DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Le dinamiche che hanno accompagnato e seguito i devastanti terremoti di Haiti e del Cile sono piene di insegnamenti per i proletari. Innanzitutto, come abbiamo già scritto, questi eventi dimostrano che non li si può semplicemente e fatalisticamente etichettare come “disastri naturali”: l’entità della distruzione e i suoi effetti sulla stragrande maggioranza della popolazione delle aree colpite sono tutti da attribuire all’organizzazione economica e sociale capitalistica – vale a dire, sempre maggiore divaricazione fra “chi ha” e “chi non ha”, assoluta vulnerabilità della classe proletaria di fronte a eventi di tale portata, urbanizzazione incontrollata e devastazione del territorio, incapacità scientifica di individuare orientamenti preventivi e caos organizzativo di tutti gli organismi ufficiali preposti a far fronte agli eventi in corso, ecc. ecc.


Ma da questi enormi fatti recenti (come già avvenne nel 2005, quando la città statunitense di New Orleans venne semidistrutta dall’impatto con l’uragano Katrina) viene poi anche un altro grosso insegnamento per il proletariato mondiale. L’elemento comune a tutti, al di là delle considerazioni generali indicate sopra, è stata la prassi seguita dai poteri centrali: immediata militarizzazione della zona colpita, proclamando così subito, alto e chiaro, che la prima preoccupazione è sempre quella di “difendere la proprietà privata”. I marines americani ad Haiti, le forze militari in Cile, hanno occupato città e paesi, non solo per scoraggiare eventuali sommosse (in fin dei conti, Haiti era stata, pochi mesi prima, teatro di autentiche rivolte), ma soprattutto per schierare un cordone di sicurezza intorno a supermercati, grandi magazzini, negozi di ogni tipo, contro quelli che gli schifosissimi mezzi di comunicazione di tutto il mondo (giornali, televisioni, radio) non hanno smesso di bollare come “sciacalli” – cioè i poveracci che, nella disperazione della fame e della sete, sono andati a prendersi quel che gli serviva per sopravvivere.

Non poteva esserci rappresentazione grafica più eloquente, in tutto questo, di quanto noi comunisti abbiamo sempre detto a proposito della società del capitale: la sua grande contraddizione sta nel contrasto insanabile ed esplosivo fra carattere sociale della produzione (il fatto cioè che si produca ciò che potenzialmente serve a tutti, a livello collettivo) e carattere privato del monopolio del prodotto da parte della classe dominante (il fatto cioè che questo monopolio conferisce al prodotto il carattere di merce: in soldoni, solo chi ha denaro può appropriarsene, mentre chi non l’ha, o non l’ha in misura sufficiente, ne è privato). I poveracci di Haiti e del Cile che hanno assaltato i supermercati (come, in passato, hanno sempre fatto i poveracci di ogni luogo, assaltando i forni) si sono trovati di fronte a questa contraddizione, nella forma armata dei marines, dei militari, delle forze di polizia – in una parola, dello Stato, proprio o altrui, comunque sempre baluardo armato del capitale e della proprietà privata.

In un lungo testo, comparso sulla nostra stampa di partito fra il 1946 e il 1948 e dedicato all’analisi del ruolo della forza e della violenza nella storia e delle loro manifestazioni sia attuali che virtuali (sia cioè quando si dichiarino apertamente, con spargimento di sangue, sia quando si esercitino sotto la forma della minaccia, della pressione e propaganda ideologica, della pura presenza allusiva ma eloquente delle forze di polizia), con particolare riferimento all’epoca capitalistica e al ruolo comunque repressivo esercitato dallo Stato, scrivevamo:

anche in lunghe fasi di amministrazione incruenta del dominio capitalistico, la forza di classe non cessa di essere presente e la sua influenza virtuale contro i possibili scarti di individui isolati, di gruppi organizzati o di partiti, resta il fattore dominante per la conservazione dei privilegi e degli istituti della classe superiore. Abbiamo già annoverato tra le manifestazioni di questa forza di classe, non solo tutto l’apparato statale con le sue forze armate e la sua polizia, quando anche resti con l’arma al piede, ma tutto l’armamentario di mobilitazione ideologica giustificatrice dello sfruttamento borghese, attuato con la scuola, la stampa, la chiesa e tutti gli altri mezzi con cui vengono plasmate le opinioni delle masse. [...] Allorché il turbamento sociale brontola più minaccioso, lo stato borghese comincia a mostrare la sua potenza con le misure di tutela dell’ordine: un’espressione tecnica della polizia di stato dà una felice idea dell’uso della violenza virtuale: ‘la polizia e le truppe sono consegnate nelle caserme’. Ciò vuol dire che non si combatte ancora sulla piazza, ma se l’ordine borghese e i diritti padronali fossero minacciati, le forze armate uscirebbero dalle loro sedi e aprirebbero il fuoco. [...] Lo stato politico, anche e soprattutto quello rappresentativo e parlamentare, costituisce una attrezzatura di oppressione. Esso può ben paragonarsi al serbatoio delle energie di dominio della classe economica privilegiata, adatto a custodirle allo stato potenziale nelle situazioni in cui la rivolta sociale non tende ad esplodere, ma adatto soprattutto a scatenarle sotto forma di repressione di polizia e di violenza sanguinosa non appena dal sottosuolo sociale si levino i fremiti rivoluzionari[1].

I proletari traggano anche da questi episodi drammatici la consapevolezza da un lato dell’inevitabile scontro con il capitale e con il suo Stato e dall’altro della necessità urgente e inaggirabile di prepararsi a esso, sia sul piano organizzativo sia su quello politico.



[1] “Forza, violenza, dittatura nella lotta di classe”, ora in Partito e classe, Edizioni Il programma comunista, 1991, pp.93-94.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°02 - 2010)

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