DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Nostri testi

Appena pochi mesi fa, in un discorso tenuto a Washington il 4 novembre 2011, il Segretario di Stato aggiunto statunitense, William J. Burns, ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Nel corso dei prossimi decenni, il Pacifico diventerà la parte del mondo più dinamica e la più importante per gli interessi americani. Questa zona raccoglie già più della metà della popolazione mondiale, degli alleati chiave, delle potenze emergenti e alcuni dei principali mercati economici”. Nello stesso mese, il Segretario di Stato Hillary Clinton scriveva un articolo per la rivista Foreign Policy, dal titolo eloquente: “Il secolo del Pacifico per l’America”.

L’articolo di Le Monde Diplomatique/Il Manifesto (“Quando il Pentagono si interessa al Pacifico”, marzo 2012), da cui abbiamo tratto questi materiali e le citazioni che seguono, parla della “futura strategia di difesa degli Stati Uniti” di recente delineata dal presidente Obama, che prevede “la riduzione degli effettivi dell’esercito e la conclusione di alcune missioni, in particolar modo i combattimenti meccanizzati di terra in Europa e le operazioni contro-insurrezionali in Afghanistan e in Pakistan [con lo scopo di] concentrarsi meglio su altre regioni – in particolare Asia e Pacifico – e obiettivi: la cyber guerra, le operazioni speciali e il controllo dei mari” (corsivo nostro). La zona interessata da questo controllo è naturalmente quella che va “dal Golfo Persico-arabo al nord-ovest del Pacifico, passando per l’Oceano Indiano e il Mar Cinese”. A tal fine, il governo statunitense ha rafforzato i rapporti diplomatici con Indonesia, Filippine, Vietnam e ripristinato rapporti ufficiali con la Birmania, e sta cercando di ampliare il commercio americano in Asia, caldeggiando “l’adozione di un trattato multilaterale di libero scambio: la partnership transpacifica (TransPacific Partnership, TPP)”, con l’obiettivo di “neutralizzare l’ascesa della Cina e la sua influenza nel sud-est asiatico” (sempre Burns ha ricordato che “la metà del tonnellaggio mercantile passa ormai dal Mar Cinese meridionale”). In quest’ottica, si situa anche il progetto statunitense di creare una nuova base a Darwin, sulla costa nord dell’Australia, e si comprende il rifiuto da parte del presidente Obama di ridurre gli effettivi della flotta (mentre si riducono quelli dell’esercito da 570mila a 490mila). Le forze navali (in particolare le portaerei e le flottiglie), gli aerei e i missili di ultima generazione costituiranno dunque il nerbo del “potere di proiezione” statunitense nel Pacifico.

Ma si tratta davvero di un… cambio di rotta, per restare in ambito marinaro?

Nel 1890, l’ammiraglio statunitense Alfred T. Mahan pubblicava un libro intitolato L’influenza del potere marittimo sulla storia, 1660-1783, in cui, dallo studio delle “guerre per mare” del passato, traeva la conclusione della necessità, per lo stato americano, di giungere al più presto alla creazione, non solo di una robusta flotta mercantile, ma – per proteggerla e “proiettarla in avanti” – di un’ancor più robusta flotta militare e di una serie di avamposti in punti chiave come il Golfo del Messico e il Pacifico. Conclusa la propria sistemazione nazionale (Guerra Civile, 1861-64; conquista e colonizzazione delle terre all’ovest, con sradicamento e genocidio delle popolazioni indigene), delineato un mercato interno stabile e in crescita, creato un serbatoio di manodopera immenso e tanto diversificato quanto ricattabile (contadini falliti e proletarizzati, ex-schiavi neri, immigrati dal Vecchio Mondo e dall’Asia, oltre a un grosso strato di aristocrazia operaia rappresentata dalla “vecchia” classe operaia, di origine anglo-sassone), il capitalismo statunitense poteva avanzare a grandi passi nella sua fase suprema, quella imperialista (peraltro già in nuce nei decenni precedenti). Non a caso, quell’anno 1890 in cui venne pubblicato il libro di Mahan, coincidente con la “chiusura della Frontiera” (non esistevano più, a ovest, terre “libere” da colonizzare) e con l’ultimo grande massacro delle popolazioni indigene (a Wounded Knee), apriva il decennio delle cosiddette “splendide guerricciole”, come vennero chiamati gli interventi militari (sempre con il pretesto di… liberare le popolazioni oppresse!) a Cuba, a Portorico, a Guam, nelle Filippine, nelle Hawaii – una geografia d’interventi militari, che creò per l’appunto quella catena di avamposti e stimolò lo sviluppo dell’industria degli armamenti – e delle navi in primis. La Prima e soprattutto la Seconda guerra mondiale avrebbero fatto il resto: la flotta statunitense emergeva da esse come una mostruosa macchina da guerra sui mari.

Come dimostra dunque l’articolo che ripubblichiamo di seguito, uscito sulle pagine di questo giornale nel 1957, la strategia delineata dal presidente Obama non è nulla di nuovo: non fa che continuare, con potenza distruttiva ancor più micidiale, una tendenza che è inscritta nella natura stessa dell’imperialismo – per l’appunto, l’“imperialismo delle portaerei”.

 

L’imperialismo delle portaerei (1957)

L'imperialismo, nel suo aspetto generale di conquista e dominazione di organismi politici ed economici, da parte di un centro statale superiore, non è fatto esclusivo del capitalismo. A prescindere dal loro contenuto sociale, esistono numerosi tipi dello stesso fenomeno storico: un imperialismo asiatico, un imperialismo greco-romano, un imperialismo feudale e finalmente un imperialismo capitalista. Agli operai rivoluzionari interessa, soprattutto, la differenza sostanziale che distingue l'imperialismo capitalista dal suo contrapposto storico, e cioè l'imperialismo feudale.

Sempre tacendo le altre differenze fondamentali, l'imperialismo feudale e l'imperialismo capitalista si distinguono nettamente in quante l'uno si manifestò in costruzioni statali che avevano un fondamento territoriale e terrestre, mentre l'altro si presentò sulla scena storica soprattutto come dominazione mondiale fondata sulla egemonia navale, e quindi sul dominio delle grandi vie oceaniche. Sotto il feudalesimo, poteva esercitare una funzione imperialistica il potere statale che disponeva del primato militare terrestre; sotto il capitalismo, invece, che è il modo di produzione che ha portato ad altezze inaudite la produzione di merci ed esasperato fino all'inverosimile i fenomeni del mercantilismo già insiti nei precedenti modi di produzione, l'imperialismo è connesso al primato navale, oggi divenuto primato aeronavale.

Imperialismo capitalista è anzitutto egemonia nel mercato mondiale. Ma, per conquistare tale supremazia, non bastano una possente macchina industriale e un territorio che le assicuri le materie prime. Occorre una grandissima marina mercantile e militare, cioè il mezzo con cui controllare le grandi vie intercontinentali del traffico commerciale. Gli avvenimenti storici mostrano infatti come la successione nel primato imperialista sia strettamente legata, in regime di mercantilismo capitalista, alla successione nel primato navale.

La decadenza della Repubblica veneta, che assurse a grande potenza e splendore all'epoca delle Crociate, prese inizio dalla perdita del monopolio del commercio tra l'Asia e l'Europa. Il traffico intercontinentale si svolgeva, parte per via mare, e cioè nel Mediterraneo e nel Mar Rosso, parte per via terra. Infatti, non esistendo un canale che tagliasse l'istmo di Suez, bisognava trasbordare le merci portate dalle navi che attraccavano ai porti della costa egiziana del Mar Rosso, su traini terrestri e fluviali che assicuravano il collegamento coi porti mediterranei, tra i quali primeggiava Alessandria.

La scoperta dell'America aveva resi il Portogallo e la Spagna padroni di vasti imperi coloniali, i primi nella storia dell'imperialismo moderno. Veri precursori dell'imperialismo del tipo statunitense, i Portoghesi non si preoccuparono della occupazione di grandi territori, badando soprattutto a impossessarsi dei passaggi obbligati del traffico mondiale. Nell'ambito di tale grandioso piano, era indispensabile conquistare l'egemonia nell'Oceano Indiano, ponte di passaggio tra i continenti più progrediti dell'epoca: l'Europa e l'Asia. Avvenne così che, partendo dalla Colonia del Capo, conquistata nei primi anni del '500, essi misero le mani su Ceylon e su Malacca, spingendosi fino all'arcipelago della Sonda, e più tardi in Cina, dove occuparono Macao. Ma il colpo che ferì mortalmente la supremazia veneziana fu l'occupazione portoghese dell'isola di Socotra e dello stretto di Ormuz, situati rispettivamente all'ingresso del Mar Rosso e del Golfo Persico. In tal modo, le antiche vie d'acqua e di terra del commercio euro-asiatico furono interrotte, e le navi che tentavano di violare il blocco portoghese spietatamente colate a picco. Allora la Repubblica di Venezia e il Sultano d'Egitto, per salvare gli interessi comuni, strinsero alleanza contro i nuovi padroni dell'Oceano Indiano, ma la flotta alleata fu sconfitta nella battaglia di Diu (1509).

Il risultato finale della lotta fu che il traffico intercontinentale venne deviato sulle rotte atlantiche, per cui Lisbona divenne il centro del commercio mondiale e la capitale della maggiore potenza imperialistica dell'epoca, mentre Alessandria decadde rapidamente. La Repubblica di Venezia, ad onta del formidabile colpo, riuscì bensì a durare a lungo, ma il suo primato imperialista era ormai perduto.

La storia successiva non si svolse in maniera diversa. Essa dimostra che l'imperialismo borghese è l'imperialismo delle flotte, perché il suo regno è il mercato mondiale. Chi possiede l'egemonia mondiale nel campo navale si abilita all'egemonia nel campo del commercio mondiale, che è il vero fondamento dell'imperialismo capitalista. Due guerre mondiali provano come l'imperialismo degli eserciti ceda inevitabilmente il terreno all'imperialismo delle flotte. Due volte potenze terrestri come gli Imperi Centrali e l'Asse nazi-fascista si sono misurate con le potenze anglosassoni, superiori nel mare e nell'aria, e due volte sono uscite dal conflitto totalmente sconfitte.

La seconda guerra mondiale ha presentato un fatto nuovo, ma che si spiega con le secolari leggi di sviluppo dell'imperialismo. Infatti, non solo le potenze terrestri hanno riportato un'assoluta sconfitta, ma anche una potenza del campo a loro avverso – la Gran Bretagna – è uscita disfatta dall'immane lotta, e non per capacità distruttiva del nemico, ma per superiore potenzialità navale e commerciale del maggiore alleato: l'America. Per la Gran Bretagna, la Seconda Guerra Mondiale, quanto ad effetti provocati nell'equilibrio navale mondiale, doveva rappresentare quello che per la Repubblica di Venezia rappresentò la battaglia di Diu. Infatti l'Inghilterra non può certo dirsi distrutta, ma il suo primato navale e la sua egemonia sono definitivamente tramontate. Il declassamento della flotta ha comportato la disgregazione dell'impero coloniale britannico che appunto la flotta teneva unito.

Oggi è l'epoca dell'imperialismo americano. Non a caso gli Stati Uniti hanno ripetuto a danno dell'Europa la manovra strategica inaugurata dai Portoghesi nel secolo XV. Sbarrando la via d'acqua del traffico commerciale Europa-Asia (sappiamo tutti che il Canale di Suez non sarebbe stato bloccato se Nasser non avesse goduto dell'appoggio statunitense contro l'Inghilterra), gli Stati Uniti hanno preso per la gola l'Europa e definitivamente distrutto le residue tradizioni imperialistiche britanniche. Sappiamo che cos'è l'imperialismo del dollaro: esso non occupa territori, anzi "libera" quelli su cui grava ancora la dominazione colonialista e li aggioga al carro della sua onnipotenza finanziaria, sulla quale veglia la flotta aeronavale più potente del mondo. L'imperialismo americano si presenta come la più pura espressione dell'imperialismo capitalista, che occupa i mari per dominare le terre. Non a caso la sua potenza si fonda sulla portaerei, nella quale si compendiano tutte le mostruose degenerazioni del macchinismo capitalista che spezza ogni rapporto tra i mezzi di produzione e il produttore. Se la tecnica aeronautica assorbe i maggiori risultati della scienza borghese, la portaerei è il punto di incontro di tutti i rami della tecnologia di cui va orgogliosa la classe dominante. Coloro che sono abbacinati dall'imperialismo russo fino a dimenticare la tremenda forza di dominazione ed oppressione della potenza statunitense, rischiano di cadere vittime delle deviazioni democratiche e liberaloidi che sono il peggiore nemico del marxismo. Non a caso la predicazione liberal-democratica ha il suo pulpito maggiore nella sede del massimo imperialismo odierno. Essi non vedono come la Russia, il cui espansionismo si svolge tuttora nelle forme del colonialismo (occupazione del territorio degli Stati minori), è ancora alla fase inferiore dell'imperialismo, l'imperialismo degli eserciti, cioè il tipo che per due volte è stato sconfitto nella guerra mondiale. Dicendo ciò, non si cambia una virgola alla definizione che diamo della Russia: Stato capitalista. Si constata un dato di fatto. Tutti gli Stati esistenti sono nemici del proletariato e della rivoluzione comunista, ma la loro forza non è eguale. Quel che conta soprattutto per il proletariato, il quale vedrà coalizzarsi contro di lui tutti gli Stati del mondo appena si muoverà per conquistare il potere, è prendere coscienza della forza del suo più tremendo nemico, il più armato di tutti e capace di portare la sua offesa in qualunque parte del mondo. L'imperialismo a forza prevalentemente terrestre fu proprio del feudalesimo. Ciò non vuol dire che le potenze imperialistiche che dispongono di una limitata potenza navale tramandino tradizioni feudali, giacché, se questo fosse vero, il Giappone avrebbe raggiunto all'epoca della Seconda Guerra Mondiale un livello capitalista superiore a quello toccato dalla Germania, visto che la flotta nipponica era più agguerrita di quella tedesca. Vuol dire soltanto che, nel confronto delle potenze imperialistiche, o aspiranti all'imperialismo, è al primo posto la potenza che possiede la flotta più grande. È questa che, ai fini della conservazione e repressione capitalista, riveste un'importanza maggiore. Orbene, quale potenza mondiale può oggi svolgere operazioni di polizia di classe in qualsiasi parte del mondo, se non quella che possiede la maggior forza e mobilità? La Russia, dunque? No, anche se gli avvenimenti ungheresi sembrano averle consegnato il diploma di primo gendarme della controrivoluzione mondiale. Invero tale compito può essere svolto unicamente dagli Stati Uniti, cioè dall'imperialismo delle portaerei. Per essere precisi: delle cento portaerei.

La marina da guerra degli Stati Uniti dispone attualmente di ben centotré navi portaerei, sulle quali possono far base – scrive Il Tempo – cinquemila aeroplani, compresi velivoli a reazione e bombardieri di medio raggio, e varie centinaia di elicotteri. Fra alcuni mesi i cantieri navali di New York e Newport consegneranno alla US Navy altre tre grandi portaerei: la Ranger, la Indipendence e la Kitty Hawk. Un'altra dello stesso tipo (classe Forrestal) è stata ordinata ai cantieri di New York. Queste navi, attualmente le più grandi esistenti nelle marine militari del mondo, sono lunghe 315 metri, dispongono ognuna di 100 aeroplani, possono raggiungere la velocità di 35 nodi ed hanno a bordo 3.360 uomini di equipaggio e 466 ufficiali. Quanto è costata la Forrestal? Duecentodiciotto milioni di dollari, pari a centotrenta miliardi e ottocento milioni di lire. Queste unità saranno superate in dimensioni e caratteristiche dalla superportaerei della classe CVAN (Nuclear Attack Aircraft Carriers) che dislocherà 85 mila tonnellate (dinanzi alle 60 mila delle Forrestal) avrà un ponte di volo lungo circa 400 metri e, azionata da otto turbine ad energia atomica, raggiungerà una velocità e un'autonomia finora mai conosciute da alcuna potenza navale. Per finire, le superportaerei della classe CVAN saranno dotate di missili radiocomandati. E figurarsi che cosa tenderà a divenire questa macchina di dominazione e di guerra – col po' po' di bilancio per la difesa annunziato da Ike – ora che gli USA non solo promettono aiuti economici al Medio Oriente, il quale prima o poi dovrà accettarli, ma cortesemente si offre di difenderli caso mai chiedessero (richiesta... su comando) il loro benevolo aiuto militare!

La storia non ha mai visto una potenza così spaventosa, permanentemente in agguato nei mari. L'imperialismo delle portaerei è l'ultima tremenda risorsa della dominazione di classe che non intende perire. Con esso la rivoluzione proletaria dovrà combattere la battaglia decisiva. Assumono così una chiarezza folgorante le tesi leniniste sulla rivoluzione mondiale, e cadono miseramente le traditrici pseudo-dottrine delle "vie nazionali al socialismo". La borghesia non si può abbattere nazione per nazione, Stato per Stato, ma solo attraverso la rivoluzione dei continenti e l'abbraccio insurrezionale dei proletariati al di sopra delle frontiere.

Quale garanzia di durata avrebbe uno Stato rivoluzionario del proletariato sorto in una parte qualsiasi del mondo, ove l'imperialismo americano fosse in grado di maneggiare dagli oceani le sue spaventose armi di distruzione? Per schiacciare la potenza repressiva del capitale occorrerà che il proletariato si rivolti in armi alla scala mondiale contro la classe dominante. Esiste allora una sola "via" al socialismo: quella internazionale ed internazionalista.

L'imperialismo americano, con le sue cento portaerei, non monta la guardia soltanto alla propria sicurezza nazionale. Esso monta la guardia al privilegio capitalista in ogni parte del mondo, dovunque il proletariato rappresenti una minaccia alla conservazione borghese Perché mai, di fronte alla classe nemica che unifica la sua difesa, il proletariato dovrebbe frazionare le proprie forze nell'ambito delle varie nazioni? La superba flotta navale americana, che oggi terrorizza il mondo, diventerà un ammasso di ferrivecchi se il vulcano della Rivoluzione riprenderà ad eruttare. Ma bisognerà che l'incendio, si appicchi alle nazioni e ai continenti: all'Europa, all'Asia, all'Africa, ma soprattutto all'America. Vedremo allora che cosa diventa una super-portaerei atomica quando l'equipaggio innalza la bandiera rossa.

Non ci nascondiamo affatto che occorrerà attendere non poco per vederlo. Ma siamo certi che non si riuscirebbe a vederlo né presto né tardi se le avanguardie del proletariato non acquisissero un'esatta nozione dell'imperialismo capitalista.

Da "Il programma comunista" n. 2/1957

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°03 - 2012)

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
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