DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Chi ha da tempo incontrato il nostro partito e segue la nostra stampa con continuità ha avuto modo di conoscere l'attenzione con cui seguiamo il corso storico del capitalismo mondiale.

Ma è sicuro che, nei nostri sessantacinque anni di lavoro, almeno un paio di generazioni di lettori si sono avvicendate e dunque per coloro che ci seguono da poco, o che ci seguono con simpatia (o magari con interessata antipatia), è necessario tornare a spiegare questo aspetto particolare del nostro complessivo lavoro di preparazione alla rivoluzione.

Seguire il corso storico del capitalismo mondiale non serve a soddisfare una curiosità statistica che assembli in un ordine comprensibile la pletora di dati che gli istituti di settore, nazionali e sovranazionali, mettono a disposizione degli studiosi, degli studenti, dei giornalisti, dei funzionari governativi – insomma, dell'affollatissima accademia dei “pugilatori a pagamento”, come Carlo Marx e Federico Engels bene definirono gli economisti “borghesi”, quelli cioè che hanno talmente introiettato le leggi con cui si muove la superficie del modo di produzione capitalistico da proporsi e raccontarsi come “intellettuali”, “scienziati” oggettivi e disinteressati... Dei “tecnici”, insomma.

Non serve nemmeno a descrivere solamente la dinamica della crescita dei singoli capitali aziendali, il loro conflittuale accentrarsi oppure la nascita, la crescita o la morte di questa o quella branca industriale o, ancora, i legami con questo o quell'altro stato nazionale... A questo può bastare la confusa pedanteria di una qualsiasi Lotta Comunista.

Il nostro scopo è completamente diverso e apertamente di parte.

I comunisti, coloro che collettivamente lavorano organizzati nel Partito Comunista dando vita nel tempo e nello spazio all'identità della classe proletaria, utilizzano i dati che gli stessi “pugilatori a pagamento” forniscono, per svelare quei movimenti, quelle leggi che evidenziano la natura storica, cioè transitoria, del modo di produzione capitalistico.

Come sempre, non inventano niente e non forniscono una delle tante interpretazioni possibili delle vicende umane, ma identificano le dinamiche che si nascondono dietro le percezioni ideologiche immediate. Soprattutto, dichiarano apertamente che quel che li muove non è la curiosità intellettuale del pensatore disincantato che analizza “le contraddizioni del pensiero altrui”, bensì la necessità di dare forza – cioè, braccia, gambe, cervello, operatività – alla classe di cui sono espressione (organo, non banale parte). Classe, che proprio dalla dinamica delle leggi del modo di produzione capitalistico di cui è figlia naturale, è costretta non solamente a “muoversi”, ma a lottare per la propria sopravvivenza prima e poi (un poi che non è una semplice successione temporale, ma l'indice di condizioni storiche la cui descrizione esula da questa breve nota) per la trasformazione radicale delle condizioni di vita dell'intera specie umana.

Ancora una volta, e anche da questo punto di vista, il comunismo non può che confermarsi come movimento che cambia lo stato di cose presenti, sulla scorta di quanto la dinamica storica dei rapporti umani (a buon intenditor: rapporti concretissimi di produzione e riproduzione) ha preparato nel succedersi delle generazioni.

E ancora una volta occorre riaffermare che il lavoro dei comunisti non è facile e non si può adagiare su quello che è il moto apparente, spontaneo, degli eventi: siano questi, come nel caso degli eventi economici, determinati da “interessi” squisitamente borghesi o generati dall'automatico esistere come classe in sé del proletariato (ma, di questo, in altra parte del nostro giornale).

Per riaffermare e continuare nell'invariante nostro lavoro e come promemoria del metodo di lavoro dei comunisti, riportiamo quattro tra gli innumerevoli testi che spiegano, appunto, questo faticoso metodo: i primi tre sono di Engels, il quarto è nostro.

 

L’aver compreso che la totalità dei fenomeni della natura sta in un nesso sistematico spinge la scienza a dimostrare questo nesso sistematico dappertutto, così nel particolare come nell’insieme. Ma un’esposizione adeguata, esauriente, scientifica di questo nesso, la costruzione di un’immagine concettuale esatta del sistema del mondo in cui viviamo resta impossibile per noi come per ogni altra epoca […] Gli uomini si trovano quindi davanti a questa contraddizione: da una parte, di aver da conoscere in modo esauriente il sistema del mondo in tutti i suoi nessi, dall’altra, sia per la propria natura che per la natura del sistema del mondo, di non poter mai assolvere compiutamente questo compito. Ma questa contraddizione non è insita solo nella natura dei due fattori, mondo e uomo, ma è anche la leva principale di tutto il progresso intellettuale e si risolve giornalmente e continuamente nell’infinito sviluppo progressivo dell’umanità, precisamente come certi problemi matematici trovano la loro soluzione in una serie infinita o in una frazione continua. In effetti, ogni immagine concettuale del sistema del mondo è e resta limitata oggettivamente dalla posizione storica, e soggettivamente dalla costituzione fisica e spirituale del suo autore”.

(da Friedrich Engels, AntiDühring, “Filosofia, Prima sezione, III”, Editori Riuniti, pp.36-37)


 

L’identità di pensiero ed essere, per esprimermi hegelianamente, corrisponde pienamente al Suo esempio del cerchio e del poligono. Ovvero entrambi, il concetto di una cosa e la sua realtà, corrono l’uno accanto all’altra come due asintoti, avvicinandosi sempre più e tuttavia non coincidono mai. Questa differenza di entrambi è proprio la differenza che fa sì che il concetto non sia senz’altro, immediatamente, la realtà e la realtà non sia immediatamente il suo proprio concetto. Ma il fatto che un concetto abbia la natura essenziale del concetto, che quindi non coincida senz’altro prima facie [a prima vista] con la realtà, dalla quale ha prima dovuto essere astratto, non toglie che esso sia pur sempre qualcosa più di una finzione, a meno che Lei non consideri delle finzioni tutti i risultati del pensiero, poiché la realtà corrisponde loro solo molto indirettamente, e anche allora in modo solo asintoticamente approssimativo”. 

(da una lettera di Friedrich Engels a Conrad Schmidt, 12 marzo 1895, in Lettere di Engels sul materialismo storico. 1889-’95, Edizioni Iskra, pp.85-86)


 

Nel giudicare avvenimenti e serie di avvenimenti della storia contemporanea non si sarà mai in condizione di risalire sino alle cause economiche ultime. Persino oggi, che la stampa tecnica specializzata fornisce un materiale così ricco, non è possibile nemmeno in Inghilterra seguire giorno per giorno il corso dell’industria e del commercio sul mercato mondiale e i mutamenti che sopravvengono nei metodi di produzione, in modo da poter in qualsiasi momento fare il bilancio generale di questi fattori multiformi, complessi e in continua mutazione, fattori di cui i più importanti, inoltre, agiscono a lungo e in modo latente prima di erompere improvvisamente e violentemente alla superficie. Una netta visione della storia economica di un periodo determinato non può mai formarsi contemporaneamente, ma soltanto successivamente, dopo che sia stato raccolto e studiato il materiale. La statistica è qui un ausiliare necessario ed arriva sempre in ritardo. Per la storia contemporanea corrente si è quindi costretti anche troppo spesso a considerare questo fattore, che è il più decisivo, come costante, ad assumere come data e immutabile per l’intero periodo la situazione che si riscontra all’inizio del periodo considerato, o a prendere in considerazione soltanto quei mutamenti di questa situazione che sgorgano da avvenimenti che sono manifesti e che perciò si presentano essi pure in modo aperto. Il metodo materialista dovrà perciò limitarsi anche troppo spesso a ricondurre i conflitti politici a lotte di interessi delle classi sociali e delle frazioni di classe preesistenti, determinate dall’evoluzione economica, e a ravvisare nei singoli partiti politici l’espressione politica più o meno adeguata di queste stesse classi o frazioni di classe. È evidente che tale inevitabile negligenza di quei mutamenti della situazione economica – base vera di tutti gli avvenimenti che si devono indagare – che si producono durante gli avvenimenti stessi, non può essere che una fonte di errori”.

(da Friedrich Engels, “Introduzione” alla prima ristampa del testo di Karl Marx, Le lotte di classe in Francia, in Marx-Engels, Opere Scelte, Editori Riuniti, pp.1257-58)


 

Il metodo applicato nel Capitale, che si riflette nella struttura a prima vista sconcertante dell’opera, è stato definito da Marx nel modo più generale nel 3° paragrafo della Introduzione (1857), alla Critica dell’economia politica, intitolato  Il metodo dell’economia politica (i corsivi sono nostri) [1]: ‘Sembra corretto cominciare con il reale ed il concreto, con l’effettivo presupposto; quindi, per esempio nell’economia, con la popolazione, che è la base ed il soggetto dell’intero atto sociale di produzione. Ma, ad un più attento esame, ciò si rivela falso. La popolazione è un’astrazione, se ad esempio tralascio le classi di cui si compone. E le classi sono a loro volta una parola priva di senso, se non conosco gli elementi su cui esse si fondano, per esempio lavoro salariato, capitale, ecc. E questi presuppongono scambio, divisione del lavoro, prezzi, ecc… Se cominciassi quindi con la popolazione, avrei una rappresentazione caotica dell’insieme e, precisando più da vicino, perverrei via via analiticamente a concetti più semplici; dal concreto rappresentato ad astrazioni sempre più sottili, fino a giungere alle determinazioni più semplici. Da qui si tratterrebbe poi d’intraprendere nuovamente il viaggio a ritroso, fino ad arrivare di nuovo alla popolazione, ma questa volta non come ad una caotica rappresentazione di un insieme, bensì come ad una ricca totalità.

Notando che partendo dalla ‘totalità vivente’, gli economisti classici hanno sempre finito per trovare ‘alcune relazioni determinanti generali, astratte’, sulla cui base hanno costruito ‘sistemi economici che dal semplice salivano fino al concreto’, Marx conclude: ‘Quest’ultimo è chiaramente il metodo scientificamente corretto. Il concreto è concreto perché sintesi di molte determinazioni, quindi unità del molteplice… Per la prima via [che parte dal concreto e dal complesso - NdR] la rappresentazione concreta si è volatilizzata in una determinazione astratta; per la seconda [dal semplice e dall’astratto al concreto - NdR] le determinazioni astratte conducono alla riproduzione del concreto per la via del pensiero’.

Il movimento dal I e dal II Libro – che trattano rispettivamente del ‘Processo di produzione del capitale’ e del ‘Processo di circolazione del capitale’ – al III Libro, che tratta del ‘Processo di insieme della produzione capitalistica’, è appunto quel movimento dal semplice e dall’astratto al concreto e al complesso, che Marx qui sopra definisce come ‘il metodo scientificamente corretto’. Ma è unicamente perché nella prima parte le ‘determinazioni astratte’ sono state razionalmente stabilite, che la seconda, ‘il processo di insieme’, non appare più come un inestricabile caos (contrariamente a quanto avviene nell’economia politica di cui Marx ha intrapreso la critica a fini rivoluzionari), ma come una ‘ricca totalità’.

Qual è dunque la ‘determinazione astratta’ dalla quale parte Marx e che gli permette di giungere ad una rappresentazione intelligibile della realtà empirica, concreta? Questa determinazione – egli stesso vi insiste ripetutamente – è il capitale in generale: ‘Io faccio astrazione dalla moltitudine dei capitali reali e dalla concorrenza fra di loro, che non è se non il rapporto del capitale con se stesso in quanto capitale altrui, e che perciò non può essere delucidato senza che lo sia stata la nozione stessa di capitale in generale. […] L’intervento di molti capitali reali non deve turbare la nostra analisi. Al contrario, il rapporto tra i diversi capitali diverrà chiaro solo quando avremo messo in evidenza ciò che hanno tutti in comune: il fatto di essere capitale” (Grundrisse…). ‘E’ necessario definire esattamente lo sviluppo del concetto di capitale, perché esso costituisce il concetto fondamentale dell’economia moderna, e la struttura stessa del capitale la cui immagine astratta si ritrova nella società borghese. Se abbiamo ben afferrato le condizioni preliminari del rapporto capitalistico, dobbiamo essere in grado di dedurne tutte le contraddizioni della produzione borghese, così come tutti i limiti che essa tende continuamente a superare’, senza tuttavia, aggiungiamo noi, mai giungere a superare il rapporto capitalistico quale è descritto nel Libro I: salto che può essere compiuto solo dalla rivoluzione sociale, la cui condizione e il cui punto di partenza è la rivoluzione politica del proletariato.

Ciò che distingue il capitale-in-generale da tutte le altre forme della ricchezza è il fatto di essere un valore creatore di plusvalore. Il punto di partenza di Marx implica quindi che egli cominci col valore stesso. Ecco perché la prima sezione del Libro I è intitolata: Merce e denaro. Egli deve poi cercare come il valore semplice si trasformi in valore creatore di plusvalore: è l’oggetto della seconda sezione intitolata: ‘La trasformazione del denaro in capitale’ (nella quale rientrano di fatto i capitoli intitolati rispettivamente: ‘III sezione – La produzione del plusvalore assoluto’; ‘IV sezione – La produzione del plusvalore relativo’; ‘V sezione – La produzione del plusvalore assoluto e relativo’; ‘VI sezione – Il salario).

Infine, deve cercare come la produzione del plusvalore implichi la riproduzione non soltanto semplice ma allargata del capitale, e quindi dell’intero rapporto capitalistico: è l’oggetto della VII sezione intitolata: ‘Il processo di accumulazione del capitale’ (nella quale rientra il capitolo XXIV intitolato: ‘La cosiddetta accumulazione originaria’).

E’ quindi perfettamente esatto dire, come si legge nei nostri Elementi dell’economia marxista: ‘Il I Libro copre il campo completo della dottrina di Marx sul capitalismo’ ed è ‘l’ossatura costruttiva’ dell’insieme, perché ‘conduce di getto lo studio economico di tutto il processo, dal primo scambio a tipo di baratto, attraverso la nascita e l’accumulazione del capitale, fino alla conclusione che al capitalismo succederà una economia sociale e non mercantile, tracciata lapidariamente nell’ultimo capitolo. I dati, lo studio e le leggi della circolazione [oggetto del Libro II] sono già pienamente compresi in questo sviluppo’.

Contenute nel I Libro, le ‘determinazioni astratte’ del processo di circolazione saranno riprese e sviluppate nel Libro II, che contiene: ‘I sezione – Le metamorfosi del capitale e il loro ciclo’; ‘II sezione – La rotazione del capitale’; ‘III sezione – Riproduzione e circolazione del capitale sociale totale’.

Quando arriviamo alla fine del II Libro, l’analisi del capitale in generale è interamente compiuta. Quale sarà l’oggetto del III Libro? E’ ancora una volta lo stesso Marx a dircelo nelle frasi introduttive del capitolo I di questo Libro: ‘Nel I Libro sono stati studiati gli aspetti fenomenici che il processo di produzione capitalistico, preso per sé, offre in quanto processo di produzione immediato, facendo astrazione da tutti gli effetti secondari di circostanze ad esso estranee. Ma questo processo di produzione immediato non esaurisce il ciclo di vita del capitale. Nel mondo reale esso è completato dal processo di circolazione, che è stato oggetto delle ricerche del II Libro. Qui, specialmente nella III sezione, si è visto, trattando del processo di circolazione come mediatore del processo di riproduzione sociale, che il processo di produzione capitalistico, preso nell’insieme, è unità di processo di produzione e processo di circolazione. In questo III Libro non si tratta di esporre riflessioni generali su questa unità. Si tratta piuttosto di scoprire e descrivere le forme concrete alle quali dà vita il processo di movimento del capitale considerato come un tutto. Nel loro movimento reale i capitali si affrontano in tali forme concrete, per cui la forma del capitale nel processo di produzione immediato, come la sua forma nel processo di circolazione, appaiono soltanto come particolari momenti. Le forme del capitale, come le esponiamo in questo Libro, si avvicinano quindi passo passo alla forma in cui si manifestano alla superficie della società, nell’azione reciproca dei diversi capitali, della concorrenza, e nella coscienza comune degli agenti stessi della produzione’.

In questo III Libro, quindi non soltanto vedremo le categorie marxiste – valore, plusvalore, capitale costante, capitale variabile, saggio di plusvalore – riapparire sotto il travestimento delle categorie borghesi – profitto, costo di produzione, saggio di profitto – come avviene nelle tre prime sezioni; ma vedremo anche nelle tre sezioni successive (coronate dalla breve sezione VII – ‘I redditi’) le forme di esistenza passeggere analizzate nel Libro II – capitale denaro, capitale produttivo, capitale merci – cristallizzarsi in forme di esistenza particolari – capitale finanziario, capitale industriale, capitale commerciale -; vedremo il plusvalore, già metamorfosato in profitto, ripartirsi ulteriormente in interesse e utile d’intrapresa, e il sovraprofitto convertirsi in rendita fondiaria. Arrivato a questo punto della ‘riproduzione del concreto per la via del pensiero’, Marx indica, nel piano primitivo del Capitale formulato nell’ultimo paragrafo de ‘Il metodo dell’economia politica’ citato più sopra, che bisognava affrontare: ‘I rapporti internazionali della produzione; la divisione internazionale del lavoro; lo scambio internazionale; le esportazioni e le importazioni; il corso dei cambi; il mercato mondiale e le crisi’.

Determinata da considerazioni logiche, la struttura di insieme del Capitale trova così naturalmente una giustificazione storica, che Mqarx definisce come segue: ‘Nell’analisi del capitale in generale, non abbiamo ancora a che fare né con questa o con quella forma particolare, né col capitale individuale. In effetti, ci troviamo al suo processo genetico. Ora, questo non è che un’espressione ideale dello sviluppo reale attraverso il quale diventa capitale. In cambio, i rapporti ulteriori dovranno essere considerati come sviluppi a partire da questo germe’ (Grundrisse…).

Detto ciò, tutto lo studio precedente del metodo di Marx distrugge senza appello la scappatoia dei detrattori impotenti o interessati del Capitale che, pretendendo ch’esso ‘descriva il capitalismo concorrenziale del XIX secolo’, concludono con disinvoltura che è un’opera ‘superata’, incapace di spiegarci il capitalismo monopolistico del XX! Supponendo infatti (cosa evidentemente falsa) che nessuna delle categorie e delle forme empiriche del capitale trattate nel Libro III sia più osservabile ‘alla superficie’ della società borghese contemporanea, l’analisi scientifica del capitale in generale nei Libri I e II rimarrebbe pur sempre interamente in piedi. Ecco perché la pretesa di analizzare ‘il capitalismo concreto dei nostri giorni’ partendo direttamente da esso e facendo astrazione dai risultati dei Libri I e II, può soltanto sfociare, sul piano scientifico, in un miserabile aborto e, sul piano politico-sociale, in un rigurgito delle assurde rivendicazioni e riforme che, già in passato, vennero bugiardamente presentate come socialismo (come nel caso di due opere contemporanee, ritenute basilari dai ‘sinistroidi’: Il capitale monopolistico di Baran e Sweezy e Lo scambio ineguale – titolo quanto mai suggestivo – di Emmanuel).

Tutta questa delucidazione metodologica non deve quindi essere considerata come un hors d’oeuvre superfluo e meno ancora come un semplice ornamento: destinata ad orientare il militante che affronta lo studio dell’opera fondamentale di Marx nel dedalo apparente della sua composizione ‘in spire successive’, essa giustifica egualmente il modo in cui la prefazione agli Elementi dell’economia marxista definiva il lavoro che incombe a noi, modesti allievi dei maestri del socialismo scientifico: trarre, come loro, la verifica, il controllo della teoria generale, e la prova della sua efficacia, dallo studio dei fenomeni particolari attuali dello sviluppo capitalistico, perché, in quanto metodo scientifico, il metodo del Capitale è anche necessariamente un metodo sperimentale”.

[1] L’introduzione non compiuta da Marx (e da non confondersi con la celebre Prefazione edita) è stata pubblicata per la prima volta nell’edizione tedesca dei Grundrisse der politischen Oekonomie (1939-1941), ora anche tradotti in italiano.
 

(“Il metodo del Capitale e la sua struttura”, 1969, in Elementi dell'economia marxista, Edizioni Il programma comunista, Milano, 1991, pp.93-96)

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°04 - 2013)

 

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
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