Proletari! Compagni!
Alla crisi che ci massacra non si risponde chiudendosi nel recinto per animali da macello della fabbrica o della miniera, facendosi del male a 70 metri di altezza, tagliandosi le vene o dandosi fuoco. Non si risponde delegando la nostra sorte a sindacati e partiti che da decenni ci usano come serbatoio di voti per la spartizione della torta, o invocando la mano tesa di governo e stato, strumenti del potere assoluto esercitato su di noi dal capitale e dalla classe che l’impersona.
Ai licenziamenti, ai tagli di salari e pensioni, all’aumento dei ritmi, agli omicidi sul luogo di lavoro, al peggioramento generalizzato delle condizioni di vita, alla precarietà che colpisce le giovani generazioni, allo sfruttamento bestiale cui sono sottoposti i proletari immigrati, alla disperazione cui sono ridotte intere famiglie – a tutto ciò si può rispondere solo tornando a imboccare la via della lotta aperta e senza quartiere contro un modo di produzione che ormai da un secolo e più ha esaurito la propria ragion d’essere.
Proletari! Compagni!
Solo rispondendo colpo su colpo a ogni aggressione a mano armata da parte del capitale si può sperare di vender cara la nostra pelle e smettere di essere carne da macello, oggi sul luogo di lavoro (o di non lavoro), domani sui campi di battaglia del nuovo conflitto mondiale che si prepara. Ciò vuol dire:
- tornare a organizzarsi in organismi territoriali di difesa economica e sociale, aperti a tutti i proletari, indipendentemente dall’età, dal sesso, dalla nazionalità, dalla collocazione (o non collocazione!) produttiva, ecc.
- richiedere forti aumenti salariali per riparare almeno in parte all’erosione drammatica di salari e pensioni e salario integrale a licenziati e disoccupati, a carico di Stato e padronato
- rivendicare drastiche riduzioni dell’orario di lavoro a parità di salario per alleviare la fatica psico-fisica sempre più debilitante di ritmi forsennati
- riappropriarsi dell’arma dello sciopero, che va strappata dalle mani di chi per troppi decenni l’ha trasformata in un’insulsa scampagnata e che deve invece tornare a essere uno strumento per colpire il capitale là dove è più sensibile – la produzione e il profitto
- rifiutare ogni sostegno alle necessità superiori di questa o quell’azienda, privata o pubblica, e soprattutto dell’economia nazionale, con cui stato, governi, padronato, sindacati non smettono di ricattarci, proponendocele come “nostro comune interesse”
- rifiutare ogni tentazione nazionalistica, con cui la classe dominante di ogni paese cercherà di schierare i proletari gli uni contro gli altri.
Proletari! Compagni!
Non il singolo padrone, le “cattive banche”, la “finanza selvaggia”, questa o quella nazione, sono i responsabili della tragedia che ci colpisce, ma il modo di produzione capitalistico nel suo complesso: che va quindi abbattuto e sostituito da uno diverso, fondato sui bisogni della specie umana e non sulle leggi del profitto. A questa prospettiva lavora il Partito comunista internazionale, per il cui rafforzamento e radicamento internazionale i proletari più combattivi dovranno organizzarsi e operare: la sua urgenza e la sua importanza sono, giorno dopo giorno, sempre più evidenti.
Partito Comunista Internazionale
("Il programma Comunista")