DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Maggio 2021: tonnellate di fanghi tossici venivano sversati nei campi di mais del nord Italia da una ditta bresciana. I responsabili, intercettati al telefono, sghignazzano dicendo: “Chissà il bambino che mangia la pannocchia di mais cresciuta sui fanghi!” (Corriere della Sera, 27/5).

Stessi giorni: una cabina della funivia del Mottarone, sopra Stresa, si blocca a pochi metri dall’arrivo e precipita all’indietro. Nello schianto, muoiono in 14. Risulta che da un mese la funivia viaggiava senza il sistema frenante in azione: “Lo hanno fatto per guadagnare di più” (Corriere della Sera, 27/5).

24 giugno: crollano d’improvviso i dodici piani della Champlain Towers South di Miami (USA). I morti e dispersi sono almeno 159. Già un rapporto del 2018 avvertiva dei rischi legati a “gravi danni strutturali”, ma i lavori necessari per rinforzare le fondamenta sarebbero stati “molto costosi” (Corriere della Sera, 27/6).

Tre episodi fra gli innumerevoli che periodicamente occupano pagine e pagine di giornali e che poi scivolano nel dimenticatoio: “drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale”, li abbiamo chiamati in un articolo del 1956 che prendeva in esame, fra l’altro, il naufragio dell’“Andrea Doria” e la catastrofe mineraria di Marcinelle, in Belgio. Niente di nuovo sotto il sole avvelenato del regime del Capitale.

Ma poteva mancare lo scribacchino che filosofeggia? Giammai! Ed ecco che leggiamo, sul Corriere della Sera del 27/5, proprio a proposito della tragedia della funivia del Mottarone, un articolo di prima pagina intitolato niente meno che “L’etica smarrita”. Vi si dice che “quanto sta emergendo sulla gestione della funivia di Stresa ha davvero poco a che fare con l’etica del capitalismo e molto con un’economia di rapina”, e poi si sbrodola sulla mancanza di senso di responsabilità individuale “verso gli altri”, senza la quale un atto come questo “è solo un episodio della guerra di tutti contro tutti, un atto di violenza e di sopraffazione”, con lo “Stato moderno [che] è nato per impedirlo, garantendo così l’uguaglianza al posto del privilegio di pochi”.

Lasciamo pur perdere il roseo ritratto dello “Stato moderno” come imparziale regolatore al di sopra delle classi: davvero c’è da ridere. Torniamo per un momento (e di più la cosa non merita!) sull’“etica del capitalismo” che si sarebbe smarrita, ahinoi, perduta per strada.

Quale sarebbe, questa “etica”? Quella degli industriali tessili nella Manchester di primo ’800 che, per dieci, dodici e più ore al giorno, utilizzavano i bambini per ripulire le macchine e annodare i fili grazie alle dita più sottili e più agili (la cosa si ripete oggi, e non solo nelle fabbriche del sub-continente indiano...)? Quella degli industriali della gomma che, a inizi ‘900, tagliavano le mani ai raccoglitori africani che non producevano abbastanza e abbastanza in fretta? Quella degli imprenditori che chiudono a chiave in fabbrica lavoratori e lavoratrici per impedir loro di uscire prima del tempo, condannandoli a bruciare vivi o soffocati o a sfracellarsi nel tentativo di sfuggire alle fiamme (e non parliamo solo del tremendo “episodio” della Triangle Waist Co., di New York, del 1911, ma anche degli innumerevoli “episodi” che si sono susseguiti nel tempo: non ultimo quello, identico, di poche settimane fa in India)? Quella dello sfruttamento micidiale degli immigrati nei grandi quartieri proletari delle megalopoli del mondo intero, fra lavoro a domicilio, lavoro femminile e minorile, lavoro a cottimo, lavoro precario e sottopagato? Quella del lavoro in fabbriche e laboratori malsani, focolai di malattie e contagi ben prima che arrivassero le pandemie “della globalizzazione”? Quella delle compagnie minerarie che ieri cacciavano bambini di pochi anni dentro i cunicoli delle miniere di carbone e oggi li costringono a sgobbare nelle miniere a cielo aperto di diamanti, cobalto, coltan e altre terre rare? Quella del caporalato e del lavoro a chiamata, ultra-sfruttato e miseramente pagato, nei cantieri navali, nei campi di pomodori, nelle fabbriche e fabbrichette, nella logistica tramite i famigerati appalti e cooperative fantasma? Quella della distruzione generalizzata dell’ambiente per sviluppare le monocolture più redditizie in Africa come in America Latina? Quella del taglio alle spese improduttive che si traduce in abbandono delle misure di prevenzione, degli interventi di manutenzione, delle minime norme di sicurezza sul lavoro (ne abbiamo esempi quotidiani!)? Quella dei licenziamenti a raffica per tenere in piedi un’economia che non può far fronte alle proprie crisi ricorrenti e sempre più frequenti?... Vogliamo continuare?

Il Capitale conosce una sola “etica”: quella del profitto a ogni costo. E la dimostrazione l’abbiamo ogni giorno, nelle tragedie che si ripetono, negli omicidi sul lavoro, nel vero e proprio massacro fisico e mentale di uomini, donne e bambini al fine di contrastare (invano!) la caduta del saggio medio di profitto, nelle difficoltà di vivere e sopravvivere per una fetta preponderante della popolazione mondiale.

Questa è l’etica del capitalismo e non abbiamo dovuto aspettare il 2021 per accorgercene con stupore: bastava leggere il Manifesto del partito comunista del 1848 e guardarsi intorno!

Altro che “etica smarrita”! È ben presente e operante! I proletari non fanno altro che viverla sulla propria pelle: da più di due secoli.

                                                                                                                                 22/09/2021

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