DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

(«Avanti!» del 25-5-1918)

Il lungo articolo che riportiamo, che sarebbe stato ancora più lungo senza le non poche mutilazioni su parti importanti introdotte dalla censura, ha grande interesse perché dimostra che, contemporaneamente alla conclu­sione della pace di Brest-Litowsk, e pur non avendo ancora elementi au­tentici provenienti dal governo bolscevico, la Sinistra italiana prese una posizione del tutto conforme a quella di Lenin per la rinuncia a resistere all’invasione tedesca, e contraria a quella di Bucharin per la «guerra santa» di difesa della patria socialista.

É da notare che la creazione di una opposizione nel partito bolscevico in epoca successiva alla vittoriosa conquista del potere, é citata da Lenin come l’esempio classico dell’infantilismo di sinistra e della tesi secondo cui non si fanno mai compromessi. Lenin disse: Come si subisce la impo­sizione di un masnadiero armato, così io firmo le condizioni che detta il militarismo tedesco, ponendo, come Trotzkij disse, lo stivale dei suoi generali sul tavolo delle trattative.

Questo articolo constata che la teoria della guerra santa rivoluzionaria è condivisa da tutti i sindacalisti anarchici e contrastata dai marxisti di sinistra. Mostra come sia importante capire se la guerra russo-tedesca si chiudeva per sempre, ovvero per preparare, come molti allora credettero, una riscossa armata dopo un periodo di declino.

L’articolo dimostra come, per il programma dei massimalisti, direttiva centrale sia stata sempre quella di liquidare la guerra imperialista per faci­litare lo scatenamento in tutti i paesi europei della guerra civile di classe, sola via per salvare la rivoluzione in Russia. È respinta la capziosa obiezione che Lenin avrebbe tradita la formula di Zimmerwald per la pace senza an­nessioni, sottoscrivendo l’annessione di una parte della Russia alla Germania.

L’articolo discute anche la possibile obiezione che gli argomenti bol­scevichi per la rinuncia a resistere fossero altri da quelli addotti a distanza dalla Sinistra italiana, e cerca di documentarlo sebbene i pochi testi ado­perati siano tartassati dalla censura.

L'invasione tedesca della Russia due grandi questioni poneva sul tap­peto, una di principio, l’altra di fatto. È ammissibile da parte di un paese a regime socialista la guerra contro un paese a carattere borghese imperia-lista? L’accettazione delle condizioni di pace tedesche da parte del governo dei Sovietici fu determinata da ragioni di principio, per aver risolta nega­tivamente la prima questione, o soltanto da considerazioni pratiche e tecniche sull’impossibilità di resistere sul serio all’invasore?

Non sembri di scarsa portata la seconda questione. Si tratta di assodare se - come mostra di credere il compagno «Nado» dell’«Avanti!» - il governo proletario russo prepara una riscossa militare contro gli Imperi centrali; fatto che non potrebbe non influire notevolmente sull’atteggiamento dei partiti socialisti degli altri paesi, e soprattutto del nostro.

Si rischia fra l’altro, con l’ammettere questi propositi, di contribuire ad esporre i massimalisti russi ad altre accuse di connivenza coi tedeschi, se le borghesie dell’Intesa avranno l’ultima disillusione di tal genere.

La questione generica, di principio, é poi di importanza vastissima per il socialismo internazionale e per la nostra propaganda. Una polemica a proposito della rivoluzione-guerra si svolse mesi addietro fra «L’Avanguardia» e «Guerra di classe». È notevole constatare che gli anarchici e i sin­dacalisti sono quasi tutti entusiasti della «guerra santa rivoluzionaria», che, per dire chiaramente il nostro modesto avviso, appartiene ai regni della leggenda.

L’AZIONE DEI MASSIMALISTI

La linea storica lungo la quale si é svolta e si svolge l’azione politica dei socialisti massimalisti russi, fin da quando essi lottavano perseguitati ed esuli contro lo czarismo, è la valorizzazione del fattore storico della lotta di classe, cardine del socialismo marxista rivoluzionario. Essi sono rimasti fedeli alle proprie concezioni ed ai propri metodi dopo lo scoppio della guerra europea, dopo la caduta dell’autocrazia russa, dopo il grande successo ottenuto con la conquista del potere da parte dei Soviets. Nelle trattative di Brest-Litowsk, tutta l’opera dei negoziatori russi tendeva appunto a porre in evidenza la dinamica delle energie proletarie di classe in tutti i paesi, per arrivare ad infrangere l’atroce giogo della guerra. Essi parlavano ai diplomatici tedeschi non già in nome della efficienza militare di un esercito, ma facendo leva sulle forze latenti nella situazione politica interna degli imperi. L’azione pratica svolta dai russi in quelle storiche discussioni non fa che adagiarsi perfettamente sui risultati dell’interpretazione prettamente socialistica della presente situazione mondiale. Secondo queste vedute, il cataclisma bellico non è determinato e spiegato dalla esistenza del «militarismo» presso uno Stato solo che aggredisca gli altri, ma dalla contempo­ranea esistenza di due analoghi sistemi militaristici in due avversi gruppi di Stati. In ciascun paese il governo ottiene il consentimento e l’adattamento delle masse, con un metodo sensibilmente uniforme: agitando lo spauracchio della minaccia dell’aggressione, dell’invasione nemica. Questo cerchio ma­gico si era ben serrato attorno all’Europa nel fatale agosto 1914, grazie alla tolleranza socialista del sofisma che legittimava tra le masse operaie la guerra di «difesa nazionale».

LO SFORZO DEI RIVOLUZIONARI RUSSI

Lo sforzo dei rivoluzionari russi tendeva ad aprire nel terribile cerchio una breccia, per giungere, dall’abbattimento del minaccioso militarismo zaresco, alla sconfitta dell’imperialismo degli imperi centrali, svelandone la politica nefasta agli occhi della classe lavoratrice tedesca. Su questa traccia risolutamente adottata gli avvenimenti precipitano. Il governo dei Soviets, non accettate le sue proposte di pace, rompe le trattative coi governi della qua­druplice, facendo un estremo appello alla rivoluzione socialista in Germania ed Austria, e con una decisione estrema ma logica smobilita il suo esercito

Ha questa tattica, così difficile ad esser capita dalle menti ortodosse eppur tanto semplice, subìto un definitivo insuccesso; sono i presupposti storici su cui era poggiata stati smentiti col fatto che i tedeschi, mentre sulle prime parevano scossi, si sentirono ad un certo momento tanto sicuri da rompere l’armistizio per riprendere l’offensiva militare e l’avanzata in Russia, allo scopo di imporre una pace imperialistica a loro favorevole?

GLI AVVENIMENTI COLLATERALI

Noi riteniamo che le cause che resero possibile una tale piega della situazione vanno cercate in avvenimenti collaterali che spiegano il falli­mento parziale delle speranze dei russi, ma lasciano intatta la fondamentale bontà e verità del metodo di azione da essi seguito, che attende dalla storia immancabili rivincite. Tutta la politica dei Soviets e in particolare la decisione di smobilitare non cessano dall’aver avuto influenza contraria alla cupidigia dell’imperialismo tedesco, anche se il risultato immediato sembra a questo favorevole per l'influenza di altri fattori che ci proviamo ad accen­nare in succinto:

1) i moti del gennaio in Austria e Germania, che erano parte integrale del gioco politico dei russi, malgrado la loro incontestabile importanza furono soffocati e repressi;

2) gli altri Stati borghesi avversari della Germania seguirono verso la Russia una politica che favorì gli Imperi centrali - e noi non lo troviamo strano;

3) la Germania e l’Austria facilmente riuscirono ad accaparrarsi l’al­leanza delle classi borghesi e feudali della Finlandia e dell’Ucraina, in lotta col proletariato indigeno. La conclusione della così detta pace coll’Ucraina fu un grave colpo pel successo degli sforzi dei negoziatori russi; sintomatico episodio da cui emerge a luce meridiana come ogni atteggiamento irreden­tista delle classi abbienti e intellettuali costituisca un tranello pel proleta­riato e si risolva in una risorsa controrivoluzionaria;

4) il pseudo socialismo maggioritario tedesco ha fatto tali passi, o piut­tosto voli, sulla via dell’ultrariformismo e del socialpatriottismo, da essere in antitesi perfetta col massimalismo russo - che non è che socialismo - e da vederne con poco dolore lo jugulamento. Pare che il «Vorwärts» sia giunto fino a deplorare, irridendoli, i proletari russi che non sapevano di­fendere la patria! E non resistiamo alla tentazione di trarre da ciò altra ragione di vanto alla magnificenza del dogma della «difesa della patria» in nome del quale si aderisce alla guerra contro gli Stati nemici dipinti come aggressori del proprio, ed anche alla guerra contro il proletariato emancipato e inerme di un altro paese, perché questo proletariato si permette di rinnegare quello stesso intangibile dogma.

* * *

Determinatasi la tragica situazione di avanzata militare tedesca non impedita dal proletariato degli Imperi centrali, un bivio tremendo si apriva dinanzi al governo dei Soviets: o accettare la pace che abbandonava all’Im­perialismo tedesco alcune province russe già redente dalla rivoluzione; o organizzare la estrema resistenza armata all’esercito invasore.

É noto che la prima soluzione fu prescelta. Ma non ci basta sapere questo. Come già abbiamo accennato sono le motivazioni che hanno diretto in tale frangente la politica dei Soviets che occorre precisare. Fu subìta l’imposizione tedesca, fu rinunziato a resistere colle armi per ragioni pratiche, tecniche, militari e per ragioni politiche e di principio.

L’esame della questione in sé e la critica delle notizie giunteci di Russia ci inducono a sostenere che questo secondo ordine di considerazioni, mosse non diciamo tutta la maggioranza del Congresso di Mosca, ma il grosso di essa formato dal partito dei bolscevichi, ad eccezione di un gruppo di dissidenti.

Anzitutto, il risolvere il problema coi soli dati emergenti dalla situa­zione del momento risponde a un metodo antimassimalista, metodo da noi più volte rimproverato alla destra del nostro partito, e che lascia perico­losamente incerto l’avvenire. Un partito come quello dei bolscevichi, avente la responsabilità del potere, non poteva uscirsene dal grave problema storico con una scappatoia momentanea.

Se fosse apparso al proletariato russo che la situazione dimostrava il fallimento della politica massimalista, in quanto era necessario imprimere un brusco svolto alle direttive della rivoluzione e abbandonare il proposito di estendere la lotta di classe rivoluzionaria agli Imperi centrali, per dichia­rare e considerare i lavoratori militarizzati di Germania e Austria come nemici su cui unico mezzo di persuasione efficace fossero... le fucilate - se si fosse giunti a tal punto, e solo per timore dell’insuccesso militare si fosse rinunziato alla lotta - i massimalisti avrebbero dovuto, contempo­raneamente a questa doppia confessione, cedere il potere e abiurare solen­nemente il loro programma e i loro metodi.

I FAUTORI DELLA RESISTENZA

L’argomento dei fautori della resistenza, che la «guerra santa» - a parte le sue probabilità di riuscita - sarebbe stata una vera e propria lotta di classe del proletariato russo contro l'imperialismo capitalistico, cade dinnanzi alla constatazione di fatto che gli eserciti dell’imperialismo sono purtroppo costituiti da proletari, ed equivale ad abbracciare la tesi inter­ventista che mette il popolo tedesco al bando dalla Internazionale e dal So­cialismo. L’adozione di simili opinioni dovrebbe sensibilmente modificare anche l’indirizzo tenuto dal nostro partito in Italia.

Tutto invece induce a credere che i rivoluzionari russi, edotti delle mol­teplici circostanze che consentivano all’imperialismo tedesco di fare ancora assegnamento fino ad un certo limite sulla remissività del proletariato, abbiano lasciato giungere i battaglioni tedeschi fino a quel limite, accettando le condizioni di pace «senza neppure discuterle», per conservarsi la possi­bilità di attendere la «conversione» del popolo tedesco che ineluttabilmente cancellerà i trattati imperiali e correggerà, se non abolirà del tutto, gli imposti confini.

La tattica della «guerra santa» avrebbe invece scavato l’abisso tra i due popoli e legato il popolo tedesco al carro dei suoi dirigenti, frappo­nendo insormontabili ostacoli tra la rivoluzione russa e il suo sviluppo sto­rico avvenire, condizione indispensabile della sua stessa esistenza; e avrebbe intorbidato l’intero processo sociale di eliminazione degli istituti capitali­stici preparando la via ad un neo-nazionalismo russo che avrebbe asfissiato il socialismo.

LE SPERANZE DELLA BORGHESIA

La borghesia mondiale aspettava ansiosa l’esito della prova terribile, a cui il proletariato russo era sottoposto. La filistea mentalità borghese che si rumina la sua storia delle classi ginnasiali con la bava dei commenti banali che la grande stampa pensa per lei, avrebbe al tempo stesso esaltato l’eroismo del popolo russo insorto contro l'invasore del patrio suolo, e gioito dell’avanzata tedesca instaurante sul suo cammino l’ordine sacro della proprietà. E mentre ogni mattina i giornali riportavano la notizia che i tedeschi erano alle porte di Pietrogrado, già circolavano i più romantici paragoni con le vicende belliche della rivoluzione francese. Ma la rivolu­zione borghese - per considerare appena l’interessante confronto - aveva impliciti in sé la tendenza nazionale e lo spirito patriottico, mentre la rivoluzione socialista respira l’ossigeno dell’internazionalismo. La Francia del 1793 aveva dinanzi gli eserciti medioevali dei re e dei nobili e li af­frontò col primo esercito di popolo, quando la Convenzione introdusse la leva obbligatoria aprendo l’èra storica della borghesia e del militarismo moderno; la Russia contemporaneamente afferma il nuovo programma politico del proletariato e della Internazionale; essa raggiungerà la solidarietà mondiale dei popoli o cadrà per aver mancato alla sua missione.

SALVARE LA RIVOLUZIONE!

Salvare la rivoluzione! Questo lo scopo dei proletari russi. Ma la salute della rivoluzione non va misurata dall’estensione territoriale, bensì dall’integrità del suo programma storico e sociale.

La rivoluzione costretta alla guerra: ecco il comune trionfo delle ten­denze controrivoluzionarie tanto degli Imperi centrali che dell’Intesa. La guerra è la fine certa di una rivoluzione operaia, perché uccide il conte­nuto vitale della politica socialista e soffoca la stessa economia comunista. Sottrarre il proletariato russo all’estorsione del plusvalore sarà difficile impresa finché il plusvalore stesso si riprodurrà attraverso lo scambio dei prodotti con quelli del capitalismo altrove sopravvissuto, ma diverrebbe affatto impossibile se si lasciasse sussistere il passivo spaventevole delle spese non produttive che impone la guerra.

* * *

Alcune ovvie obiezioni vanno rimosse: ad esempio quella che la nostra sia una tesi tolstoiana, e risalga alla famosa «non resistenza al male». Occorre appena notare che non ci muove un’astratta pregiudiziale di avver­sione all’uso della violenza; solo si tratta di assodare quali siano gli obiet­tivi, i bersagli ammissibili alla violenza socialista. Questa ha la sua dinamica nell’urto delle classi e non in quello dei popoli; non astrazioni cristiane ma la logica marxista della realtà ha evitato che le «guardie rosse» fossero lanciate contro i soldati tedeschi anziché contro le forze controrivoluzionarie di Korniloff che dopo la pace coi tedeschi furono rapidamente battute, man­cando loro l’ultima risorsa.

[Censura]

IL PROLETARIATO SOLDATO

[Censura]

Altra obiezione: il leso zimmerwaldismo. Zimmerwald ha detto: pace senza annessioni né indennità, e diritto ai popoli di disporre di se stessi.

I russi hanno subìto una pace antitetica a quei principi, da essi stessi posti a base delle trattative. Ma o eterno sofisma riformista che tenacemente risorgi anche quando si crede di averti sepolto! E quella formula non rappresenta che un lato secondario (per noi superfluo) del pensiero degli internazionalisti adunati, che dopo aver affermati nella loro interezza i concetti e i metodi classici del socialismo basati sulla abolizione della pro­prietà capitalistica e sulla lotta di classe, malgrado e contro la guerra, vollero indicare una soluzione del conflitto armato meno difforme dalle tendenze e dagli interessi del proletariato mondiale, pur restando nella ipo­tesi che la guerra si chiuda e permanga il potere capitalistico; ipotesi da cui la Russia è brillantemente uscita.

[Censura]

IL PRINCIPIO STORICO INTERNAZIONALISTA

Ciò che i russi hanno osservato e salvato è ben più che la formula con­tingente di Zimmerwald, lo stesso principio storico internazionalista e zim­mervaldista minacciato da una delle più gravi insidie che potesse subire.

[Censura]

Questa parola magica: GUERRA, ha una sua suggestione speciale che una abusata coscienza della storia dell’umanità le ha conferito. Essa è come «l’ultima ratio» che rimane per gettarsi fuori dalle situazioni dif­ficili, penose, che esigono per essere superate una tenacia tormentosa, una eccezionale costante pressione. é, nell’annosa stratificazione del pregiudizio che fascia le menti umane, l’eredità atavica del gesto di Alessandro, che d’un colpo di spada tagliò il nodo gordiano di cui non riusciva a districare le complicate volute. Gli uomini e i partiti che nella società odierna parla­vano in nome dell’avvenire e coltivavano propositi di «radicale» rinno­vamento del mondo presente, hanno dovuto, coll’attuale conflitto, subire la difficile prova, e bene spesso non hanno saputo superarla senza ricadere nell’inganno organizzato dalle forze del passato, tese in una estrema con­vulsione conservatrice. Il nostro partito, ad esempio, è stato più volte esposto al cimento: agosto 1914, maggio 1915, ottobre 1917, per tacere delle con­tingenze minori.

[Censura]

LA RINUNCIA A RESISTERE

Ma, finalmente, ci si opporrà che le nostre considerazioni non coinci­dono con quelle addotte dai Soviets a spiegazione del proprio operato e della rinuncia a resistere. Cominciamo col premettere che le notizie di Russia ci giungono dopo un viaggio assai tortuoso e subiscono due o tre traduzioni fra idiomi nei quali diversissimo è il linguaggio della politica, e una più insidiosa traduzione dalla lingua del socialismo e dell’azione pro­letaria in quella del giornalismo borghese.

Saremmo ben desiderosi di possedère il testo autentico della protesta dei negoziatori russi a Brest-Litowsk e della deliberazione del Congresso dei Soviets di Mosca che ratificava la pace, e siamo convinti che la giusta interpretazione di tali documenti conduce alla conclusione che la nuova Russia ha inteso ripudiare per ragioni di principio ogni sorta di guerra nazio­nale, e che essa ha costituito nell’esercito rosso territoriale organizzato nell’armata del proletariato per reprimere i moti controrivoluzionari e garantire il processo storico dell’espropriazione capitalistica; e non pensa affatto a preparare una guerra contro paesi esteri.

Le più recenti notizie corrispondono ancor meglio alle argomentazioni da noi svolte. Una comunicazione del governo dei Soviets alla Germania, riprodotta dall’«Avanti!» del 7 aprile contiene questo passo che spiega la portata del deliberato di Mosca

«Il 16 marzo, con 724 voti contro 276 e 118 astenuti, le masse operaie della Russia hanno deciso di accettare la pace colla Germania. Giammai nella storia mondiale le masse popolari hanno preso risoluzioni politiche e hanno statuito su questioni di pace e di guerra. Gli operai sui quali principalmente gravano i pesi delle calamità e delle privazioni della guerra assai più che su tutte le altre classi sociali, con piena coscienza del loro atto hanno preso la risoluzione di cessare la guerra».

Da tale documento emerge che il deliberato di Mosca ha per i massi­malisti un valore storico fondamentale, e non esprime quindi un ripiego adottato sotto la pressione delle circostanze ma contrario alle vere tendenze ed aspirazioni politiche delle masse russe.

Inoltre, il compagno Petroff, delegato del governo russo a Berlino, ha dichiarato al «Vorvärts», da cui traduce direttamente il nostro «Genosse» nell’«Avanti!» del 6 aprile: «Noi in Russia siamo d’avviso che accettando quella pace non abbiamo agito contro i nostri compagni tedeschi e austriaci. In Russia nessuno approva queste condizioni di pace e solo un governo forte, il quale si sia guadagnato con riforme sociali la fiducia del paese poteva realizzare questa pace che era divenuta necessaria. Un cambiamento di quelle condizioni, però, noi non l’aspettiamo da forza bellica. Siamo invece convinti che il radicale mutamento di tutte le condizioni necessaria­mente derivate da questa guerra ci darà la possibilità di risolvere coi nostri compagni di Germania e degli altri paesi tutti i problemi sorti da questo trattato di pace».

[Censura]

 

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