DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

(a Il Soviet», anno III, nr. 12 del 25.IV.1920)

 

Gli scioperi si seguono e si susseguono con una frequenza vertiginosa, conse­guenza del grave e profondo sconvolgimento e disordine economico che attraversiamo. Le masse lavoratrici cominciano a rendersi conto che gli aumenti di salario che esse conseguono a seguito delle lotte di categoria non risolvono nulla.

I modesti benefici immediati che esse ricavano sono presto frustrati dall’incal­zante rincaro della vita che non dà loro tregua e non consente dopo le lotte più aspre ed i più grandi sacrifici neppure un momentaneo relativo sollievo. Premute da questo assillante tormentoso squilibrio, esse sono necessariamente spinte a volgere i loro sforzi non solamente verso uno sterile miglioramento dei salari, ma cominciano a sentire la necessità d'impadronirsi del meccanismo della produzione per potere procedere ad una più disciplinata perequazione dei consumi. Questa tendenza esse manifestano nei ripetuti diretti tentativi di impossessarsi delle fabbriche e gestirle per proprio conto, e indirettamente nella tenace azione per il riconoscimento dei consigli di fabbrica e del diritto da parte di questi ultimi ad esercitare un controllo sulla produzione.

La borghesia, e per essa lo stato borghese, che tollera le lotte dei lavoratori per l'aumento dei salari, reagisce violentemente contro questo nuovo indirizzo delle masse e oppone pertanto, in attesa che vengano in suo aiuto i suggerimenti legislativi dei socialdemocratici, il piombo omicida delle guardie regie ai lavoratori delle offi­cine o dei campi che fanno i loro tentativi di presa di possesso. Il numero degli eccidi e il modo con cui tali delitti vengono perpetrati è impressionante. E' mani­festo il proposito della borghesia di spezzare nel sangue queste audacie sovversive.

Noi non spremiamo sulle vittime la solita lacrimuccia sentimentale né ripetiamo per l'ennesima volta la inutile protesta.

La borghesia colla sua reazione brutale, tagliando corto a tutti i vecchi senti­mentalismi, ha messo il problema nei suoi veri termini come problema di forza. Essa provvede a togliere via tutte le bende della illusione ai sognatori dei placidi tramonti, a coloro che fantasticano di sgretolare la sua compagine demolendo pezzo per pezzo la sua salda impalcatura, a quei rivoluzionari riformisti che credono di avere compiuto opera rivoluzionaria limitando i diritti dei capitalisti.

Noi non diciamo al proletariato che esso deve richiamare il governo borghese al rispetto della vita umana ed obbligarlo a punire i suoi sgherri autori di simili delitti.

Noi diciamo che esso deve impegnare le sue forze affrontando la lotta in tutta la sua asprezza, così come l'affronta la borghesia.

In questa fase critica della storia la borghesia sente tutta la necessità della sua difesa e si appresta ad essa impegnando tutte le sue risorse. La lotta di classe culmina in questa ora suprema nella guerra di classe che è guerra civile.

Siamo agli scontri delle avanguardie. La borghesia non può ormai ritirarsi. Le masse lavoratrici debbono educarsi ad esercitare la violenza non come ripercus­sione sentimentale soltanto o per resistere a quella borghese, ma come necessità ineluttabile della loro azione liberatrice.

Cercare di inoculare in esse sentimenti di pace e di umanitarismo è pericoloso. Chi fa ora tale propaganda è un nemico del proletariato, perché non può riuscire ad altro che ad indebolire la sua energia di attacco. Questa propaganda umanitaria e pacifica non fa presa presso la borghesia.

Prima che il suo potere non sia abbattuto, e fino a che essa non sia distrutta, la violenza ha ancora una funzione precipua. Questa generazione proletaria che è destinata ad esercitare la dittatura non può rinunziare alla violenza.

Il proletariato che avrà sostenuto la lotta più aspra per la sua liberazione sarà quello che difenderà con maggiori energie le conquiste della rivoluzione.

Le vicende delle varie rivoluzioni proletarie sono al riguardo di grande insegnamento.

La situazione italiana è satura di elementi rivoluzionari: mentre la borghesia non riesce a risolvere alcuno dei suoi problemi di politica estera ed interna e vive alla giornata sotto l'incubo terrorizzato di un moto che debba travolgerla, la classe lavoratrice irrobustisce le sue energie e compie i suoi moti con maggiore elasticità e slancio; senza una coordinazione organizzata, spontaneamente, mentre gli operai piemontesi combattono la loro lotta aspra, i compagni lavoratori degli altri paesi insorgono per impedire che il governo possa condurre contro di quelli i massacratori, e fermano i treni ovunque spezzando a lui l'arma nel pugno.

Questa tensione sempre crescente bisogna guidare, incanalare, disciplinare, non esaurire in molteplici piccole lotte frammentarie, le quali debbono servire invece solo di allenamento, esercizio, preparazione.

Non bisogna preparare una azione intesa al fine ristretto di imporre al governo borghese il rispetto delle pubbliche libertà; bisogna preparare il proletariato alla coscienza della necessità dell’abbattimento del potere politico della borghesia per sopprimere definitivamente lo sfruttamento capitalistico.

 

 

 

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