DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Il Soviet», anno III, nr. 2 dell’11.I.1920)

 

L'influenza grandissima che esercita la sapiente parola del grande comunista ci obbliga a commentare questa ultima lettera pubblicata sull’Avanti! pochi giorni or sono, diretta ai comunisti tedeschi, nella quale egli consiglia loro di parteci­pare al parlamento borghese. Già altra volta Lenin in una breve lettera al com­pagno Serrati aveva espresso la sua approvazione al proposito del Partito socia­lista italiano di partecipare alle elezioni al parlamento, in contrasto quindi col nostro punto di vista decisamente astensionista. Lenin, che sa quanto grande, e meritatamente, sia il suo prestigio, si affretta in tutte e due le lettere, molto sag­giamente, a premettere che egli ha notizie assai scarse, e ciò per mettere in guardia coloro che volessero fare eccessiva valutazione del suo giudizio, che egli ammette senz'altro possibilmente inesatto per difetto di dati precisi.

Del socialismo italiano egli, che fu a Zimmerwald, conosce la decisa av­versione del partito alla guerra, che insieme all’adesione alla III Internazionale ha fatto acquistare al partito stesso fuori del nostro paese un credito superiore ai suoi meriti facendolo passare per un partito a forte carattere rivoluzionario; il che non è proprio assolutamente esatto.

La ripercussione del fenomeno guerra fu, in seno al partito, più che un prodotto di valutazione teorica, di natura prevalentemente sentimentale e perciò spesso assurda e contraddittoria.

Non sono pochi i nostri compagni e dei migliori che, accaniti avversari del­la guerra, si dichiarano altrettanto accaniti avversari di ogni violenza per qual­siasi motivo esercitata. Furono contrari alla guerra molti fra i più tenaci rifor­misti che accettano il concetto della difesa della patria. Molti per calcolo, per prudenza, pochi per profonda intima convinzione. Perciò l'atteggiamento contrario non andò mai oltre l'esercizio verbale. Durante la crisi di Caporetto, nessun ten­tativo fu fatto per cercare di trarre profitto dal difficile momento della borghe­sia, che non incontrò alcun ostacolo per superare il passo periglioso. Il partito si affannò anzi in quell’ora e poi a scagionarsi della responsabilità che la borghesia voleva addossargli di aver partecipato a provocare quel fenomeno, senza rivendi­care quel tanto che poteva spettargli per la propaganda contraria fatta costante­mente, che non aveva potuto non dare qualche frutto.

In quei giorni Turati, oratore del gruppo parlamentare, faceva eco alle pa­role del presidente del consiglio che incitava alla resistenza, esclamando: La pa­tria è sul Grappa, e sul giornale scriveva del pericolo del secondo nemico (lo straniero) senza che il partito elevasse protesta, anzi col consenso quasi generale di questo.

Quanto pochi in quell’ora tennero fermo nell’interno dell’animo e non in­vocarono la liberatrice democratica vittoria delle armi dell’Intesa che avrebbe rea­lizzato il vangelo wilsoniano! I più furbi tacquero ed attesero l'ora propizia della lotta elettorale per presentare alle masse scevro da macchie il proprio certificato di opposizione alla guerra, laddove i più imprudenti parlarono e oggi ne scontano il fio.

E questo per quanto riguarda l'avversione alla guerra, il cui merito spetta solo a ben pochi. Non parliamo dell’adesione alla Terza Internazionale. La since­rità di questa adesione e la coscienza di essa è nel modo con cui fu fatta la vota­zione, cioè per acclamazione.

Quelli che sono lontani ed hanno poco precise notizie, tra cui quindi il compagno Lenin, ritengono che il partito italiano sia omogeneamente ed autenti­camente rivoluzionario, cioè che si sia già epurato di tutta la vecchia zavorra socialdemocratica.

Chissà quali considerazioni farebbe Lenin se sapesse ad esempio che i comunisti italiani, cui egli crede di rivolgersi, non sono già tali ma semplicemente socialisti (ormai l'importanza che ha assunto la diversità della denominazione non è più messa in dubbio da nessuno) o se, per esempio, sapesse che nel partito vi sono dei socialdemocratici che sono assai più a destra del rinnegato traditore Kautsky e che sono assai più esplicitamente e tenacemente di lui nemici dichia­rati del bolscevismo; e tutto questo per volere del direttore di Comunismo e dei massimalisti, in opposizione alle proposte della nostra frazione, pel solo fatto che non bisognava spezzare l'unità del partito nell’imminenza della battaglia a colpi di... scheda per la conquista di un maggior numero di seggi nel Parlamento nazionale.

Lenin dice che non vi può essere pace, che non si può lavorare insieme coi Kautsky, Adler ecc.; qui da noi non si tratta di lavorare insieme; purtroppo si tratta di vivere insieme nello stesso partito, con la stessa disciplina ed, ironia!, anche con lo stesso programma... elettorale.

Così pure non si tratta di unire il lavoro illegale al legale; purtroppo da noi non si fa che quest'ultimo, che è il solo che molta parte del partito ritiene utile e doveroso dover fare perché il solo veramente rivoluzionario.

Circa la partecipazione al parlamento borghese consigliata ai comunisti te­deschi, non vale ricordare l'atteggiamento vario tenuto dai bolscevichi in rapporto alla Duma, non essendo atteggiamenti che possano valutarsi per analogia.

Per noi la ragione fondamentale per la non partecipazione è riposta soprat­tutto nella valutazione del periodo storico che si attraversa, ritenendo, come abbiamo altre volte ampiamente svolto, che nel periodo rivoluzionario il com­pito unico e solo del partito comunista sia quello di dedicare ogni sua attività alla preparazione dell’azione rivoluzionaria tendente ad abbattere con la violenza lo stato borghese ed a preparare la realizzazione del comunismo.

Una questione di tanto cardinale importanza involge tutta la sostanziale funzione del partito, come è apparso nettamente in Germania nell’ora del crollo del vecchio impero, durante la quale coloro come Scheidemann, Kautsky ecc. che volevano l'azione parlamentare apparvero e furono conseguentemente opportunisti.

Nei paesi ove la democrazia non ha tradizione, come in Russia, questa apparenza si manifesta in quelle ore critiche; nei nostri paesi, ove la democrazia vive da lungo periodo, non vi ha bisogno di attendere queste crisi per giudicare della condotta di certe frazioni, le quali hanno fatto costantemente opera opportuni­stica, collaborazionista ed antirivoluzionaria, quale la funzione parlamentare esige e impone.

A noi meraviglia che Lenin metta insieme, come fossero la medesima cosa, la rinunzia alla partecipazione ai parlamenti borghesi e quella ai sindacati rea­zionari, ai consigli di fabbrica ecc. che alcuni comunisti tedeschi sostengono.

Per noi sono due cose che non possono andare riunite: il parlamento è un organo borghese, né può avere altra funzione se non nell’interesse della borghesia; deve quindi scomparire col cadere del dominio borghese. Il sindacato ope­raio, all’inverso, è organo schiettamente di classe, il quale se pure per incoscienza dei capi svolge opera reazionaria potrà, anzi dovrà, essere richiamato alla vera sua funzione.

L'intervento al parlamento pei comunisti non interessa dal momento che deve essere abbattuto; non così il sindacato, il consiglio operaio ecc., i quali in tanto fanno opera rivoluzionaria in regime borghese, in quanto sono pervasi di spirito comunista ed agiscono sulle direttive comuniste sotto la spinta ed il con­trollo dei comunisti; per altrettanto saranno organi utili e positivamente fattivi in regime comunista non solo per la forma della loro costituzione.

Se i comunisti tedeschi vogliono boicottare questi organismi operai, è pos­sibile anche che ciò essi siano costretti a fare per ragioni di difesa e di conser­vazione, per sottrarsi alle persecuzioni della socialcanaglia Noske che in questi organismi ha sguinzagliato le sue spie.

Che se invece ciò facessero per tendenza alla concezione anarchico-individualista della rivoluzione, allora non avremmo bisogno di ricordare che noi siamo decisamente contrari a tale atteggiamento poiché siamo in perfettissimo accordo con Lenin sulla necessità di avere un forte partito politico, centralizzato, che sia cervello, anima e guida sicura del proletariato nella lotta per la sua redenzione.

A questo fine noi continuiamo la nostra tenace azione per la divisione dei comunisti dai socialdemocratici, divisione che per noi è fattore indispensabile per la vittoria del comunismo.

 

 

 

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