DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

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Contro le guerre imperialiste, sempre e comunque disfattismo rivoluzionario

Sotto la pressione della crisi mondiale del modo di produzione capitalistico, la situazione medio-orientale si fa, giorno dopo giorno, sempre più critica. La guerra fra Israele e Iran, comunque si sviluppi nell'immediato futuro, ne è al contempo un sintomo e un fattore di accelerazione e aggravamento.

Lo Stato d’Israele, già impegnato nella pulizia etnica a Gaza e dintorni, svolge appieno la funzione e il ruolo che gli sono stati assegnati, nell'immediato secondo dopoguerra, dalle potenze imperialiste uscite vittoriose, USA e URSS in testa, seguite a ruota da Francia e Inghilterra: la funzione e il ruolo di gendarme armato, pagato e sostenuto dagli interessi del capitalismo mondiale, nel cuore di una regione gonfia di petrolio, gas e altre materie prime preziose, e crocevia di scambi internazionali. Da parte loro, le locali borghesie (arabe e non), laiche o bigotte, corrotte e reazionarie, pavide di fronte agli imperialismi più forti, non hanno fatto e non fanno che tenersi ben stretti i giacimenti dell'oro nero e seguire l'odore dei soldi: che siano dollari, rubli, euro o yen non importa.

È evidente che, proprio nel quadro della crisi mondiale, tutti questi fattori non fanno che porre le basi per uno scontro inter-imperialistico allargato, destinato a sfociare infine in un terzo conflitto mondiale.

I proletari già sono (e sempre più saranno) le vittime di questi sanguinosi scenari, presenti e futuri. La sovrapproduzione di merci e di capitali, tipica di questa fase imperialista, è infatti anche sovrapproduzione di esseri umani: cioè di vittime da sacrificare sull'altare della conservazione a tutti i costi del capitalismo. Lo sanno bene, per tremenda esperienza diretta, i proletari e le masse in via di proletarizzazione di Gaza, della Cisgiordania, del Libano, di Siria, d'Iran, abbandonati da tutti, respinti da tutti, traditi da tutti, martoriati da tutti, e per di più rinchiusi dentro la tagliola infame di nazionalismi anti-storici.

E i proletari degli imperialismi più potenti, euro-asiatico-americani? Che aiuto possono dare oggi ai loro fratelli massacrati, dopo quasi un secolo di controrivoluzione, democratica o fascista, che li ha paralizzati nell'illusione che, dopo tutto, questo sia “il migliore dei mondi possibili”?

Nelle guerre imperialiste, ci ha insegnato Lenin, non esistono “aggressori” e “aggrediti”: sono tutti aggressori e c'è un solo aggredito – il proletariato mondiale.

La china è lunga e ripida da risalire: ma non c'è altra via. Gli stessi fatti materiali (la crescente difficoltà di sopravvivere, il tradimento ormai esplicito e dichiarato di partiti e sindacati collusi con il potere statale, la svolta repressiva comune a tutti i governi, di destra come di centro e di centro-sinistra…) s’incaricheranno di sgretolare il muro finora compatto che ha separato i proletari delle potenze imperialiste dagli altri contingenti di un proletariato ovunque in crescita numerica. Ciò tuttavia non basta: deve tornare a farsi strada, nelle loro file, nelle loro lotte, nelle loro grandi sconfitte e piccole e precarie vittorie immediate, la consapevolezza della necessità del passaggio a un modo di produzione superiore, e dunque della strada, ardua e non lineare, difficile e non breve, per giungervi. Questo è e sarà compito primario delle avanguardie di lotta, dei rivoluzionari non sviati dalle mille illusioni seminate in decenni e decenni di pratiche riformiste e democratiche, anti-proletarie e controrivoluzionarie.

Al cuore di questo compito enorme sta la rivendicazione del disfattismo rivoluzionario. Non uno slogan, ma una pratica di lotta che deve partire dalla constatazione che, per l'appunto, l'unico aggredito è il proletariato: non esistono “fronti” su cui schierarsi, non esistono “nemici principali” o “amici privilegiati”. Bisogna lottare contro tutte le borghesie e i loro Stati, e in primo luogo contro la propria borghesia e il suo Stato.

Il nostro Partito, minoritario e controcorrente (specie in questa situazione), lavora tra le file della nostra classe – classe internazionale e non nazionale – per sviluppare ogni possibilità pratica di mettere in campo questi obiettivi:

Organizzarsi ovunque per una radicale lotta di classe contro lo Stato del capitale, le sue istituzioni e tutti i suoi partiti!

Sviluppare una reale lotta di difesa delle condizioni di vita e di lavoro, per colpire duramente gli interessi economici e politici della borghesia.

Rifiutare di accettare sacrifici economici e sociali in nome dell'economia nazionale.

Rompere apertamente la pace sociale, con il ritorno deciso ai metodi e agli obiettivi della lotta di classe, unica reale e praticabile solidarietà internazionalista di noi proletari, tanto nelle metropoli quanto nelle periferie imperialiste.

Rifiutare ogni complice partigianesimo (nazionalista, religioso, patriottico, mercenario, umanitario, socialisteggiante, pacifista...) a favore di uno qualsiasi degli Stati o fronti di Stati coinvolti nelle guerre.

Organizzare azioni di sciopero economico e sociale che portino a veri scioperi generali per paralizzare la vita nazionale e aprire la strada a scioperi politici, atti a rallentare e impedire ogni mobilitazione e propaganda bellica.

Solo se le avanguardie di lotta della nostra classe si organizzeranno su questi contenuti (e non soltanto sui pur necessari ma limitati terreni sindacale, ambientale, sociale, ecc...) e raggiungeranno e rafforzeranno il partito della rivoluzione comunista, ci si potrà preparare ad azioni di aperto antimilitarismo e disfattismo anti-patriottico. Ovvero:

 

Lasciare che il proprio Stato e i suoi alleati siano sconfitti, disobbedire in maniera organizzata alle gerarchie militari, fraternizzare con i nostri fratelli di classe (essi pure intrappolati nelle loro “patrie”), tenere ben strette le armi e i sistemi d'arma per difendersi prima e liberarsi poi dai tentacoli delle istituzioni borghesi: trasformare la guerra tra gli Stati in guerra dentro gli Stati, in guerra civile, in guerra rivoluzionaria.

 

Sono i fatti stessi della realtà capitalista attuale che urlano tragicamente l’urgenza di questo lavoro e la necessità di questa prospettiva.

                                                                                             

                                                                                                                                             17/6/2025 

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
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  • Curdi palestinesi(Il Programma comunista, n°7, 1975 )
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