(Avanti!» del 5-11-1914)

 

Questo breve articolo dell’«Avanti!» dal titolo Verso l’avvenire tende a spiegare che la linea presa dal Partito Socialista non è, come dicono gli avversari, una linea negative e passiva, ma vale una consegna di azione; ossia seguitare la lotta antiborghese malgrado la guerra divampi in Europa.

Il Partito non deve quindi ascoltare i farisei che vorrebbero spiegarci quale contegno discenda dai principi socialisti, ma pensare all’avvenire.

Questo articolo anticipa i successivi sulla critica delle spiegazioni belliche discendenti dai principi borghesi: democrazia, libertà. nazionalità, ecc.

La guerra dimostra invece che é sempre viva la previsione marxista che la pretesa civiltà borghese sarebbe crollata nella barbarie.

 

È tempo per il Partito Socialista Italiano di tracciarsi una strada d'azione e seguirla senza pericolosi tentennamenti. Non bisogna seguitare a prendere troppo sul serio quegli avversari che in ogni momento decisivo della vita politica pretendono di venirci ad insegnare il socialismo. Poiché è invalsa nelle file più o meno intellettuali dei nostri molteplici nemici l’abitudine di combatterci sostenendo che noi - socialisti ufficiali, com’essi si compiacciono chiamarci - siamo falsi interpreti del socialismo e ne alteriamo il contenuto e il programma, oppure ci rifiutiamo di vagliarli e rettificarli alla stregua degli avvenimenti. Questi nostri insigni critici ci elargiscono, condite di ironia spesso imbecille, le loro lezioni e le loro strapazzate, avendo l'aria di rimpiangere che sia caduta nelle nostre degeneri mani la custodia del socialismo, di quel socialismo col quale, nella migliore ipotesi, costoro non hanno altro rapporto che quello di averlo tradito ieri, e di essere oggi stipen­diati per sabotarlo. Accettare ogni momento questi inviti interessati a rie­saminare da cima a fondo la ragion d'essere del nostro Partito, è imperdo­nabile ingenuità, specie quando è necessario agire, ed ogni ritardo può com­promettere l’azione. Dovremmo ormai aver appresa l'insidia di certi diversivi ed aver capito che, quando gli intellettuali politicanti della borghesia urlano indignati contro il nostro «cieco dogmatismo», è perché essi temono della nostra compattezza risoluta e decisa, non già perché li preoccupino le vi­cende della filosofia e dell’ipercritica del socialismo. E infine noi non abbia­mo per nostro compito la ricerca della pietra filosofale e l'analisi dei pro­blemi trascendenti, bensì la esplicazione di un programma politico e reale sul quale dobbiamo concentrare le nostre sane energie, del giusto impiego delle quali è luminosa riprova l'irritazione viperina della ventraia avversaria.

L'eccessivo e nervoso dubitare della propria verità, se è un coefficiente di riuscita per chi ricerca nel campo delle idee una più attendibile conclu­sione astratta, é indiscutibilmente una causa di debolezza per quei movi­menti collettivi che agiscono nel campo della realtà verso un risultato con­creto. Il socialismo nella sua concezione teorica è il risultato della più rea­listica analisi della storia che mai siasi compiuta, ma ai militanti del socia­lismo nei momenti decisivi della lotta giova più credere che sapere, poiché urge non lasciar sgretolare le nostre falangi dalla critica corrosiva e preme­ditata di avversari che, d'altra parte, associano spesso la più crassa igno­ranza alla completa malafede.

A noi che avversiamo la guerra in nome del socialismo, si grida che abbiamo dimenticato il nostro Marx e che non abbiamo occhi per la storia che si svolge. Noi sagrestani del socialismo ufficiale, oltre a non volerci ac­corgere che l'Internazionale è fallita e che di antimilitarismo proletario non se ne potrà più parlare, non sappiamo - o impagabile intonazione dotto­rale dei nostri mentori! - che il «socialismo non è pacifista», che esso si concilia benissimo con una larga collezione di guerre: quelle di «difesa», quelle di nazionalità», quelle «democratiche». Costoro, che irridono regolarmente al nostro dogmatismo ogni 24 ore, pretenderebbero che noi ci assoggettassimo bensì ad un decalogo, a patto però di lasciarlo formulare a loro. Nella nostra impotenza, dovremmo implorare i lumi di tutti i rin­negati e gli invertiti per dirigere l’opera nostra. La immaginate questa auto­revolissima commissione, composta dai Malagodi, dai Monicelli, dai Labriola, presieduta magari da Bissolati, che verrebbe a sostituire la deficienza del­la Direzione del nostro Partito? Essa dovrebbe regalarci la magnifica in­salata di un socialismo ammaestrato, che lasciasse posto a tutte le più contraddittorie ideologie, che non urtasse le suscettibilità sentimentali di nessu­no, che si lasciasse tagliare le unghie e modificare i connotati fino al punto di poter convenientemente circolare nel mondo della gente per bene, tra quelli che hanno superato, avendolo risolto, il problema volgarissimo del ventre ed esigono che non sia loro disturbata la ponderosa digestione.

Ma decidiamoci pure ad andare per la nostra strada: il tener bene aperti gli occhi è affar nostro, e non abbiamo bisogno della carità pelosa di chi vorrebbe guidarci nelle svoltate. Sbarazziamoci dei suggerimenti pre­tenziosi senza fare troppa filosofia.

Noi pacifisti? tolstoiani? O pessima mania delle definizioni sommarie! Il socialismo è la condanna della pace borghese, ed é la teorizzazione della violenza con la quale gli sfruttati dovranno spezzare l'ordine presente. Noi sappiamo che la «pace» fa le sue vittime come la guerra, ed ha le sue stragi come le battaglie... E non é con la predicazione della supina rassegna­zione cristiana che ci proponiamo di superarla, tutt'altro! Ci si dipinge, perché avversi alla guerra e fautori della neutralità italiana, come gente quie­tista che si copre di un mucchio di materassi per non udire il fragore del­le cannonate. Ci si accusa di voler restare inerti durante questo grande e de­cisivo dramma della storia. Ma noi vogliamo invece lottare, operare, galvanizzare la nostra attività sul terreno di partito e di classe, contro lo Sta­to, contro la borghesia, per legare loro le mani che stanno per brandire la spada. Trasportare la nostra azione su diverso terreno vorrebbe dire dare atto della morte del socialismo, mentre vi è ancora tanto da lottare per esso....

Ma la soluzione dei problemi di democrazia, di libertà, dl nazionalità, che nell’attuale conflitto sarebbero impostati? Ci si incolpa di chiuderci in una negazione monastica quando noi diciamo che, non contestando le moltepli­ci possibilità di diversi effetti della guerra, oggi imprevedibili nelle loro dirette o indirette ripercussioni di domani, vediamo soprattutto nella con­flagrazione presente il saturnale degli egoismi statali, e la competizione di mostruosi organismi militari affatto insensibili ai sentimentalismi, e che non si battono certo per il lusso di far trionfare accademici principi; ma per assicurare la propria egemonia e conservare la propria potenza.

Dovrebbe forse il socialismo frenare la sua condanna dinanzi al be­stiale spettacolo, trasformarsi nel curatore di fallimenti di tutte le fradice ideologie di cui le borghesie, non più romantiche ma sozzamente calcola­trici si disinteressano totalmente?

Il socialismo ha registrato un insuccesso clamoroso? Sia pure.... Ma il socialismo non aveva mai assunto il compito di scongiurare i mali e i di­sastri che derivano dal presente regime, e che la stessa classe dominante non può evitare. Il socialismo vede la fine degli attuali contrasti sociali nella crisi rivoluzionaria che travolgerà l'ordinamento borghese. Ecco perché anche dalla impotenza della Internazionale operaia ad arrestare la guerra viene messo in risalto ben altro fallimento: quello della «civiltà borghese» statale e democratica della quale si completa, nei riflessi dell’orgia di san­gue, la fatale condanna marxistica.

Non è la «realtà nazionale» che si afferma sovrapponendosi alla lot­ta di classe; ma è il principio della strapotenza degli stati più o meno ver­niciati di democrazia politica, che selvaggiamente trionfa travolgendo tut­te le tendenze ad una maggior libertà....

Dove sono infatti gli «irredenti» che hanno saputo o potuto fare ciò che non han fatto i proletari socialisti: rifiutare l’arma che doveva difendere la causa dell’oppressore? Battendoci contro lo Stato italiano per impedirgli l’intervento in guerra noi ci sentiamo quindi sulla strada del socialismo di domani, che completerà dalla sanguinosa esperienza i caratteri della sua concezione e della sua azione. Poiché esso non sarà come prevedono i rinnegati e gli incerti un socialismo convertito alle seduzioni della realtà borghese, ma come la farfalla uscente dalla crisalide spiegherà il volo verso l’avvenire, libero dalla scorza impacciante dei pregiudizi che tendono a paralizzarne l’efficacia sovvertitrice.

 

 

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