terreno, e la sua attitudine a produrre in dati periodi sufficienti alimenti e derrate. Un terzo, il numero e il modificarsi del numero delle popolazioni in rapporto alla terra per esse disponibile.

La prima attività lavorativa dell'uomo non è in effetti la coltivazione della terra a fini agricoli produttivi. Il selvaggio già conosce la preparazione di utensili che gli occorrono per la pesca, la caccia, la guerra, con precedenza su quelli che serviranno alla coltivazione del terreno. Il popolo nomade, anche quando in tempi relativamente recenti va in cerca di preda di altre comunità organizzate, o anche il popolo commerciante primitivo di cui non mancano esempi, ha bisogno di saper costruire i suoi mezzi di trasporto: carri, piroghe, navi, ed ha quindi una produzione di manufatti prima che una di generi agricoli. Ciò non toglie che, volendo noi partire dalle prime forme storiche, all'uscita dalla barbarie, possiamo considerare che le forme di produzione che ci interessano, con le relative sovrastrutture sociali e poi politiche, si appoggiano sulla coltivazione e lo sfruttamento della terra, e su tale base dobbiamo mostrare come le varie condizioni di ambiente determinino i vari tipi di ordinamento e di cicli evolutivi: ciò con costante riguardo a un dato assolutamente quantitativo come il rapporto tra il numero dei componenti il gruppo umano e la estensione della terra utilizzabile.

I tre tipi che in questo sommario schema abbiamo ricordato si distinguono notoriamente, a prima vista, sotto questo riguardo. Nel campo mediterraneo si ha clima particolarmente mite e lontano da estremi meteorici, specie sulle coste delle penisole settentrionali (Asia Minore, Grecia, Italia), assai favorevole alla vita dei primi uomini e all'aumento delle popolazioni, risparmiate da gravi oscillazioni climatiche ed altre cause distruttive. L'origine geologica dei terreni, con incrocio di sedimenti, sollevamenti, fatti vulcanici, li rende chimicamente ricchi e favorevoli ad ogni vegetazione, flora e fauna; la configurazione di terre, di mari e di golfi facilita tutte le comunicazioni. In mille modi e per millenni i gruppi che raggiungono le rive di questo felice mare interno tendono a stabilirvisi permanentemente, e la loro entità numerica prende ad aumentare senza posa. 

Queste condizioni, che sono state analogamente presenti su altri mari della zona temperata del pianeta, il mar della Cina, quello della Indocina, il golfo del Messico, hanno genericamente reso più rapida l'apparizione di società molto attrezzate nella tecnica produttiva e in tutto quel che ne fiorisce: ciò che chiamano civiltà.

Su questa trama di condizioni fisiche e statistiche si costruisce rapidamente un tipo molto evoluto di organizzazione produttiva, che va dalle repubbliche elleniche alla costruzione possente dell'impero romano.

27. Agricoltura stabile e forme politiche

Nell' abc del materialismo storico sta l'ovvia osservazione che può cessare il nomadismo e succedervi lo sfruttamento ciclico di una stessa area di terra abbastanza fertile, solo quando vi è una sicurezza totale di indisturbato soggiorno dei lavoratori-consumatori, dalla lavorazione e semina al raccolto. La ripetizione in loco dello stesso ciclo per più anni e per così dire per tempo indefinito è poi condizionata alla possibilità di saper conservare alla terra "vergine", depositaria di una massa di sostanza organica di lunga origine ed accumulo al momento di un primo dissodamento, una permanente fertilità e resa. Ciò è possibile quando il numero degli uomini che essa deve nutrire non è eccessivo e la tecnica agricola sufficientemente efficace: se questo manca, la popolazione di cui si tratta dovrà sgomberare o deperire. Il nomadismo riprenderà, come nelle favolose storie di popoli che migrarono.

Cause che ostano al soggiorno di una tribù "colonizzatrice" possono poi essere quelle geologiche, di variazione di climi, di cataclismi, fauna di belve feroci o sparizione di specie animali utili, e così via.

È un lungo dramma, che riduciamo in pillole, quello del trapasso fra il tipo umano con orde mobili e quello con sedi fisse.

Nella classica opera di Engels a cui abbiamo tante volte attinto sulla origine della famiglia, della proprietà e dello stato[56] (vedi fra l'altro I fattori di razza e nazione) fu data la prova che le prime gentes stabili non ebbero bisogno di proprietà suddivisa del suolo, e per conseguenza non ebbero famiglia, e non ebbero Stato. Qui il famoso comunismo primitivo del suolo, che evidentemente era condizionato alle indicate esigenze fisico-naturali, oltre che ad un'esigenza sociale: cioè che altre gentes comunistiche fossero abbastanza lontane da non aversi sul territorio contese sui prodotti e gli abitatori. In una tale società tutti in comune consumavano quanto in comune avevano prodotto, non vi erano dunque classi sociali, e non vi era Stato, in quanto per noi, elementarmente, vi è Stato quando vi è l'organo per la dominazione di una classe sull'altra.

Ciò non significa in modo assoluto che non vi fosse nessuna divisione dei compiti e nessuna gerarchia. Se anche risaliamo a prima del fissarsi dell'orda vagante alla terra, è chiaro che il gruppo di nomadi pescatori, cacciatori, magari già pastori, o addirittura predatori a danno delle tribù e dei popoli fissi, non può non avere un pilota che scelga le rotte, in questo senso un esperto capo, che non può essere un semplice decano, o una decana, del gruppo, per la parte fisica delle sue funzioni. Ciò diciamo perché ai fini della critica alla moderna gerarchia sociale non ci è necessario idealizzare oltre ogni limite logico una simile "età dell'oro".

La tesi che ci interessa è che famiglia, stato, proprietà singola della terra, non sono presupposti eterni, ma contingenti fatti storici, e che si può vivere della coltura della terra senza bisogno di averla frazionata in possessi familiari isolati, entro i limiti dei quali si lavora, raccoglie e mangia.

Occorrono le ripetute condizioni di stabilità e sicurezza, e storicamente – qui dobbiamo giungere – queste vengono a trovare ben diverse soluzioni.

Ben presto, nella storica umanità civile, queste sono soluzioni di forza e quindi soluzioni di Stato e di classe. Dobbiamo dunque vedere quali sono le forme organizzate in quei tre modelli - di comodo, si capisce, per noi dilettanti creatori di schemi tipici! - che possiamo ben dire latino, germanico, slavo.

Nell'ordinamento romano il contadino che lavora la terra è difeso da ogni invasore e predatore da una permanente milizia di stato. Ma, se per un momento non parliamo degli schiavi, presenti soprattutto nelle città e terre metropolitane, il legionario e il contadino sono la stessa persona. A mano a mano che il tipo di sviluppata organizzazione installatosi nel giardino mediterraneo, fiore di tutte le terre, fa aumentare le popolazioni, l'impero si dilata alla periferia su spazi abitati da popoli radi, nomadi, o anche fissi e liberi, assegna terre ai suoi legionari che trasforma in coloni, insegna ed obbliga gli indigeni a vivere con la sua tecnica e il suo "diritto" terriero che consente di stare più stretti. Questa la classica forma produttiva agraria latina, base sufficiente, a condizione di stabilità e forza politica, per una ricchissima gamma di altre attività umane, tuttavia gravante sul lavoro sottoremunerato della classe degli schiavi.

28. Forma germanica e rivoluzione cristiana

Furono forze dissolvitrici di quella organizzazione immensa sia la rivoluzione interna degli schiavi, che si rivestì dell'ideologia cristiana dell'eguaglianza morale tra gli uomini e del divieto di proprietà sull'uomo, e i contrasti tra la classe dei ricchi terrieri e mobiliari e quella dei liberi coloni, sia la pressione di riflusso dei "barbari" respinti oltre frontiera, a loro volta messi in moto dal crescere di numero, dall'insufficienza qualitativa e quantitativa delle loro antiche sedi, e dallo stesso "contagio" di maggiori bisogni e appetiti trasmesso sui margini dell'impero, d'occidente e d'oriente. Questi popoli tendevano a un altro tipo di organizzazione stabile sulla terra, che è l'embrione di quello feudale cui poi Roma dovette soggiacere.

Se la "civiltà" dei nostri avversari fosse un valore assoluto, sarebbe molto discutibile il confronto tra il medioevo cristiano feudale e l'antichità greco-romana. La gamma di attività umane tecniche ed anche culturali sembrò per molti secoli essersi ristretta, pur essendosi dal moderno pensiero borghese banalmente esagerato su questo punto. Ma i marxisti, che non hanno di tali debolezze, possono ben votare quanto a filosofia scienza arte diritto per il mondo classico, e quanto a dialettica sociale per quello cristiano. Per questo fu una rivoluzione l'urto contro l'immenso Stato di Roma delle orde barbare e del Messia semitico, sceso da una scala di altre "civiltà" maestre.

I popoli di Europa centro-nord trovano condizioni ben diverse. Clima rigido che, se si presta alla pesca e alla caccia, è molto più sfavorevole di quello mediterraneo alla vegetazione naturale e agricola. Grandi spazi continentali e distanze dalle coste che, malgrado i corsi dei fiumi, contribuiscono a ritardare, con le comunicazioni, l'evoluzione della tecnica produttiva. Il clima non è favorevole, ma i terreni sono tuttavia di media fertilità, perché il colossale massiccio montano del centro assicura alle pianure acque correnti e chimismo di utili sedimenti: foreste di piano e di monte si stendono ovunque e non si hanno spazi aridi e stepposi prevalenti. Questo ambiente naturale, prima che in secoli e secoli l'uomo sappia trasformarlo, è adatto a una discreta densità di abitatori, e favorisce moderatamente il fissarsi in sedi stabili di una non grandissima popolazione. Non si può arrivare ai grandi agglomerati delle calde rive mediterranee (o di altri mari meridionali) e le tribù già nomadi si fissano in genere in piccoli villaggi.

La forma di Stato che qui prende il posto del primo comunismo sulla terra non assumerà il poderoso carattere unitario e centrale dell’Impero. I gruppi di agricoltori abbisogneranno, per poter operare in sede fissa, di una protezione contro altri popoli e gruppi ancora nomadi e prepotenti, e saranno controllati da una classe di armati alla cui testa sarà il signore feudale, in tutta una ramificazione di piccoli poteri, quasi staterelli, su cui mano mano e in modi diversissimi si eleveranno ingranaggi, sempre cellulari e federalistici, che tenderanno a far rinascere lo Stato unitario, teoricamente restauratore del tipo giuridico romano, solo quando, nell'epoca borghese, non sarà più fondamentale la produzione e l'economia terriera, bensì quella manifatturiera.

Non ci vogliamo dilungare sulle differenze tra questi due tipi sociali, che sono entrambi di organizzazione stabile sulla terra di una società agraria, e che, nei rispettivi tempi storici, staranno a cavallo di una non dissimile tecnica ed utensileria-attrezzatura. Ad essi però la diversa sede ambiente e la correlativamente diversa velocità di aumento demografico e di sviluppo da forma a forma, avranno dato quelle diversissime caratteristiche nelle generate sovrastrutture politiche. Centralismo latino, federalismo germanico. Schiavismo latino, franchigia-servitù germanica. Esercito statale latino, piccole milizie nobiliari germaniche. Paganesimo latino, cristianesimo germanico. Culto latino della bellezza e della gioia, culto medievale della rinunzia e dell'ascetismo.

Tutto questo danzare degli alti valori dello spirito, per noi poveri e scheletrici materialisti, si è differenziato su poche cifre, di grado termico, tenore di umidità, elaborazione geologica di potassio fosforo azoto in date dosi; grado di sviluppo della materia organica vegetale ed animale nelle stesse dette condizioni; effetto del tutto sull'evoluzione dell'animale uomo quanto a durata di vita, probabilità di trovare alimento, e conseguente prolificità e indice di eccesso delle cause di sopravvivenza e riproduzione sulle cause di sterilità e di morte, e via di seguito. Così è, se non vi piace, signori borghesi.

29. Forma slava di organizzazione terriera

Su questo terzo tipo, dopo averlo brevemente discriminato socialmente e storicamente dagli altri due, innesteremo la critica fondamentale di Engels sulla vitalità storica della comunità agraria russa, e sulla pretesa che questa possa sfociare nel socialismo, quale noi lo intendiamo, nel comunismo post-capitalista. Questo terzo campo è tanto più continentale ed interno rispetto al secondo, quanto lo era il secondo rispetto al primo. Le immense estensioni tra lontanissimi mari sono anche destituite di vicinanza di monti degni di un tal nome, sicché ai rigidi inverni si alternano estati torride e aride. Il mare e il frastagliamento altimetrico della crosta terrestre sono i due grandi volani di compensazione per i cicli della vita organica, e infine di quella umana, che chiese all'ambiente, e secondo i tempi, caldo, non troppo caldo, freddo, non troppo freddo, secco, non troppo secco, umido, non troppo umido. A queste istanze tacite del fremere del chimismo organico e del premere della vita, l'ambiente della nostra terza zona grande-slava risponde generalmente: no!

Invece dell'estrema opposta situazione mediterranea, ossia di un mare fra tante terre, abbiamo una terra immensa e piatta fra tanti lontani mari, che si saprà solo dopo molti secoli se e come tra loro comunicano. Basta questa morfologia, questa semplice topologia, a spiegare la lentezza dello sviluppo, oltre alla fisiologia, inteso il termine anche come inorganico, di quella plaga geografica

È del tutto inutile dilungarsi sulla descrizione della terra russa quanto a fertilità, su cui si dovrà ritornare. Tolta una fascia lungo quell'estremo Mediterraneo costituito dal Mar Nero, la feracità è minima, e può venirne nutrita solo una popolazione di infima densità, con economie locali-naturali.

Lungamente su questa steppa immensa non vi furono popoli fissi, ma solo continui passaggi di orde di tutti i tipi, dirette ai lontani miraggi dell'ovest o anche dell'est, riflusso di due tanto diverse palingenesi sociali.

Se questo popolo è giovane, lo è nel senso che solo da poco un popolo stabile ha potuto stabilirsi in questo campo, impiegando molto più tempo a percorrere lo stesso cammino che i popoli vecchi avevano già segnato di tappe animatamente ravvicinate.

Poiché è ben chiaro che alla data 1875, studiando la struttura di una tale zona, non vi possiamo trovare forme capitalistiche - che risulteranno invece in deciso sviluppo alla luce di un'indagine 1954[57] - ecco che noi perverremo a non constatare nemmeno il passaggio di forme storiche analoghe a quella feudale germanica, così come non avevamo trovato nella Europa di centro, prima del feudalesimo, forme del tipo della classica.

Siamo dunque in presenza di una terza via storica (europea) di uscita dalla barbarie, e di formazione di una società stabile sulla terra, e di Stato.

Mentre infatti nella zona mediterranea non troviamo vestigia storiche di un comunismo iniziale (pure essendo noi convinti che tale fase fu ovunque presente), e ne troviamo invece frequenti nella zona centroeuropea, e anche tradotte in date forme e istituti del diritto germanico trapelati in vigenti codici, qui, nell'area slava, siamo in presenza di una forma prevalente di comunità di villaggio, solo recentemente evoluta in proprietà familiare, comunque già impura. Ma vi è una grande differenza in più. Siamo si può dire anche in presenza del nomadismo; vi sono ai confini dell'Iran, dell'Afghanistan e del Tibet popoli che ancora non hanno sede fissa, che non sanno coltivare la terra ma al più allevare bestiame.

Le così diverse condizioni di ambiente fisico hanno dato dunque un più lento sviluppo alle fasi di organizzazione umana, in quanto è certo che in quelle zone eurasiatiche l'apparizione della specie uomo è tra le più remote.

La costituzione di un organismo sociale a tutela del villaggio coltivatore sul territorio, avvenuta dove questo confinava con quelli europei più avanzati, non ha avuto dunque né le caratteristiche latine né quelle germaniche, ma caratteristiche originali. Esse hanno qualcosa del centralismo statale-militare, qualcosa del periferismo nobiliare feudale, e una certa analogia con la forma asiatico-indiana, di cui qui non ci siamo occupati. In questa, ad una rete di villaggi comunistici sovrasta il potere armato di un satrapo, monarca o despota, che controlla e amministra una immensa zona, tutti i villaggi della quale gli recano tributi; come nelle antiche civiltà dell'Asia minore e dell'Egitto manca un solo tipo sociale: il cittadino libero classico; vi sono masse di schiavi, e masse di servi in forma di "comunità serve", un solo grande autocrate e uno strato di minori signori.

Togliamo le comunità libere o serve, e avremo la organizzazione latina.

Togliamo gli schiavi e le comunità, lasciando i servi, e avremo quella germanica.

Togliamo gli schiavi veri e propri, ma lasciamo sia i servi singoli dei nobili sia le comunità serve del monarca – o meglio dello Stato –, e avremo la società russa dell'Ottocento, poco mutata col 1861.

Ha assorbito dall'Europa tanto di cristianesimo, da non ammettere schiavi e mercato di persona fisica umana. Ha conservato dall' Asia tanto di dispotismo da ammettere ancora il villaggio agrario servo del despota, e per maggiore esattezza "dello Stato centrale".

Evidentemente si porrà diversamente il suo passaggio da feudalismo a capitalismo, e il rapporto tra questo e la prospettiva socialista.

Fresco è il ricordo del nomadismo: ancora uno stato mongolo si chiamò così, la famosa Orda d'oro intorno al 1250; e fino al 1300 la Russia stette quasi tutta, meno il piccolo ducato di Mosca, sotto l'impero immenso dei Khan mongoli, che andava dalla Cina all'Adriatico, a metà del tredicesimo secolo. Da noi era il tempo di Dante.

A questa altezza della serie dialettica, del nostro facilone schema storico, siamo in grado di fare il punto, e passare al quesito di Engels: stava ancora il mir russo all'altezza del comunismo, primitivo ma puro, o era già scaduto in sistema di esercizi parcellari-familiari, puzzando a un miglio di borghesia?

30. Campi e cicli europei e asiatici

Ci siamo fermati sulla soglia della critica di Engels alla sopravvivente comunità russa del suo tempo (connessa al problema: come essa si scioglierà nel privato possesso della terra? è mai possibile che eviti tale stadio saldandosi alla forma superiore comunista della produzione insieme manifatturiera e agraria, cui il socialismo afferma che sia pronta l'Europa?) per esaminare tre tipi europei di modo agrario di produzione secondo i quali dalla primitiva barbarie sono emerse le "civiltà" greco-romana, germanico-cristiana, e grande-slava, e abbiamo riferito questi tre «modelli» a tre campi geografici e alle loro fisiche caratteristiche. L'ultimo dei tre tipi, il più recente, il più giovane, quello che in fondo per la corrente cultura sembra ancora tenere in serbo l'esplosione del suo particolare complesso di organizzazione umana e della sua leadership, del suo pilotaggio del mondo, perché un tale peana non ha ancora intonato – e da questo il timor panico odierno da una banda, l'apologetica sfornata dall'altra[58] – ci ha condotti sul margine del territorio asiatico, ove sembra intrecciarsi con civiltà antichissime, con modi storici di vita che per vie diverse hanno preceduto e trasmesso dotazioni e condizioni all'Europa mediterraneo-pagana e a quella feudale-cristiana.

Abbiamo accennato in che, dai tre tipi accennati di sviluppo, si distingue quello indo-asiatico, come organizzazione della produzione rurale, ma non ne abbiamo indicato, sia pure nei termini sommari ed elementari di questo studio (e richiamo di premesse a un problema moderno), le condizioni del campo territoriale.

Sempre per la cultura ortodossa che (si ammetta l'origine biologica unica o multipla della umana specie) vuole trarre quei diversi "destini" o "missioni" non da caratteristiche ambientali e tecnico-produttive, ma da originarie stimmate ed impronte dei popoli protagonisti della storia scolastica, non saremmo in regola con la partizione etnografica che fa leva sulla razza e sul sangue, e tanto meno con quella dei sistemi spirituali che ciascun ceppo avrebbe ricevuto in retaggio o da sprazzi di luce di menti sovraumane, o da particolari ritrovati del pensiero di antichissimi sapienti e scuole. Dopo aver infatti diviso in tre settori sociali-storici il ceppo della razza bianca accampata fino a mezzo millennio addietro nella sola Europa, staremmo per dimenticare che è un suo ramo etnico quello che occupa, in numero non minore, l'India e altri territori dell'Asia occidentale e dell'Africa settentrionale. E rimanderemmo questo ramo del ceppo ariano, o indo-europeo, a far causa comune coi gialli, coi mongoli, razze di colore che a loro volta affondano le radici della loro storia organizzata in millenni più remoti dei nostri. Seguendo tracce non spiritualiste e idealiste, ma delibando la via materialista, noi assumiamo, con una formula sommaria quanto si vuole, che le stesse condizioni geofisiche conducono agli stessi essenziali sviluppi di organizzazione della specie umana; in altre parole, alle stesse forme di storia e di società. Che cosa andrebbe detto in tal senso per il "quarto campo", ossia quello asiatico – che andrà probabilmente trattato a fondo a proposito delle presenti rivoluzioni orientali – in sede di paragone coi campi già accennati: mediterraneo – centro-europeo – panrusso (evitando di proposito il termine grande russo, che ha senso limitativo)? 

 

[43] Karl Liebknecht e Rosa Luxernburg, assassinati a Berlino nel corso dei moti insurrezionali del gennaio 1919, spietatamente repressi dal governo socialdemocratico degli Ebert-Noske.

[44] S'intende la lotta di liberazione nazionale all'insegna della democrazia, cui si deve, a II guerra mondiale finita, la nascita, prima, dei governi di coalizione interclassista in regime di rinnovata monarchia costituzionale, poi della Repubblica «fondata sul lavoro» e della sua Costituzione in tutto e per tutto borghese.

[45] E, naturalmente, a maggior ragione oggi 1990.

[46] Si allude qui alla breve nota introduttiva premessa da Engels alla riedizione di articoli sparsi, come il già citato Soziales aus Russland (1875), nel volumetto lnternationales aus dem "Volksstaat" (1871-1875), edito nel 1894 e contenente pure il Nachwort (Poscritto) da lui allora redatto a complemento e integrazione dell'articolo di 19 anni prima (cfr. la riedizione Dietz dell'opuscolo, Berlino, 1957).

[47] Cfr. la riedizione tedesca, citata nella nota precedente, di Internationales, etc., pp. 5-6.

[48] Cfr. Marx-Engels, India, Cina, Russia, ed. cit., pp. 216-217.

[49] Ibidem, ancora p. 217 (corsivi di A.B.).

[50] Ibidem, p. 217 (corsivi di A.B.).

[51] Ibidem, p. 218.

[52] Ibidem, p. 219.

[53] Ibidem, p. 222. Più sopra, «tessera cominformista»: allusione all'Ufficio di informazioni (abbreviato Cominform) creato nel settembre 1947, poco più di quattro anni dopo lo scioglimento dell'Internazionale comunista, come organo di collegamento fra i diversi partiti "comunisti" nazionali (e socialpopolari) sulla base non di una teoria e di un programma vincolanti per tutti, ma della comune sudditanza a Mosca, quindi ai diktat staliniani, in contrapposizione al blocco occidentale e agli Usa (ufficio sciolto a sua volta nell' aprile 1956 all'aprirsi dell'èra della coesistenza pacifica non senza aver provveduto, nel 1948, alla scomunica di Tito e alla radiazione della Jugoslavia dalle proprie file in omaggio alla formale disciplina verso la "patria del socialismo"). Il suo motto, quello stesso del titolo del suo periodico, era: "Per una pace stabile, per una democrazia popolare!".

[54] Ibidem, pp. 224-225.

[55] I capitoli 26-32, che seguono, non sono – come forse penserebbe un lettore frettoloso o superficiale – una divagazione, oltremodo istruttiva da un punto di vista storico generale, ma sproporzionata rispetto al tema specifico delle prospettive rivoluzionarie della Russia nella seconda metà dell’Ottocento. Al contrario essi forniscono la chiave materialistica della inerzia storica in forza della quale l'antichissima rete di comuni agricole chiuse in se stesse in una fissità senza tempo potè sopravvivere in Russia fin oltre la metà del secolo scorso, e lo Stato zarista, accentrato e accentratore (diversamente dalle formazioni statali del Medioevo europeo), cui esse erano legate da vincoli di servitù, potè a sua volta prolungare la propria inalterata esistenza fino al 1917, mentre dànno ulteriore conferma, sul piano storico, dell’improponibilità di una rivoluzione socialista russa non fatta da lavoratori salariati, ma da mezze-classi rurali.

[56] F. Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, la ed. 1884, 2a ediz. 1891, trad. Editori Riuniti, Roma 1970.

[57] L'indagine svolta poi a fondo nella citata nostra Struttura, etc.

[58] Ovviamente da parte occidentale nel primo caso; da parte filostalinista nell' altro.

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