DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Guardate, proletari italiani, al gioco politico di questa vigilia elettorale! Cercate di intendere, sulla traccia di quella esperienza che vi siete formata attraverso tanti disinganni, il significato delle mosse e delle manovre dei protagonisti di questa commedia, che il 15 maggio avrà il suo scioglimento nell'urna.

Ancora in gran parte le masse italiane sono trascinate nella scia di un partito troppo incapace a dare degli avvenimenti una coscienza che superi i vieti luoghi comuni e le considerazioni della più meschina politica da farmacie provinciali. Ma il partito comunista che ha come preliminare suo compito quello di dare ben altro respiro ed altra penetrazione alla esperienza critica del proletariato deve oggi più che mai soccorrere nel denudare il gioco degli avversari, nello squarciare il velario dietro cui si tresca un'ignobile trama.

Ricordate le elezioni del 1919? Parvero la crociata più pura contro le traballanti difese di un regime, in nome e per l'avvento della dittatura proletaria, della repubblica sovietista, spiegata la bandiera fiammante della rivoluzione. In pochi vedemmo la cose ben altrimenti e tra le urla dell'ebbro congresso elettorale di Bologna gridammo la nostra eresia che la borghesia ed il suo governo tenuto allora da Nitti vedevano con piacere sfociare quell'orgia di maldigerita retorica nel vomitorio parlamentare. Qui, come dovunque, una formidabile esperienza della lotta comunista del dopo guerra - conferma al tempo stesso del nostro odio delle prime ore, attinto alla verità immortale e formidabile della dottrina di Marx, contro il falso socialismo manipolatore della collaborazione riformista - si avviava alla realizzazione: l'ultimo esperimento e tentativo di difesa e conservazione della borghesia e del suo regime, nell'avvento al governo del socialismo di destra arrendevole ai più bassi adattamenti e compromessi con gli sfruttatori del proletariato, quanto corrivo a seguire la via e l'esempio dei Noske nella incanata contro i difensori del metodo rivoluzionario. Il governo borghese d'allora non desistette dall'accarezzare le sue speranze in questo fatale pateracchio, che sta da anni sull'orizzonte della politica italiana, per le superficiali ragioni con cui i massimalisti del partito socialista tacitarono la propria coscienza ed ingannarono quella delle masse. Il rovesciarsi sugli stalli di Montecitorio di una falange di eletti socialisti, accozzaglia in cui ai ministri in pectore si frammischiavano tanti estremisti del gesto, dell'abito, della parola o del bicchiere, non appariva allarmante per la tradizionale ostentazione di intransigenza formale, da parte di un partito che non aveva mai saputo trarne le logiche conseguenze; per i precedenti di avversione alla guerra, che anzi accumunavano ai Nitti e ai Giolitti gli auspicati colleghi di gabinetto.

Quel tanto di estremismo che era nel partito socialista lo tratteneva certo dall'ultima dedizione, rendeva questa più lunga e difficile a combinarsi. Ma di tanto facilitava la funzione di valvola di sicurezza affidata alla grande orgia schedaiola del novembre 1919, assicurando fatalmente il compromettersi delle migliori energie di tutta la classe proletaria nello sventurato esperimento. E mentre il partito socialista si immobilizzava per la sua stessa composizione tra la tendenza alla collaborazione socialdemocratica e la vaga esaltazione rivoluzionaria, esso assisteva assente ed impotente alla liquidazione a tutto vantaggio del regime vigente delle crisi del dopoguerra che più sommovevano e scuotevano le masse delle città e delle campagne.

Finalmente l'incanto si è rotto e si è capito quanto fosse illusorio calcolare, pel buon successo dell'opera direttiva della lotta di classe, sulle scolorite benemerenze dell'intransigenza e dell'antiguerraiolismo del partito; e questo si è aspramente diviso in due, diviso bene, ma non abbastanza presto.

E ancora oggi la politica borghese rotea verso questo suo sicuro se pur laborioso obiettivo: l'amministrazione delle disperate sorti della barcaccia statale col concorso di quella destra socialista che per la tradizionale influenza su gran parte delle organizzazioni economiche della classe lavoratrice, influenza che la moderna esperienza prova tanto velenosamente tenace, è chiamata a spezzare e infiacchire il naturale esercito della rivoluzione.

Contro queste eventualità contano poco le dichiarazioni stereotipe e formali di intransigenza del partito socialista. Se poco esse valsero quando tutta la nostra ala sinistra, oggi organizzata nel partito comunista, gravitava per dare ad esse il valore di un reale indirizzo politico imponendole al grosso del partito, oggi, dopo il nostro distacco, nulla esse valgono più che il seguito di quella spregevole demagogia che nella precedente campagna elettorale gonfiò in una rivoluzionaria accesa parentesi le gote tribunizie di tanti riformisti - demagogia di cui il nostro distacco appunto ha felicemente diminuito l'influsso disfattista sulle masse operaie.

E nulla dice la esibizione di un altro luogo comune, che cioè la politica borghese di governo volga ad una aperta reazione, scostandosi quindi dai metodi della democrazia sociale, per poco che questa distinzione inconsistente sia considerata con spirito critico comunista. Per che cosa noi attendiamo l'avvento in Italia del socialismo di governo, se non per riconstatare che esso si macchierà di sangue proletario?

Invece la realtà della situazione emerge, sia pure torbidamente, dalle manifestazioni di questo periodo di passione. E possa il proletariato intendere, coll'ausilio del suo partito, che oggi ne condensa il pensiero e ne organizza l'azione, la situazione di oggi con ben altro acume che non nel 1919, quando nella sua ingenuità generosa seguì, lasciandosi illudere che fosse quella del trionfo, la via del disinganno più atroce!

Sì, mentre imperversa la violenza di una guardia bianca messa su dalla borghesia e dal suo governo, contro le istituzioni tutte del proletariato, il governo borghese ha sciolto la Camera in cui i socialisti erano parte preponderante e intraprende le elezioni terrorizzando i lavoratori. È dunque, pare ai superficiali giudici della situazione, tutto un piano per livragare il partito socialista, e strappargli le penne maestre delle sue forze parlamentari. Eppure in realtà tutto ciò non toglie che si tratti di un piano tendente a condurre il partito socialista - lungi dal gettarlo fuori dai seggi di Montecitorio - alla partecipazione ministeriale.

Basta, a convincersene, interrogare i fatti senza alcuna prevenzione. La destra del partito socialista, proprio alla vigilia del congresso che doveva scegliere tra la sua espulsione e la Terza Internazionale, audacemente attestava la sua decisione di partecipare al potere in rappresentanza del proletariato organizzato nella Confederazione del Lavoro, antico suo feudo. Dopo Livorno e la scissione, che ha segnato il trionfo sostanziale di questa tesi nel partito socialista, questo è andato prendendo il preciso carattere di un partito del lavoro, e la tesi collaborazionista - che si chiama ora della "andata al potere" - è stata riaffermata in seno alla Confederazione e al Gruppo Parlamentare. Sono i due organismi contro i quali la sinistra del partito socialista aveva sempre implacabilmente lottato; oggi che il partito ha perduto la sinistra, esso si riduce come forza politica al gioco di questi due organismi.

Gli incontri tra il riformismo socialista ed il Governo borghese si sono già verificati, le trattative debbono considerarsi aperte. Non occorre rammentare come si smise la demagogica opposizione al prezzo del pane, e come il partito socialista ha manovrato nelle successive situazioni parlamentari. Ma il partito non era ancora maturo per la decisa conversione a destra, esso era troppo forte parlamentarmente, gli stessi elementi di destra ostentavano di reclamare non una parte del potere, ma tutto il potere - quasi che l'avere in mano a pretesi suoi rappresentanti tutti i posti di un ministero non significhi tuttora per il proletariato restare classe sfruttata e dominata, se si lascia in piedi, com'è nel programma dei socialdemocratici e, tra la nebbia degli spropositi che enunciano, anche dei "sinistri" del P.S.I, la macchina statale borghese - e tutta la presente politica borghese tende a spingere il partito socialista alle ultime conversioni che precedono la sua alleanza colla borghesia.

Il fenomeno fascista, ove lo si consideri attentamente, non fa che inquadrarsi in questa finalità. Si picchia, per dirla in parole semplici, sui socialisti, per maturare in loro al punto giusto la persuasione e la confessione che fu follia il rivoluzionarismo degli ultimi tempi e che bisogna mettere decisamente tutta la barra a destra. Quando questo obiettivo sarà raggiunto, la reazione fascista cesserà di colpire quel partito, contro cui oggi tanto si scatena ed inveisce, ed un avvenire non lontano vedrà molto vicini i fieri nemici di oggi.

Già si naviga verso una benevola neutralità. I passi recenti dei capi della destra socialista verso il Governo ne sono una prova. Essi chiedono la tregua alle aggressioni fasciste e la possibilità di andare alle elezioni senza essere del tutto sbaragliati. Giolitti da una parte, lo stesso movimento fascista dall'altra, pongono le condizioni della tregua nella desistenza completa da ogni posa rivoluzionaria e nell'impegno ad accentuare la marcia verso la collaborazione di governo. Essi sanno che queste condizioni saranno subite quando il Partito socialista avrà vedute ridotte le sue forze. All'azione violenta esso ha volontariamente rinunziato, agitando dinanzi alle masse la risorsa della scheda. Il contegno della borghesia serve a dimostrare che la scheda serve solo a chi ha la reale forza armata nelle mani: chi ha del ferro... ha dei voti! La indecisione del partito socialista e la crisi terribile che esso attraversa - perché pur comprende, nei gregari, elementi a cui tutto ciò ancora ripugna - consistono nel dubbio se gli sia più opportuno conservare un residuo di attitudini esteriori rivoluzionarie, per non compromettere troppo la larga messe di voti che quel metodo recò nel 1919 e recherebbe in minor proporzione anche oggi, oppure addivenire alle ultime dedizioni per essere sicuro che si lasceranno andare alle urne le masse campeggianti tra il proletariato ancora immaturo e la piccola borghesia che sono il suo appoggio naturale nella situazione presente, e dinanzi all'attitudine del partito comunista.

Per ottenere condizioni meno aspre, logicamente la destra socialista fa al governo l'unico ricatto che gli possa fare: lo minaccia dell'astensione dalle elezioni, facendogli intendere che ciò guasterebbe tutto il suo programma di collaborazione. Il governo fa assestare gli ultimi colpi per garantirsi lo smorzamento completo dei residui di velleità estremiste e piano piano va accedendo alle richieste socialdemocratiche. Lo stesso fascismo segue questo trasparente gioco, attenuando almeno le sue dichiarazioni man mano che il socialismo "rinsavisce".

Che fascismo e socialdemocrazia prendano oggi rotte convergenti può sembrare a molti un paradosso. Ma è qualcosa di più di una profezia affidata alle dubbie conferme del futuro. Il linguaggio dei leaders socialisti e fascisti lascia vedere chiaramente che man mano che il partito socialista va denunziando i metodi rivoluzionari, il movimento fascista disarma le sue forme di violenta repressione e la distanza tra i due contendenti diminuisce: tra poco si ridurrà alla distanza che separa due contraenti.

Se Modigliani può scrivere sull'Avanti!, dopo aver definiti i fascisti "smobilitati più inferociti e più sobillati di tutti", queste chiare parole: "...subito dopo la guerra sarebbe stato possibile un più energico e fattivo intervento del proletariato nella politica italiana. Ma... sarebbe stato necessario reagire con uno sforzo veramente immane alle speranze rivoluzionarie suscitate nel proletariato dalla guerra e dai fatti di Russia, ed attrarre subito verso di noi senza intransigenze e con ogni maggior larghezza di visione, tutta la falange dei disillusi della guerra, persuadendoli a collaborare col proletariato per...[i puntini sono del testo] tutto quello che si fosse potuto fare e che non si è fatto" e lascia poi intendere che tutto non è perduto e che le elezioni bisogna farle per correggere gli errori commessi. Mussolini può ben rispondere: "i fascisti non devono turbare la propaganda elettorale degli altri partiti, non devono impedire, ma garantire l'esercizio del voto per tutti"... e più oltre: "il Pus non è più in grado di tentare un'offensiva contro di noi. È assai probabile che, ammaestrato dall'esperienza, non rigiocherà più le sue carte su di un terreno che non è suo. Voci in questo senso si fanno intendere sempre più chiare. Una volta che l'organizzazione politica del socialismo sia resa inoffensiva, non c'è più motivo di violenza contro i singoli o le istituzioni...".

Vedete dunque, o proletari italiani, come sia vile il gioco degli uni e degli altri. Né socialdemocratici né fascisti hanno l'onore di avere un programma decente, ma quelli che demagogicamente sfoderano nei manifesti elettorali hanno molti punti di contatto, da un certo sindacalismo collaborazionista, alle autonomie locali, e al vecchio sfruttato bagaglio di tutto il riformatorismo della macchina statale borghese. La socialdemocrazia non domanda che l'accettazione dei suoi giuramenti che ripudierà ogni violenza e ogni azione rivoluzionaria; il fascismo è pronto a ripiegare le sue armi di fronte a chi combatta col solo mezzo della scheda. Domani molte ripugnanze cadranno: da una parte non si tuonerà tanto contro i profanatori della vittoria italiana, dall'altra si smusseranno gli spigoli delle invettive retoriche contro gli esponenti borghesi con cui si dovranno definire i termini della collaborazione di governo.

E da tutto ciò, soprattutto, risalta ancora una volta la bontà della nostra valutazione comunista del periodo che viviamo. La borghesia non si sogna di soffocare che i movimenti che esorbitano dai quadri della democrazia, sistema che non si sogna di sopprimere. Sui confini di questo suo sistema essa si difende e lo difende col terrore e la reazione, ma non ha bisogno di chiudere il libro del parlamentarismo per aprire quello delle repressioni, come pensa la corrente superficialità degli pseudo-socialisti. E, per converso, la socialdemocrazia quando si chiude nei limiti del sistema democratico e parlamentare, placa facilmente la reazione, destinata ai moti rivoluzionari della classe lavoratrice che investono la impalcatura stessa del potere democratico borghese, e la placa nel modo più semplice: vendendole la sua complicità. Fascisti e socialdemocratici sono due aspetti dello stesso nemico di domani.

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