DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Se, da alcuni anni, l'attenzione del mondo intero si rivolge, sia pure per scopi diversi, al continente africano e alla sua emancipazione dal giogo coloniale, ciò dipende dal fatto che gli avvenimenti vi si susseguono a ritmo accelerato mostrando chiaramente il loro profondo contenuto rivoluzionario. Ma di interessante vi è pure che alla lotta aperta contro la dominazione straniera, contro il razzismo e le disumane condizioni di sfruttamento in cui versano i popoli del «continente nero» si accompagna con lo stesso ritmo una laboriosa teorizzazione sugli sviluppi del movimento e i mezzi da impiegare per realizzarne gli obiettivi. Come qualunque rivoluzione democratica borghese, quella africana pone come necessità della sua realizzazione la ricerca di un'ideologia che, riallacciandosi alle tradizioni storiche, possa essere abbracciata dall'intero popolo senza distinzione di classe, e in vista di una lotta comune. Tale impegno fu lo scopo del congresso di Accra; ma da allora se ne tennero altri (ultimo quello del Cairo nel marzo scorso) durante i quali tutto ciò che era soltanto abbozzato e confuso è venuto via via chiarendosi, specialmente da quando si è tentato di porre su basi più salde, cioè passando dalla formulazione teorica all'attuazione pratica, il problema della necessità di un'unione panafricana. Il passo più importante compiuto in questo senso, quello che più di ogni altro è passibile di sviluppi notevoli, è costituito dalla realizzazione delle Federazione sindacale panafricana, che comprende tutte le organizzazioni sindacali dell'Africa, e si è riunita in un primo Congresso a Casablanca, durante il quale il colonialismo vecchio e nuovo e le sue organizzazioni hanno subìto sul piano dei principi un duro colpo, che non mancherà di esprimersi in modo ancor più deciso nel campo della lotta aperta.

Il punto centrale della conferenza di Accra riguardava l'unità politica ed economica da contrapporre alla «balcanizzazione» dell'Africa, cioè al processo di smembramento dei nuclei «nazionali» attraverso la creazione di piccoli stati che, per la loro debolezza, possono maggiormente subire la pressione imperialistica. Nel Congresso di Casablanca, al quale hanno partecipato 34 delegazioni, di cui 18 autonome (Guinea, Mali, Ghana, Sud-Africa, quelle clandestine dell'Angola e del Camerun, ecc,) e 16 affiliate alla CISL internazionale (UGT marocchina, UGTA algerina, TUC del Kenia facente capo al giovane Tom M'Boya, ecc.), questo punto è stato però rafforzato portando in primo piano la funzione della classe operaia come elemento insostituibile nella lotta per la liberazione degli Stati nazionali e per la difesa della loro integrità.

Abbiamo più volte accostato la lotta anticolonialista a quelle europee del secolo scorso, attraverso le quali la classe borghese condusse la sua battaglia storica contro la classe feudale che col suo tipo di economia chiusa e localista costituiva un freno all'espansione degli scambi e quindi alla formazione di un vasto e saldo mercato interno.

In tale periodo, la classe operaia si trovò al suo fianco, perché ciò era la premessa della sua successiva rivoluzione non agendo però mai come semplice appendice della borghesia, anzi intervenendo in modo autonomo e decisivo affinché il cammino storico fosse percorso fino in fondo malgrado le esitazioni, le rinunce e le perplessità del temporaneo alleato, incline ad allearsi al nemico di ieri per il terrore della spinta proletaria di oggi e di domani. Quanto accadde allora in Europa sta oggi maturando in Africa. Il processo di balcanizzazione si è compiuto grazie ai tentennamenti della nuova borghesia nazionale: è quindi logico che il proletariato africano si assuma la sua responsabilità e prenda la sua iniziativa storica costituendosi in organizzazioni che superino i limiti imposti dalla tattica imperialistica e dalle connivenze delle borghesie locali. Tuttavia, molte cose sono rimaste nel vago, né poteva essere altrimenti, giacché i problemi che il sindacato panafricano si è posto non possono essere risolti da questo tipo di organizzazione proletaria. Problemi come la riforma agraria, che ha sempre e dovunque costituito il primo passo nel processo di industrializzazione, e soprattutto quelli dell'unità proletaria internazionale e delle possibilità di sviluppo non capitalistico dell'Africa, possono essere affrontati soltanto da una forza politica, dal partito di classe. È perciò che, diversamente dagli stalinisti, non possiamo considerare la costituzione della Federazione sindacale panafricana come un fatto storico conclusivo, perché, pur manifestando un alto spirito di combattività operaia, il Congresso non ha dato né poteva dare l'avvio a quei mutamenti radicali nella struttura della società, ch'è opera esclusiva del partito politico proletario. Ciò non toglie che - come sono costretti ad ammettere anche coloro secondo i quali «nulla si muove in Africa» - esso rappresenti un sensibile passo avanti nel processo che dovrà concludersi con l'accettazione del programma rivoluzionario marxista da parte del proletariato africano.

La realtà del Congresso di Casablanca va dunque ricercata nella contraddizione tra i finì che ci si è posti e i mezzi coi quali ci si prefigge di realizzarli, contraddizione del resto parallela a quelle insite nel movimento proletario metropolitano in quanto legato ad organizzazioni riformiste e rinunciatarie e all'opera disgregatrice dell'unità internazionale ch'esse svolgono.

Per valutare esattamente i risultati conseguiti, bisogna partire dalla considerazione dello sviluppo del capitalismo mondiale e delle posizioni ch'esso prese nelle diverse epoche storiche nei confronti del sindacato operaio. Nel suo ciclo da classe rivoluzionaria a classe riformista e controrivoluzionaria, la borghesia, per esigenze di conservazione, dovette passare dall'iniziale divieto di qualunque organizzazione di difesa operaia alla sua legalizzazione, al riconoscimento del diritto di sciopero, e infine allo inserimento del sindacato nella compagine statale attraverso il suo riconoscimento giuridico. Queste fasi diverse coincisero coi diversi momenti della sua espansione, cosicché, nell'epoca imperialistica, quasi tutte le organizzazioni sindacali metropolitane risultarono imprigionate in un inquadramento che si può ben definire di strati di lavoratori meglio retribuiti, la cosiddetta «aristocrazia operaia». L'imperialismo, nella sua espansione, non poteva non esportare nelle colonie le addomesticate organizzazioni metropolitane, riformiste ed opportuniste, sul tipo delle Trade Unions, e affidar loro il compito di contenere gli eventuali moti insurrezionali mantenendo e, se possibile, promuovendo la discriminazione razziale all'interno del proletariato. La nuova Federazione sindacale panafricana non poteva quindi non combattere il corporativismo, denunziando l'operato della CISL internazionale, le sue manovre scissionistiche, il suo tentativo di subordinare il sindacato agli interessi dell'imperialismo, i suoi intrighi per impedire che il movimento sindacale africano si unificasse su scala continentale. Tottegah, segretario generale dei sindacati del Ghana, ha messo in rilievo con fermezza e convinzione la resistenza ostinata e corruttrice, la connivenza con gli agenti dell'imperialismo, il fondo reazionario, di tale organizzazione.

A questo punto doveva riallacciarsi l'altro della critica dell'«apoliticità» del sindacato, altro prodotto socialdemocratico che estende il raggio della sua influenza soprattutto nell'Africa di lingua inglese è francese, cosicché la formulazione uscita dal Congresso: «il nostro sindacalismo respinge il corporativismo e tutte le forme dell'apoliticità sindacale», pone questa organizzazione all'avanguardia sia nella lotta rivendicativa che in quella di preparazione dell'attacco rivoluzionario alla cittadella borghese. È infatti evidente che il rifiuto dell'apoliticità non vuol essere un passo verso una maggior collaborazione con la borghesia nazionale e quindi col suo partito, ma - almeno tendenzialmente - esprime la volontà di ricerca di una politica autonoma del proletariato. La teoria dell'apoliticità parte dalla convinzione, di cui Seku Turé è il portavoce, che «nei paesi colonizzati la situazione si presenta in modo diverso [dal resto del mondo], perché le contraddizioni tra i diversi strati della popolazione sono minori rispetto alla contraddizione maggiore esistente fra l'interesse dell'insieme del popolo del paese e il sistema coloniale... La lotta di classe nei paesi colonizzati si confonde essenzialmente con la lotta contro il sistema coloniale che, a un livello più elevato, non è che una conseguenza dello sviluppo del capitalismo all'esterno dei paesi dominati da questo regime». Ma la parola d'ordine di Seku Turè: «Tutto per la liberazione dei popoli dell'Africa nera dal giogo coloniale, tutto per l'indipendenza immediata», che si traduce in una stretta collaborazione fra proletariato e borghesia, nella rinuncia ad un programma proletario a favore del programma borghese, non rappresenta più, come appariva nei precedenti congressi, le esigenze del movimento sindacale e operaio africano. La Carta di Casablanca dichiara infatti che la lotta da condurre è quella a fianco dei lavoratori di tutto il mondo contro ogni forma di sfruttamento dell'uomo, e che lo sviluppo dell'Africa non può essere capitalista, perché il «capitale» africano più prezioso è l'uomo, e dalle sue braccia dipende il presente e l'avvenire.

Un altro punto significativo, e che dimostra come per il proletariato sia più facile apprendere in una situazione rivoluzionaria che in lungo periodo di riformismo, è che i rappresentanti del proletariato africano hanno riconosciuto come i più pericolosi nemici l'opportunismo e il riformismo. Ciò è implicito nella loro dichiarazione di essere nello stesso tempo contro le organizzazioni internazionali e metropolitane appunto inficiate di opportunismo - e per l'internazionalismo proletario; dichiarazione apparentemente contraddittoria, ma che in realtà dimostra come il proletariato africano sia sulla via di costituirsi in classe autonoma e quindi anche in partito, ed è caratteristico che gli stalinisti non l'abbiano messa in risalto, perché ciò implicava una analisi critica delle posizioni che i partiti cosiddetti comunisti hanno assunto su scala mondiale.

Le prospettive del proletariato africano sono legate a quelle del proletariato dei paesi capitalistici più evoluti; ma è anche vero che molto ha dato e molto darà alla classe lavoratrice europea la classe lavoratrice africana. Con la formazione di stati nazionali si smembreranno i tradizionali imperi colonialisti e questo sgretolamento non mancherà di coinvolgere le posizioni di privilegio e di «aristocrazia» di cui il proletariato metropolitano aveva finito per «godere» pagandole al caro prezzo della rinuncia al suo programma storico rivoluzionario e alla sua unità internazionale. Bruciato ed umiliato, esso saprà finalmente riconoscere, come hanno istintivamente dimostrato i lavoratori belgi nell'ultimo loro grande sciopero, che il vero nemico è il capitale internazionale e il suo sistema economico, quello stesso contro cui si battono i proletari di pelle nera. I due processi si legano e si condizionano a vicenda. Alla marcia del proletariato africano verso la sua costituzione in classe corrisponderà la ripresa del proletariato dei paesi industrialmente più evoluti: e allora, ma solo allora, saremo testimoni del fatto storico decisivo per cui l'umanità, cristallizzata nel proletariato e nel suo partito, si leverà con una tale potenza da squassare la terra che da millenni assiste muta allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, delle classi dominanti su quelle dominate.

 

«Il Programma Comunista», 22 luglio 1961, N.14

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
ARTICOLI GUERRA UCRAINA
RECENT PUBLICATIONS
  • Il proletariato nella seconda guerra mondiale e nella
    Il proletariato nella seconda guerra mondiale e nella "Resistenza" antifascista
      PDF   Quaderno n°4 (nuova edizione 2021)
  • Storia della Sinistra Comunista V
    Storia della Sinistra Comunista V
  • Perchè la Russia non era comunista
    Perchè la Russia non era comunista
      PDF   Quaderno n°10
  • 1917-2017 Ieri Oggi Domani
    1917-2017 Ieri Oggi Domani
      PDF   Quaderno n°9
  • Per la difesa intransigente ...
    Per la difesa intransigente
NOSTRI TESTI SULLA "QUESTIONE ISRAELE-PALESTINA"
  • Israele: In Palestina, il conflitto arabo-ebreo ( Prometeo, n°96,1933)
  • Israele: Note internazionali: Uno sciopero in Palestina, il problema "nazionale" ebreo ( Prometeo, n°105, 1934)
  • I conflitti in Palestina ( Prometeo, n°131,1935)
  • Gli avvenimenti in Palestina (Prometeo, n°132,1935)
  • Israele: Fraternità pelosa ( Il programma comunista, n°21, 1960)
  • Israele: Il conflitto nel Medioriente alla riunione emiliano-romagnola (Il programma comunista, n°17, 1967)
  • Israele: Nel baraccone nazional-comunista: vie nazionali, blocco con la borghesia ( Il programma comunista, n°20, 1967)
  • Israele: Detto in poche righe ( Il programma comunista, n°18, 1968)
  • Israele: Spigolature ( Il programma comunista, n°20, 1968)
  • Israele: Un grosso affare ( Il programma comunista, n°18, 1969)
  • Incrinature nel blocco delle classi in Israele(Il Programma comunista, n°17, 1971)
  • Curdi palestinesi(Il Programma comunista, n°7, 1975 )
  • Dove va la resistenza palestinese? (I)(Il Programma comunista, n°17, 1977)
  • Dove va la resistenza palestinese? (II)(Il Programma comunista, n°18, 1977)
  • Dove va la resistenza palestinese? (III)(Il Programma comunista, n°19, 1977)
  • Il lungo calvario della trasformazione dei contadini palestinesi in proletari(Il Programma comunista, n°20-21-22, 1979).
  • In rivolta le indomabili masse sfruttate palestinesi ( E' nuovamente l'ora di Gaza e della Cisgiordania)(Il Programma comunista, n°8, 1982)
  • Cannibalismo dello Stato colonialmercenario di Israele(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • Le masse oppresse palestinesi e libanesi sole di fronte ai cannibali dell'ordine borghese internazionale(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • La lotta delle masse oppresse palestinesi e libanesi è anche la nostra lotta- volantino(Il Programma comunista, n°13, 1982)
  • Per lo sbocco proletario e classista della lotta delle masse oppresse palestinesi e di tutto il Medioriente(Il Programma comunista, n°14, 1982)
  • La lotta nazionale dei proletari palestinesi(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • Sull'oppressione e la discriminazione dei proletari palestinesi(Il Programma comunista, n°19, 1982)
  • La lotta nazionale delle masse palerstinesi nel quadro del movimento sociale in Medioriente(Il Programma comunista, n°20, 1982)
  • Il ginepraio del Libano e la sorte delle masse palestinesi ( Il programma comunista, n°2, 1984)
  • La questione palestinese al bivio ( Il programma comunista, n°1, 1988)
  • Il nostro messaggio ai proletari palestinesi ( Il programma comunista, n°2, 1989)
  • Una diversa prospettiva per le masse proletarie (Il programma comunista, n°5, 1993)
  • La questione palestinese e il movimento operaio internazionale ( Il programma comunista, n°9, 2000)
  • Gaza, o delle patrie galere (Il programma comunista, n. 2, 2008)
  • Israele e Palestina: terrorismo di Stato e disfattismo proletario ( Il programma comunista, n°1, 2009)
  • A Gaza, macelleria imperialista contro il proletariato ( Il programma comunista, n°1, 2009)
  • Il nemico dei proletari palestinesi è a Gaza City ( Il programma comunista, n°1, 2013)
  • Per uscire dall’insanguinato vicolo cieco mediorientale (Il programma comunista, n° 5, 2014)
  • Guerre e trafficanti d’armi in Medioriente (Il programma comunista, n°5, 2014)
  • Gaza: un ennesimo macello insanguina il Medioriente-Volantino (Il programma comunista, n°5, 2014)
  • L’alleanza delle borghesie israeliana e palestinese contro il proletariato (Il programma comunista, n°6, 2014)
  • Israele e Palestina: terrorismo di Stato e disfattismo proletario  ( Il programma comunista, n°3, 2021)
  • A fianco dei proletari e delle proletarie palestinesi! ( Il programma comunista, n°5-6, 2023)
  • Il proletariato palestinese nella tagliola infame dei nazionalismi ( Il programma comunista, n°2, 2024)
We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.