DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Il Soviet», anno III, nr. il dell’ll.IV.1920)

 

La circolare del CE dell’Internazionale Comunista firmata da Zinoviev e pubblicata in Comunismo nr. 8 e 9 ci costringe a tornare ancora una volta sulla vessata questione del parlamentarismo. Su di esso la circolare nelle sue prime parole così si esprime: «L'attuale fase del movimento rivoluzionario ha posto all’ordine del giorno nella forma più aspra, tra le altre questioni, quella del parla­mentarismo».

Valgano queste parole come risposta per coloro che dicono che noi abbiamo fatto di essa una specie di incubo, che noi soli diamo ad essa un'importanza eccessiva, mentre è una questione di tattica e non di programma, e perciò di carattere secondario.

Abbiamo già varie volte detto che per noi le questioni di tattica hanno un valore grandissimo, perché indicano l'azione che i partiti debbono svolgere; essi discutono le questioni di programma precisamente per ricavarne le direttive tattiche, altrimenti invece di essere partiti politici sarebbero congregazioni di sognatori.

Tra i socialdemocratici ed i comunisti ciò che li divide non è già la finalità lontana che tutti e due vogliono raggiungere, ma precisamente la tattica, e la divisione è così profonda che in Germania e altrove tra le due parti è corso non poco sangue. Non si vorrà sostenere che ciò sia secondario e di poca importanza.

Noi siamo d'accordo nell’ammettere che la questione del parlamentarismo vada distinta in due questioni. Sulla prima, cioè sulla necessità di abbattere il par­lamentarismo per dare tutto il potere ai Soviet, non ci dovrebbe essere disaccordo tra i partiti, e quindi tra gli iscritti ad essi, aderenti alla III Internazionale, perché questo costituisce il caposaldo, la spina dorsale del programma suo. Diciamo dovrebbe perché a questo dovere si sottrae il PSI, di cui una notevole parte sostiene palesemente il concetto inverso ed un'altra non meno notevole non si è resa conto per nulla dell’antitesi profonda che vi è tra parlamentarismo e potere soviet­tista. Forse per la conoscenza di questo ibridismo equivoco che esiste nel nostro Partito i compagni della III Internazionale, mentre si rivolgono agli altri partiti, non si occupano di quello italiano. Attendono forse che esso esca dall’equivoco? E staranno freschi ad aspettare!

Per quanto riguarda la seconda questione, che «possono essere sfruttati i parlamenti borghesi al fine dello svolgimento della lotta di classe», non ci sembra esatto, secondo quanto afferma la circolare, che essa non sia in alcun rapporto con la prima questione.

Se si riconosce che vi è una profonda antitesi tra la concezione parlamentare e quella soviettista, bisogna pur riconoscere che sia necessario preparare spiritual­mente le masse a rendersi conto di questa antitesi, a familiarizzarsi con l'idea della necessità di abbattere il regime parlamentare borghese e di costituire i Soviet. I partiti che sostengono questo programma possono efficacemente svolgere la loro propaganda solo a patto di non svalorizzarlo nel modo più assoluto con l'azione, accettando essi stessi di partecipare alla funzione dei parlamenti. Ciò specialmente nei paesi in cui tale partecipazione è stata valorizzata dalla lunga consuetudine e dal credito che a tali organi è stato dato proprio da quei partiti che oggi vorrebbero sostenere al riguardo un concetto opposto.

Questi partiti hanno educato con persistenza le masse a che esse diano suprema importanza ai parlamenti, predicando che tutto il potere statale appartiene ad essi e che, sol che si riesca a conquistarne la maggioranza, si è padroni assoluti del potere.

A maggior ragione una campagna elettorale a contenuto antiparlamentare non può essere fatta insieme sotto la medesima bandiera, in nome e con la disciplina del medesimo partito, da coloro che almeno a parole domandano l'abbattimento «dal di dentro» del parlamento borghese e coloro che continuano a considerarlo dal punto di vista della socialdemocrazia.

Gli esempi che Zinoviev adduce a sostegno della sua tesi non sono convincenti. Dire che i bolscevichi russi abbiano partecipato alle elezioni della costituente per spazzar via questa 24 ore dopo, non è dimostrare che si sia sfruttato in pro della rivoluzione il parlamentarismo borghese. Evidentemente i bolscevichi parteciparono alle elezioni perché in quel momento non sentirono di avere forza sufficiente per impedire le elezioni della costituente, altrimenti ciò avrebbero fatto. Appena ebbero la coscienza di essere forti abbastanza, si decisero all’azione. Questa forza essi non poterono acquistare in virtù della loro partecipazione alla lotta, né poterono acquistarne almeno la coscienza, perché i risultati elettorali non furono, e fortunatamente, a loro favorevoli. Forse, se ciò fosse avvenuto, la costituente non l'avrebbero più abbattuta.

Per dimostrare l'inutilità della costituente e di qualsiasi parlamento, o meglio, per dimostrare l'utilità di abbatterli, noi accettiamo che possa giovare l'intervento nelle lotte elettorali, ma solamente in senso negativo, ossia senza candidati. Soltanto così può avere reale efficacia presso le masse la dimostrazione dell’anti-parlamentarismo, perché essa è concorde nella teoria e nella pratica, non contrad­dittoria come quella che può essere fatta da quella rinnovellata sirena, l'aspirante parlamentare anti-parlamentarista.

Così pure non ha valore il ricordare che i bolscevichi parteciparono alla Duma zarista prima della guerra, in una condizione storica profondamente diversa, quando la possibilità di un prossimo abbattimento del regime borghese non era nemmeno un sogno; né è esatto dire che la qualità di parlamentare abbia giovato all’opera rivoluzionaria di Liebknecht durante la guerra, quando questa qualità non fece altro che costringerlo ad un primo voto forzato favorevole ai crediti militari. Accanto a lui ed insieme con lui, non pochi altri martiri affrontarono la medesima lotta, la quale si svolse tutta al di fuori del parlamento, ove non fu permesso neppure di parlare.

L'argomento della relativa immunità che può dare il privilegio parlamentare a qualcuno che ne possa godere non può affacciarsi alla mente di chi sente in sé la profonda fede di votarsi alla causa della rivoluzione, che richiede spirito di sacrificio illimitato. D'altra parte, quando il deputato compie davvero opera rivolu­zionaria e pericolosa, perde la sua garanzia, come provò lo stesso Liebknecht, come i deputati della Duma zarista o del parlamento bulgaro, ecc. Quanto alle mine che i deputati comunisti pongono contro il nemico mentre si trovano nel suo campo, e che sono i loro voti, i loro discorsi, i progetti di legge, ordini del giorno, magari urli, pugni e simili, non vi è da temere: con esse, tutt'al più, si fa saltare in aria... un ministero.

Il CE della III Internazionale, ritenendo che gli antiparlamentari siano sindacalisti ed anarchici, si preoccupa di includere questi nel Partito Comunista per tonalizzare in certo qual modo i provenienti dai partiti socialisti più disposti all’azione parlamentare che a quella illegale, cui tendono più degli altri. Perciò, mentre insiste nel dichiarare che la vera soluzione è fuori del parlamento, nella strada, consiglia a quelli l'azione parlamentare e a tutti l'unione, perché non si indeboliscano forze rivoluzionarie che esso mostra in fondo di ritenere più efficaci e decise dei primi.

Senza ripetere ancora una volta quanto sia diverso il nostro anti-parlamen­tarismo da quello dei sindacalisti e degli anarchici, noi conchiudiamo che riteniamo, in perfetto accordo col CE della Terza Internazionale, che la questione del parla­mentarismo debba essere definita in norma generale. Se però il CE crede di averla risolta con la sua circolare, noi sosteniamo che non possiamo accettare la sua risoluzione che non risolve nulla, ma lascia le cose tal quali sono con tutte le loro nocive conseguenze. La questione va posta nel prossimo congresso della Terza Internazionale, per modo che ovunque i partiti aderenti ad essa ne adottino e pratichino disciplinatamente i deliberati.

Non mancheranno in seno al congresso coloro che faranno conoscere tutte le ragioni che consigliano, a parer nostro, la Terza Internazionale ad adottare in rapporto al parlamentarismo la tattica astensionista che noi sosteniamo.

 

 

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