DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

(Da "Il Socialista" del 22 ottobre 1914)

 

L'argomento di attualità per tutti i nostri avversari è l'atteggiamento assunto da Benito Mussolini. Si vuole ad ogni costo aprire una breccia nell'atteggiamento antiguerresco del Partito socialista, e si spera di riuscirvi proprio attraverso quello che sembrava uno dei baluardi imprendibili: il pensiero e l'azione dell'Avanti!. Ma neanche questa volta il Partito socialista si darà per vinto. Esso ha dimostrato di possedere una coscienza collettiva, così ostinata - se si vuole - a non decampare dal programma tracciatosi, e così iconoclasta, da passare trionfalmente, più vivo e vitale che mai, attraverso le ormai incessanti marce funebri che gli suonano tutti gli organetti sfiatati del politicantismo italiano. A parte le balorde esagerazioni sulla portata del pensiero di Mussolini - da cui abbiamo già espresso l'aperto dissenso nostro -, è ormai certo che il socialismo può, ove occorra, fare a meno anche di lui, qualunque sia il contributo imponente di energie che egli ha dato e dà per la comune battaglia. Ciò si vede anzitutto dalla terribile revisione prospettata dall'eretico e inquieto ingegno di Mussolini ed ha riconfermato la linea di azione dei socialisti italiani contro qualsiasi partecipazione dello Stato italiano alla guerra.

Esaminiamo - ciò premesso - a volo d'uccello l'opinione del Direttore dell'Avanti! così elegantemente prospettata nel numero del 18. E' meglio farne una fugace analisi psicologica che una lunga disamina teorica. La preoccupazione di mettersi nel campo della realtà equivale ad accettare l'insidia polemica - e pratica - dei nostri avversari, che pretendono di porre i principi del socialismo su altra base che quella della realtà che ci circonda, per demolirne così la potenzialità sovvertitrice. La preoccupazione di "fare il gioco" degli austro-tedeschi è un'altra insidia dalla quale credevamo di essere usciti durante la crisi che ci ha condotti all'attuale intransigenza. On fait toujours le jeu de quelqu'un. Il timore di permettere che il presente sia sopraffatto dal passato, mentre noi ci illudiamo di lavorare per l'avvenire, è squisitamente riformistico. Il presente, quando noi staremo per travolgerlo, griderà sempre al pericolo contro le risurrezioni del passato. Il rivoluzionarismo marxista dovrebbe portarci ben fuori di questo tranello. Ci pare indiscutibile che Mussolini ha vacillato. E' caduto nell'inganno che le vicende della realtà storica tendono a tutti quelli che vogliono superarle.

Mussolini non è poi giunto che ad una formula che al solito svantaggio di essere astratta aggiunge l'altro di essere contraddittoria. Neutralità attiva ed operante? Ci pare che non voglia dir nulla.

Il concetto di neutralità ha per soggetto non i socialisti, ma lo Stato. Noi vogliamo che lo Stato resti neutrale nella guerra, assolutamente, fino all'ultimo, checché avvenga. Per ottenere ciò noi agiamo su di esso, contro di esso, nel campo e coi mezzi della lotta di classe. Da questa non vogliamo disarmare. La nostra guerra è permanente, scoppia talora come nel giugno in aperta rivolta, ma non concede armistizi. Oggi siamo vittime di un mauvais mot. Neutralisti noi? Ci si accusa subito di pacifismo. Noi, invece, sostenendo che lo Stato deve restar neutrale, ne restiamo gli aperti nemici, attivi ed operanti. Abbiamo col governo Salandra molte partite da regolare. Agitiamoci per le vittime politiche. Seguitiamo la propaganda e l'opera antiborghese, antimilitarista.

Non concediamo sospensive o tregue, chiudiamo la strada al miraggio dell'unanimità nazionale che ha abbacinato i compagni francesi e tedeschi.

Questa non è viltà pacifista.

Ed è tanto meno "egoismo nazionale," in quanto potrebbe mettere domani la nazione in condizioni d'inferiorità militare dinanzi all'eventuale nemico. Sulla qual cosa non dovremo avere scrupoli. Tutto ciò nel campo della valutazione generica - a parte l'analisi della realtà di cui siamo testimoni, da cui non dobbiamo recedere, ma che abbiamo svolta e svolgeremo in tutte le forme di propaganda, ritenendo che finora ne scaturiscano conclusioni che non distruggono affatto il socialismo rivoluzionario e antimilitarista.


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