DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

(«Il Soviet», n. 17 del 13-4-1919)

 

Lo scontro tra gli indirizzi di estrema destra e di estrema sinistra di­venta sempre più vivace e senza esclusione di colpi. L’organo confederale «Battaglie sindacali» si era scagliato contro il «Soviet» ed i rivoluzionari in genere, svelando l’odio dei riformisti annidati nel Partito contro ogni prospettiva bolscevica e pretendendo di parlare in nome del classico marxismo. «Il Soviet» risponde adeguatamente e la polemica mostra chiara-mente che non si tratta di dibattito teorico ma di scontro diretto tra posizioni opposte e fisiche nella vivente storia.

 

 

 

I problemi importantissimi e numerosi che hanno assorbito la nostra attenzione negli ultimi numeri ci hanno impedito di rilevare le spiacevoli insolenze indirizzateci dai «compagni» di «Battaglie sindacali», l’organo della Confederazione del Lavoro. È forse per indurci a riparare a tale mancanza che detto giornale nel numero del 5 corrente ci dedica un’altra colonna di prosa dal titolo Ravvedimento redatta in tono altrettanto insolente.

Noi dunque siamo, secondo gli articolisti confederali, degli «scrittorelli».

E si capisce. Il povero «Soviet» non ha i bilanci poderosi del grosso ebdo­madario varato dalla Confederazione, i cui dirigenti, ben conoscendo che alla loro annosa esperienza in fatto di consumata tecnica sindacale non cor­risponde altrettanta perizia nella borghese arte del bello scrivere hanno potuto scritturare uno... scrittorone che con elegante e vivace spirito spiritualmente spiritualizza la volgare materia delle aride trattazioni sindacali. E quando si farà il Soviet sul serio noi non ne dovremo far parte, perché siamo dei borghesi autentici, avendo il torto di scrivere il «Soviet» di carta senza percepire nessuno di quei lauti stipendi che daranno agli organizzatori e funzionari confederali il cachet proletario e il titolo più autentico per fare la pioggia e il bel tempo in regime sovietistico, come lo fanno nelle loro organizzazioni - e cioè parlando ad ogni passo a nome delle centi­naia di migliaia di lavoratori confederati senza però mai consultarli, e fin­gendo di ignorare che lo spirito (per una volta ci prendiamo in prestito la parola monopolizzata dal compilatore di «Battaglie») delle masse fa a calci con le delibere antirivoluzionarie dei dirigenti.

E queste non sono una nostra invenzione! Se la Direzione del Partito crede di non rilevarle in omaggio ad una certa diplomazia politica, noi al contrario crediamo nostro dovere denunziarle al proletariato.

Ecco come dice, tra l’altro, l’indigesto O.d.G. di Bologna:

«..... DICHIARA che, senza alimentare illusioni perniciose sulla possibi­lità di improvvisi rivolgimenti sociali e d'immediati capovolgimenti econo­mici attraverso le mutazioni politiche, qualora si venga delineando una con­dizione di cose tale da indurre il proletariato ad una azione diretta, generale, simultanea, la Confederazione deve concretare entro i limiti definiti del suo programma di rinnovamento le aspirazioni inevitabilmente imprecise e vaghe delle folle, rese protagoniste di una nuova situazione imprevista ed imprevedibile, comunque possibile nel nuovo periodo storico che dallo guerra mondiale svolgesi in un dinamismo irrefrenabile in guisa tale che le aspirazioni proletarie siano realizzate per quel tanto e attraverso quelle gradualità che eludono qualsiasi involuzione o ritorno allo stato di prima, garantendo la stabilità delle nuove conquiste e la possibilità di ulte­riori incessanti svolgimenti progressivi della società, che non potrebbero aversi quando le aspirazioni medesime fossero stemperate e frustrate in aspettazioni illusorie e in conati infruttuosi... »

Sarebbe assai facile esser più chiari, ma assai difficile esser più rifor­misti ed ebertiani di così. Tutte le altre cose che abbiamo scritto e che i nostri contraddittori riportano in parte sono rilievi di fatto. È vero che la Confederazione mantiene la sua ambigua proposta di Costituente professio­nale? È vero che vuole lo sciopero per la rappresentanza proporzionale e io scrutinio di lista? Ebbene, queste sono questioni politiche nelle quali la Confederazione si mette contro il programma del Partito: e noi abbiamo il diritto di dire che il patto di alleanza é infranto, anche se la Direzione non crede - e fa male - di denunziarlo.

Ma il patto, dice la Confederazione, doveva essere reciproco. E chi lo nega? Chi contesta alle organizzazioni la loro libertà di azione nella sfera economica, fin dove é possibile evitare ripercussioni politiche dannose all’indirizzo classista del proletariato, che deve restare al di sopra delle questioni di categoria?

Appunto a questo criterio, che ci conduce alla critica aperta delle diret­tive confederali, obbedimmo nel nostro commento al locale movimento metallurgico, che «Battaglie sindacali» riporta per metterlo stupidamente in con­trasto alle nostre affermazioni polemiche. Appunto: noi non siamo di quelli che giudicano del riformismo e del rivoluzionarismo di una organizzazione a seconda che si ottengono alcuni soldi in più o in meno sull’aumento dei salari.

Noi non vediamo la rivoluzione nell’opera sindacale ma in quella politica e di partito del proletariato. Ecco perché non condividiamo né l'indirizzo della Confederazione, né quello dell’Unione Sindacale.

Domanderemmo alla organizzazione un atteggiamento che suonasse: i sindacati di mestiere rimettono al partito socialista la grande direzione dell’opera sociale e politica della classe lavoratrice, dichiarando che questa mira all’abbattimento del capitalismo attraverso la conquista rivoluzionaria del potere politico realizzata dalla sua organizzazione in partito di classe

Questa delega assoluta ci basterebbe, perché non attribuiamo al sindacato economico altra potenzialità rivoluzionaria che questa.

Dall’altra parte, la parte del superstiti del sindacalismo, ci può venire l’obiezione che il Partito oggi in Italia non è perfettamente sulla direttiva rivoluzionaria. In questo vi é qualche cosa di vero, ma a rimediarvi non si può lavorare che sulla base dell’azione politica di partito. Creando un anti­tesi tra movimento politico e movimento sindacale, anche se si tende o fare opera rivoluzionaria, si riesce soltanto ad incoraggiare lo spirito di categoria e di decentramento dell’azione che ha valore antirivoluzionario, come pro­vano la Russia e gli altri paesi in rivoluzione. Affermazioni?! Se dovessimo in ogni numero riprendere tutte le dimostrazioni che andiamo svolgendo come possiamo, il giornale dovrebbe coprire chilometri quadrati...

Il sovietismo non é un guazzabuglio di sindacati ed anche qui é sug­gestivo come la stessa argomentazione valga a rispondere a riformisti e a sindacalisti-anarchici. Nel periodo rivoluzionario e nell’assetto comunista, il sindacato ha la sua parte, tutt’altro che preminente, ma il carattere dall'organismo è politico. Il sistema elettivo si basa praticamente sugli aggrup­pamenti di proletari più opportuni: la fabbrica come il villaggio agrario e il reggimento militare. Ma la sua figurazione ultima é quella che pare si sia senz’altro adottata in Ungheria: si vota per circoscrizioni territoriali con la semplice norma: chi non é proletario non vota. Le circoscrizioni locali eleggono i delegati al Soviet Centrale. Del resto tra poco saremo docu­mentati su questo.

In conclusione, lo svolgimento rivoluzionano - nel programma marxista come nella storia che si svolge sotto i nostri occhi - scarta le vedute dell’operaismo riformista come del sindacalismo.

E affida all’azione politica della classe operaia la prassi della rivoluzione.

 

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