DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

In epoca capitalista esistono due tipi di pace. La prima è la conseguenza diretta della carneficina a seguito della guerra: è una pace piena di “auree prospettive” nella quale la verginità della borghesia si ricostituisce. Promettendo un progresso radioso e una pace imperitura (appunto), la borghesia si terge le mani ancora lorde del sangue caldo dei cadaveri proletari. Il secondo tipo (che sempre prima o poi succede al primo) è quello che prepara alla guerra: la borghesia, ora, nasconde e tiene sotto silenzio (per quanto e fintanto che può) tutte le manovre e gli “aggiustamenti” da apportare alle proprie strutture produttive, di difesa e soprattutto ideologiche. Così procedendo, si prepara sempre più minuziosamente ad affondare di nuovo le proprie fredde mani nella carne viva proletaria, nel tentativo di rigenerarsi e sopravvivere un'altra stagione, superando con un bagno di sangue generale le proprie immanenti contraddizioni.

Oggi, siamo proprio in questo secondo tipo di pace, che tanto olezza di guerra imminente (1).

Dopo i fatti di Siria, ma soprattutto dopo gli avvenimenti in Ucraina, la corsa verso la prossima guerra è di certo accelerata. Il Sole-24Ore riporta e commenta una dichiarazione del presidente russo: “La Russia è un orso che sta proteggendo il proprio territorio. ‘Vogliono che stia seduto tranquillo a mangiare bacche e miele, ma tentano di metterlo in catene, di togliergli denti e artigli. Questo è il deterrente nucleare’. Vladimir Putin non lo accetta. ‘Se gli strappano denti e artigli, l’orso non sarà più in grado di fare nulla, sarà solo un animale impagliato. E invece noi cerchiamo di mantenere la nostra sovranità’”. Insomma, al di là delle metafore etologiche, il messaggio e i toni ci sembrano chiari.

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Facciamo un passo indietro. Nel nostro articolo del 2008-2009 dedicato alla Russia, scrivevamo: “Noi sappiamo, e la storia sta a dimostrarlo, che possedere materie prime in epoca capitalista non si tramuta automaticamente in essere una nazione forte economicamente: anzi, lo sviluppo ineguale delle nazioni, necessario al capitalismo, ha spesso dimostrato il contrario [...]. La regola vale, in parte, anche per la Russia. Essa è, sì, un deposito di materie prime, ma la sua economia, troppo legata all’estrazione e alla lavorazione di queste, dipenderà sempre più da un dato economico che sfugge completamente al suo controllo: il prezzo sul mercato mondiale di queste materie prime” (2). E poco più avanti: “Possiamo allora affermare, come prima parziale conclusione, che il gigante risvegliatosi dopo il letargo degli anni ’90 ha entrambe le mani legate e la sua potenza e redditività è direttamente proporzionale all’aumento o alla diminuzione dei prezzi sul mercato mondiale delle materie prime. Questa situazione, che oggi premia Putin (o il suo attuale fantoccio), facendolo passare per un grande statista contemporaneo e alimentando la macchina finanziaria russa di immensi capitali liquidi, è solo uno specchietto per le allodole. La struttura industriale è, nella realtà, ancora molto debole, non avendo affatto risolto o migliorato la situazione preesistente” (3).

Confrontiamo le nostre parole di allora con quelle odierne dell'economista Paul Krugman, riportate sul Sole-24Ore del 27/12/2014: “È impressionante con quanta facilità e decisione sia andata in panne l'economia russa. Il crollo del prezzo del petrolio ovviamente è il motore principale, ma il rublo è sceso più del Brent: dall'inizio dell'anno il petrolio è calato del 40 per cento, mentre la moneta russa ha visto dimezzarsi il suo valore. [...]  L'altra mia considerazione è che il Venezuela-cum-bomba-atomica (cioè la Russia) continua ad apparire più vulnerabile alla crisi: tassi di interesse a lungo termine quasi al 13 per cento, una valuta in caduta libera e una montagna di aziende private con una grossa esposizione debitoria in valuta estera. Qualcuno potrebbe pensare che le consistenti riserve di valuta estera a disposizione del Governo di Mosca possano consentirgli di intervenire in soccorso delle aziende in difficoltà, ma i mercati evidentemente non la pensano allo stesso modo. La faccenda comincia a sembrare molto seria” (4).

Il ragionamento dell'economista è esemplare, in ultima analisi, di quelle molte altre parole espresse in questi giorni da tutti i mass media del mondo. Una sorta di stupore lascia il passo alla precedente convinzione che l'Orso russo fosse forte e dal futuro radioso; impietosamente, ma sempre colpevolmente in ritardo, gli opinionisti e i tecnici retrocedono il poderoso Orso a un più modesto “Venezuela-cum-bomba-atomica”. Malgrado ciò, questa definizione è forse l'unica azzeccata dai nostri pensatori. Infatti, come sottolineavamo nel nostro articolo, “La Russia è un immenso deposito naturale di materie prime. Questa peculiarità, nota da più di due secoli, ha caratterizzato e modellato l’intera architettura economica russa, fin dalle sue origini moderne” (5).

Per spiegare quello che sembra ignorato dai più, ovvero l'attuale difficoltà dello stato russo, non bisogna partire dagli elementi superficiali, derivati: prezzo del petrolio, oscillazione del rublo, esposizione delle industrie al debito in valuta estera, sanzioni ecc. Tutti questi elementi sono il prodotto e si comprendono facilmente quando si inquadrano e si fanno derivare dalla sottostante struttura produttiva materiale – che, abbiamo già dimostrato, è insufficiente per dimensioni, obsoleta per tecnologia e fortemente limitata nella diversificazione. È chiaro che, nel momento in cui l'ombrello di liquidità rappresentato dalle entrate dei prodotti energetici esportati viene a ridursi, e ridursi notevolmente, tutto il castello di carte della sovrastante “multicolorata” economia monetaria viene a crollare: sotto di essa infatti non vi è sufficiente merce prodotta ai costi medi mondiali tali da sostenerla; in altre parole, fuori dalle materie prime, la Russia ha ben poche altre merci da scambiare per sostenere la richiesta del proprio rublo.

Se ora inseriamo questa realtà russa nel contesto più generale mondiale, possiamo anche distinguere meglio gli elementi acceleratori che aggravano ancor più la situazione del paese. In particolare, intendiamo la crisi economica generale mondiale e l'aspra disputa per lo spazio vitale che si sta combattendo fra l'espansionismo tedesco (per ora spalleggiato dagli americani) e quello appunto russo: il secondo in difesa, il primo all'attacco.  Per ciò che concerne la crisi generale, non è solo di recente che la Russia presenta un rallentamento nella crescita del PIL: infatti, dopo il crollo del 2009, la Russia non si è ancora ripresa, ovvero non ha ancora raggiunto i valori pre-2009. E non poteva essere diversamente, visto che la contrazione produttiva mondiale ha necessariamente determinato la contrazione della richiesta di materie prime, innanzitutto di quelle energetiche (e questo in termini assoluti, molto prima del crollo attuale dei prezzi).

In questo contesto e nonostante la sua condizione di estrema indigenza, la classe operaia russa non è scesa ancora autonomamente in lotta per difendere le proprie condizioni di vita e di lavoro. Ciò non ci stupisce, se consideriamo anche il fatto che la cosiddetta “opposizione”, così corteggiata da tutti i media e gli osservatori occidentali, ideologicamente e politicamente anti-proletaria, opera per contenere ogni timido tentativo di fare emergere gli interessi di classe, incanalandoli ideologicamente e praticamente nei soliti vicoli ciechi delle contrapposizioni liberismo-statalismo, democrazia-oligarchia e soprattutto delle velenose esaltazioni nazionaliste (filo-russe e filo-ucraine). Da quest’“opposizione”, i proletari russi non possono e non debbono aspettarsi nulla: se ne devono anzi tener lontani.

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Per ciò che concerne poi la contesa con l'Europa, anche questa non è certo fenomeno esclusivo dell'oggi. E’ anzi molto antica: volendoci limitare agli ultimi 30 anni, ovvero dalla caduta dell'URSS, l'Europa (leggasi: Germania) ha ingaggiato un'aspra lotta con l'“amico” dell'est per contendergli brandelli di territorio; ma l'oggetto vero del contendere è sempre stata l'Ucraina. Questo, per diverse ragioni sia economiche che soprattutto strategiche e militari. Controllare l'Ucraina non significa infatti solo poter esportare capitali da valorizzarsi con una classe operaia a buon mercato. Oltre a essere un ulteriore mercato su cui sversare le merci sovraprodotte in patria, l’Ucraina possiede un apparato industriale (quello del Donetz, praticamente considerato territorio nazionale dai russi), il cui controllo costituisce, dal punto di vista militare, una pedina fondamentale in un futuro scontro di eserciti. Infatti, il controllo diretto dell’Ucraina da parte dell’Occidente significherebbe far avanzare di 500 km il confine della coalizione militare NATO, portandolo a soli 500 km da Mosca – cosa di non poco conto. Accettare passivamente quest’avanzata significherebbe, per l'Orso russo, mangiare quel miele e quelle bacche senza più artigli né denti: e certo la borghesia russa non intende sottostare pacificamente a questa minaccia.

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In conclusione di questa breve nota, non possiamo che sottolineare come la contesa fra Russia e Europa (sotto l'ombrello NATO) non possa che inasprirsi. Come avviene da secoli, le immense pianure che fanno da membrana osmotica fra l'occidente europeo e il centro dell'Asia, con i loro storici e contrapposti interessi, sono state, sono e saranno il teatro di una delle dinamiche fondamentali che conducono dalla guerra economica a quella militare. Gli eserciti non sono ancora pronti, le economie sonnecchiano ancora nella loro disposizione di pace, la classe operaia non è ancora scesa nell'agone della lotta. Ma, malgrado tutto questo, come nella proverbiale calma prima della tempesta, le ragioni profonde della necessità di schierare i cannoni sui fronti si fanno sempre più urgenti ed evidenti.

Il futuro sarà gravido di disgrazie e miserie, se la classe operaia russa e mondiale non dovesse rimettersi sui binari dell'attacco diretto e decisivo al modo di produzione capitalistico.  

Note

(1) Si legga a tal proposito, come uno dei tanti esempi, l'articolo presente sul sito http://www.analisidifesa.it/2013/10/la-russia-si-prepara-alla-guerra/

(2) “Uno sguardo alla situazione economica russa”, il programma comunista, n° 6/2008.

(3) Idem.

(4) Il Sole24Ore, http://mobile.ilsole24ore.com/solemobile/main/art/economia/2014-12-27/tra-crisi-russa-e-petrolio-faccenda-diventa-seria-111208.shtml?uuid=ABAPrzVC

(5) “Uno sguardo alla situazione economica russa”, cit.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista)

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