DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

(Avanti!» del 24-11-1914)

 

Questo articolo riprende la replica all’abusata accusa di dogmatismo e alle speculazioni sulla frase «neutralità assoluta». Tale frase non pretende che si sia pervenuti agli assoluti filosofici di cui cianciano i nostri detrattori. È evidente che il soggetto di essa é lo Stato e la consegne che si dà al proletariato é di continuare e rinvigorire la lotta contro lo Stato anche se scende in guerra e a qualunque dei due gruppi in conflitto vada ad asso­ciarsi. Consegna dunque molto chiara e molto pratica.

Questo breve articolo mostra che proprio i fautori dell’intervento svol­gono la spiegazione della realtà in modo confuso e contraddittorio e non sono uniti da altro che dal... grido fescinatore: Guerra! grido che nell’ottobre 1914 aveva lanciato lo stesso Mussolini nel fare il suo voltafaccia. Sono mostrate le tesi contraddittorie di vari scrittori interventisti come Labriola e Salvemini. Qualcuno di costoro ha perfino minacciato che, se l'Italia sarà assente del congresso della pace, si potrà tornare al potere temporale del Papa!

 

Il coro di biasimi e deplorazioni che si stabilisce intorno al Partito so­cialista quando questo delibera il proprio atteggiamento in merito ad una data questione, é di una petulanza stomachevole. Gente che ignora la por­tata e l’ambiente del movimento socialista, scribi vuoti e noiosi venuti su dall’eclettismo ignorante del giornalismo di mestiere, tutti si sentono autoriz­zati a montare in cattedra quando si tratta di trinciar giudizi sulle direttive del nostro Partito. Tre o quattro frasi insulse fanno il giro di tutti gli arti­coli critici, che, dopo aver messo in evidenza la cecità intellettuale e la svirilizzazione politica dei socialisti, terminano con la solita elegia ed il solitissi­mo De profundis.

Così è avvenuto non solo ora, ma quando il partito pencolò verso il riformismo regio, quando tornò all’intransigenza, quando avversò l'avven­tura libica, quando si liberò del cancro massonico... È di una infantile evi­denza, che per soddisfare tutti i suoi avversari - anche sotto la veste di provvidi suggeritori di disinteressati consigli! - il Partito dovrebbe... non esistere. Mentre esso invece vive e prospera ognor più - e da ciò la limpida logica di lor signori deduce l'incompetenza e la inettitudine di quelli che ne fan parte e lo dirigono.

Oggi, troncando il preambolo, é assodato, per i filistei, che noi siamo fuori di strada. Siamo masticatori di formule, e la nostra ostinazione nell’osservarle sarebbe pari alla nostra asinità nel non accorgerci che la si­gnora «realtà» le ha demolite, ad uso e consumo dei necrofori del socia­lismo. Inoltre solo la nostra stupidità congenita potrebbe spiegare il nostro orgoglio di monopolisti della verità... Infatti noi socialisti fautori della neu­tralità assoluta ed oppositori di tutte le guerre pretenderemmo appunto di essere pervenuti alla nozione di quell’assoluto escluso da tutte le filosofie del­la gente per bene, che su di un «illuminato relativismo» astratto... ha bisogno di costruire il suo «comodo opportunismo» nella vita e nella politica. A cavalcioni di queste inaudite metafisicherie, accreditate da qualche forte cervello ormai dedito ad esercitazioni morbose, non c'è asinuccio che non si senta in forza di seppellirci sotto il peso della sua superiorità, assimilandoci ad un gregge di fanatici credenti, guidato da una combriccola di sagrestani... Roba da matti, semplicemente!

Ma perché, diciamo noi, non si cerca di penetrare un po' meglio le com­plesse motivazioni del nostro atteggiamento? Perché limitarsi alla critica di qualche frase nella quale le nostre direttive sono a tempo opportuno com-pendiate per una necessità, oserei dire, tecnica del movimento di partito? Dare del semplicista e del dogmatico al proprio avversario é comodo infin­gimento polemico, che serve il più delle volte a sfuggire la confutazione di tutti gli argomenti prospettati. E nelle nostre file, per dio, si discute, si esamina, si vaglia (anche troppo) ogni decisione dei nostri organismi di­rettivi, ed il credo che ci si presta per artificio dialettico non é nella mente e sulle labbra del più modesto dei nostri militanti!

La frase «neutralità assoluta» serve ormai a designare, nel corrente linguaggio politico che si crea e si disfa continuamente, la tendenza sostenuta dalla Direzione del Partito socialista e dalla maggioranza dello stesso in riguardo alla situazione internazionale, tendenza che si riattacca a complesse motivazioni e si diffonde in diversissime sfumature. Il semplicismo non é nostro, é di chi discute o critica «ad orecchio», fabbricando su quella espressione più o meno grammaticalmente felice ed esatta, le gratuite accuse di «impotenza», di «vigliaccheria», di «negazione della realtà», ecc.

Noi non ci sogniamo di essere pervenuti a quel tale «pauroso assolu­to» della filosofia che tanto ha allarmato taluno. La nostra posizione politica si ricostruisce assai più facilmente, senza bisogno di abbandonare questa terra per acchiapparci alle nuvole.

Il socialismo, modo di pensare la realtà della vita che ci circonda e che si é svolta fino a noi nel corso della storia, metodo di azione diretto a deter­minate finalità reali del proletariato, aveva finora nella sua dottrina, nella sua esperienza pratica, considerando una congerie di fatti, dedotta ed affermata una sua generica antitesi con le istituzioni e le funzioni del militarismo ed iniziata un'azione contro le manifestazioni di esso. Questa azione può oggi essere stata più e meno sopraffatta negli avvenimenti di cui fummo testimoni ma - ed ecco la nostra tesi tutt'altro che aprioristica - gli avvenimenti stessi non hanno distrutta quella generica antitesi E nel campo della politica, i socialisti italiani hanno ragione di ritenere che tutte e due le guerre oggi possibili per lo Stato italiano rivestono quei caratteri in base ai quali il socialismo proclama la sua avversione alle guerre in genere.

Gli intervenzionisti socialisti ritengono invece che una delle due guerre assuma tale fisionomia da meritare l'incoraggiamento del proletariato perché lo Stato si induca ad iniziarla. Dov'é dunque il mostruoso assoluto delle nostre asserzioni? La divergenza si agita più che mai nell’ambito della realtà e della vita. Il socialismo, dottrina dedotta dalla realtà, non si é mai portato al di fuori di questa, ché altrimenti la sua dialettica cadrebbe come un castello di carte.

La tesi dialettica che noi socialisti neutralisti possiamo affermare, dopo aver considerato quanto oggi avviene, é questa: le ragioni che ispirano l'avversione delle classi lavoratrici alle imprese militari possono dedursi, anzi in modo più ampio, dai fatti e dai lineamenti della guerra presente, e dalla attuale situazione del proletariato di tutti gli Stati, belligeranti o neutri che siano.

E qui siamo nel vasto campo della disamina e della valutazione degli ultimi avvenimenti, campo nel quale ognuno può errare nel dar peso a questo o quell’altro coefficiente, ognuno può essere trascinato dalla sua tesi a sforzare qualche aspetto della questione, ognuno può fare appello all’effi­cacia retorica di argomenti basati su sentimenti più o meno diffusi anziché su sode ragioni. E su questo campo la discussione é apertissima. Ma credono proprio gli intervenzionisti, che da tre mesi ci avventano addosso tutte le catapulte della retorica, che fanno appello a tutti i sentimentalismi più vieti, di essere sereni ed obiettivi in misura maggiore di noi? Noi accusati di apriorismo, dogmatismo e così via - richiediamo ostinatamente una limpida esposizione dei vantaggi reali dell’intervento italiano dal punto di vista delle classi lavoratrici. Ma restiamo delusi. Poiché dinanzi alla nostra interpre­tazione del cataclisma, ispirata alle linee fondamentali del socialismo marxi­sta (dal quale non partiamo con gli occhi chiusi ma a cui ci vediamo ricon­dotti tenendoli ben aperti) non abbiamo ancora trovata nei fautori di una tesi così piena di responsabilità come quella dell’intervento, una solida e plausibile valutazione da cui scaturisca che la guerra in pro della Triplice Intesa gioverebbe al proletariato d'Italia ed alla causa del socialismo. Che gli intervenzionisti, ficcatisi sino al collo in un pelago di argomenti intricati come matassa indipanabile, non sono affatto d'accordo tra loro, né con se stessi, altro che nel grido... fascinatore: guerra!

Sentiamone uno (A. Labriola, «Propaganda» di Napoli del 15 novembre):

«Non vi é dunque nessun motivo di fantasticare il conflitto tra il mondo germanico e l'occidente come un conflitto tra la democrazia ed il milita­rismo, per rendere plausibile una specie di parteggiamento del socialismo per la causa del mondo occidentale; perché poi anche il democratico occi­dentale é militarista e lo diventa sempre più».

Secondo alcuni la guerra attuale é l'urto storico delle grandi nazio­nalità. Ma il Salvemini invece sostenne nella conferenza di Milano che non si deve credere che questo sia il principale movente della guerra, dovuta invece ad un complesso di cause tra cui primeggia l'interesse della classe dominante... Chi vuole la guerra per odio ai tedeschi, chi per «liberarli» dal kaiserismo. Qual socialista rivoluzionario si é commosso al pericolo che corre la democrazia borghese, quale agli accenti degli irredentismi na­zionali...

Si é escogitato anche il ritorno del potere temporale dei papi possibile se l'Italia sarà assente dal congresso della pace! E potremmo seguitare.

Concludendo? Noi chiediamo, pregiudizialmente, un po' di equanimità per le nostre opinioni e la nostra missione, se non dagli avversari di cui sappiamo i moventi, almeno dai compagni di ieri che oggi sono fautori della guerra. Perché, senza pretendere di aver conosciuto l'ultimo segreto del l'essere, crediamo però che nel nostro atteggiamento ci conforti una cosciente visione della realtà ed un senso della nostra responsabilità tali da non per­mettere proprio a nessuno di trattarci senz'altro da idioti e da vigliacchi.

 

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