DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

(Dall'"Avanti!" del 21 agosto 1919)

 

Di questo articolo dovuto ad un compagno della sinistra comunista, e della nota redazionale che per conto del giornale gli fece seguire il compagno Luigi Salvatori, abbiamo detto abbastanza nella parte conclusiva della esposizione storica, e i lettori non hanno bisogno, per intendere la polemica che qui è svolta lealmente e con uguale spirito rivoluzionario, di maggiore odierno commento.

 

 

 

Noi riteniamo di essere entrati nel periodo storico rivoluzionario nel quale il proletariato perviene all'abbattimento del potere borghese, poiché tale risultato è già conseguito in molti paesi d'Europa, e nel quale negli altri paesi i comunisti devono far convergere tutti i loro sforzi alla realizzazione della stessa finalità.

I partiti comunisti devono dunque dedicarsi alla preparazione rivoluzionaria, allenando il proletariato alla conquista non solo, ma anche all'esercizio della dittatura politica, e preoccupandosi di enucleare dal seno della classe lavoratrice gli organismi atti ad assumere e gestire la direzione della società.

Questa preparazione deve compiersi nel campo programmatico formando nelle masse la consapevolezza del complesso svolgimento storico attraverso il quale l'era del capitalismo cederà a quella del comunismo; e nel campo tattico con la formazione dei soviety provvisori pronti a insediarsi nei poteri locali e centrali, e l'allestimento di tutti i mezzi di lotta indispensabili all'abbattimento della borghesia.

Nel periodo dedicato a questa preparazione, tutti gli sforzi del partito comunista sono consacrati a creare l'ambiente della dittatura proletaria, sostenendo con la propaganda non solo delle parole, ma soprattutto dei fatti, il principio cardinale della dittatura, cioè del governo della società da parte della classe proletaria con la privazione di ogni intervento e diritto politico per la minoranza borghese.

Se contemporaneamente si volesse adottare l'azione elettorale tendente a mandare i rappresentanti del proletariato e del partito negli organi elettivi del sistema borghese, basati sulla democrazia rappresentativa che è la antitesi storica e politica della dittatura proletaria, si distruggerebbe tutta l'efficacia della preparazione rivoluzionaria.

Anche se nei comizi elettorali e dalla tribuna parlamentare si agitasse il problema massimalista, i discorsi dei candidati e dei deputati sorgerebbero su una contraddizione di fatto: sostenere che il proletariato deve dirigere politicamente la società senza la borghesia, ed ammettere col fatto che rappresentanti proletari e borghesi seguitino ad incontrarsi con parità di diritti nel seno dei poteri legislativi dello Stato.

Nella pratica si disperderebbero tutte le energie morali, intellettuali, materiali e finanziarie nel vortice della contesa elettorale, e gli uomini, i propagandisti, gli organizzatori, la stampa, le risorse tutte del partito sarebbero distolti dalla preparazione rivoluzionaria, alla quale sono già, purtroppo, impari.

Stabilita la incompatibilità teorica e pratica tra le due preparazioni, a noi pare che non si possa esitare nella scelta, e che l'intervento elettorale possa logicamente ammettersi da quelli soli che neanche la minima speranza hanno nella possibilità della rivoluzione.

La incompatibilità delle due forme di attività non è una incompatibilità momentanea, tale da rendere ammissibile il succedersi di entrambe le forme d'azione. L'una e l'altra presuppongono lunghi periodi di allestimento, e assorbono l'intera attività del movimento per notevole decorso di tempo.

La preoccupazione di quei compagni che scorgono l'ipotesi della attuata astensione elettorale senza che si sia raggiunta la finalità rivoluzionaria, non ha coscienza alcuna. Anche se il rimanere senza rappresentanti parlamentari anziché essere un vantaggio - come noi fermamente e suffragati da vasta esperienza riteniamo - fosse un pericolo, tale pericolo non sarebbe nemmeno lontanamente paragonabile a quello di compromettere ed anche ritardare soltanto la preparazione del proletariato alla conquista rivoluzionaria della propria dittatura.

Quindi, a meno che non si possa provare che l'azione elettorale, non solo con la sua impostazione storica in teoria, ma anche con le sue note degenerazioni pratiche, non riesca fatale all'allenamento rivoluzionario, bisogna senza rimpianti gettare tra i ferri vecchi il metodo elezionista e senza più volgersi indietro concentrare tutte le nostre forze alla realizzazione dei supremi obbiettivi massimali del socialismo.

 

 

 

NOTA REDAZIONALE DELL' «AVANTI »

 

Se il problema dell'elezionismo si considera battendo una linea puramente mentale, il [compagno che scrive] ha ragioni da vendere. Noi da lui, però, ci distacchiamo per un aspetto contingente della questione. Cerchiamo di essere brevi e chiari.

Il fatto di essere entrati nel «periodo rivoluzionario nel quale il proletariato perviene all'abbattimento del potere borghese» é nella cronaca e ci appartiene. Ma é nostro solo in quanto internazionalisticamente noi consideriamo la Russia - per citare la grande fiamma anche in nome e per il numero degli altri piccoli fuochi - entro i confini geografici del mondo socialista. Ora, invece, parlando strettamente di noi, dell'Italia, conviene domandarci se il periodo rivoluzionario, internazionalmente aperto, esiste qui come tendenza, o come consistenza, se cioè la rivoluzione da noi può essere o, al contrario, è. Se fosse, anche gli ultimi Achille del nostro campo che si indugiano tuttora nei ginecei disdegnerebbero l'arcolaio della accademia per l'asta della violenza. Ma se per ragioni al nostro esame sfuggite (quale, ad esempio di pura ipotesi, che l'organismo proletario ha la parvenza della forza e sotto di questa invece la sostanza di sangue, di ossa, di tessuti, corrosa dalla sifilide del riformismo) dovessimo constatare la necessità di quella preparazione rivoluzionaria della quale il [compagno che scrive] ci parla con un programma di non facile smaltimento in breve corso di tempo, dovremmo ritenere che errerebbe il nostro partito a negligere quale forza l'uso dell'elezionismo.

Non é che noi vogliamo allontanare la rivoluzione (ché in materia abbiamo concetti più semplici, più scavezzacolli, più volontaristici, di quelli rigidamente e freddamente teorici di lui); ma, se la rivoluzione che é cosa e non volontà si trovasse ancora allo stato potenziale senza essere sboccata nella fase dinamica, se cioè non fosse al presente diventato fatto il trapasso fra lo ieri in cui l'articolista stesso, pur senza entusiasmo eccessivo, accettava l'elezionismo e l'oggi in cui li rifiuta - sarebbe proprio rispondente alla serena obbiettività marxista lanciare il Partito nel negativismo elettorale?

Pensiamo che il Gruppo parlamentare socialista nella politica del Campidoglio si sia meritato il salto dalla Tarpea, riteniamo inoltre che anche sotto il possesso di una maggioranza massimalista non sarà la «Camera dei deputati» ad incingersi del socialismo ed a partorirlo per la felicità umana - ma c'è la tradizione socialista della conquista dei pubblici poteri che non può distruggersi di un fiato, specie se si pensa che l'esercizio elettorale continuato dai riformisti potrebbe illudere il proletariato e corromperlo - ma c'è la occasione dei comizi (sfrondati di tutto il gradualismo e taumaturgismo della ricostruzione socialista) che dà alle masse una meravigliosa preparazione. psicologica per il ricevimento del nostro verbo - ma c'è la necessità di non sbandare le energie classiste nella nebulosa di un libertarismo che distruggerebbe quel principio di autorità, di costrizione, di dittatura, che è l'arco del nostro divenire - ma, di più, c'è l'opportunità di non smettere quell'uso del voto che dovremmo poi riprendere nella scelta dei nostri consigli.

Fra le armi della lotta classista c'è, oltre che lo sciopero, il sabotaggio.

Noi non siamo per abbandonare gli istituti borghesi del potere, siamo per svalutarli teoricamente, per sabotarli praticamente. Non crediamo però che quest'opra debba tenere la prima linea in quel programma preparatorio dall'articolista accennato, ma vogliamo illuderci che le si voglia riconoscere la carta di un legittimo nascimento ed una certa contingente utilità rivoluzionaria. In ogni modo, rimarremo al posto della disciplina perché il problema elettorale chiama si alla responsabilità di dire il proprio parere, ma non è tale poi da meritare un eccessivo riscaldarsi polemico, e non potrà - comunque risolto - essere causa di divisioni nel campo dei comunisti.

 


 

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