DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

Proletari! Compagni!

In Francia e in Belgio, gruppi di lavoratori minacciati di licenziamento hanno sequestrato manager e minacciato di far saltare la fabbrica. In Cina, autentiche sommosse sono scoppiate in varie località, davanti alla prospettiva di chiusura di impianti e aziende. In Corea del Sud, lunghi scioperi accompagnati da violenti scontri con le forze dell’ordine sono culminati in mesi di occupazione di una fabbrica di automobili. In Gran Bretagna, duri scioperi in difesa di posti di lavoro in pericolo sono stati cavalcati dai sindacati che hanno cercato di imprimergli un’impronta nazionalista che originariamente non avevano. In Italia, i lavoratori della INNSE Presse di Milano, della Lasme di Melfi, della Cnh di Imola, della Novico di Ascoli Piceno, del Termovalorizzatore di Acerra, della Manuli di Ascoli Piceno, e di tante altre situazioni traballanti o in pericolo, hanno fatto sentire la propria voce. Negli Stati Uniti e in Giappone, come d’altra parte in Europa e in Asia, cresce senza posa l’esercito dei senza lavoro. Di fronte a questi scenari, gli “esperti” e i politici si sbracciano per infondere fiducia nei “consumatori”, dichiarando che ormai la ripresa è vicina: ma in realtà non sanno minimamente che pesci pigliare e ammettono che “se la ripresa verrà” (!!!) sarà comunque a costo di un impennarsi della disoccupazione.

Noi comunisti sappiamo invece che, al di là di alti e bassi occasionali, la crisi è destinata ad approfondirsi in maniera ancor più drammatica: va dunque messa in campo, da parte proletaria, una risposta collettiva, organizzata e ad ampio raggio, in grado di reggere l’urto delle prossime fasi di una crisi di sovrapproduzione di merci e capitali iniziata a metà anni ’70 e da allora trascinatasi in maniera incessante, con un’autentica emorragia di posti di lavoro, con un autentico massacro di forze proletarie. Questa è una crisi strutturale del modo di produzione capitalistico, a cui il capitale, nei suoi vari segmenti nazionali (e indipendentemente dai fantocci sempre più screditati che animano il bordello della politica istituzionale avvicendandosi ai vari governi) può reagire solo in due modi – colpendo sempre più le condizioni di vita e di lavoro dei proletari e preparando un nuovo conflitto mondiale in cui bruciare infine quanto di eccedente è stato prodotto nell’orgia produttivistica seguita alla seconda guerra mondiale (merci di ogni tipo, fra cui anche quella merce che si chiama forza lavoro).

 

Proletari! Compagni!

Gli interessi del capitale e quelli del lavoro non convergono e non coincidono: sono opposti e antagonisti, anche se da troppo tempo – in Italia come altrove – domina una soffocante pace sociale, alimentata da forze politiche e sindacali dalla lunga tradizione e pratica opportunista. Difendere le proprie condizioni di vita e di lavoro significa rendersi conto della necessità e dell’urgenza di spezzare questa pace sociale, di buttare all’aria essa e tutti i suoi padrini e consiglieri. Ma questo si può fare soltanto rifiutando tutta una serie di veri e propri ricatti, di vere e proprie fregature già in atto o in preparazione: quello delle gabbie salariali, per esempio; quello degli scioperi burla o a singhiozzo o simbolici; quello della fobia anti-immigrati e dei “pacchetti sicurezza”; quello della conciliazione e della concertazione; quello della democrazia come bene supremo; quello dell’economia aziendale e nazionale come “cosa nostra” da difendere obbedienti e pronti al sacrificio; quella della partecipazione agli utili come “mezzo per cavarsela”... tutte strade che portano alla divisione dei lavoratori, alla “guerra di tutti contro tutti”, all’indebolimento del fronte di lotta e infine alla sconfitta cocente – dopo la quale (attenzione, proletari!) ci attende solo la mobilitazione militare per diventare di nuovo carne da cannone spedita a difendere (o attaccare) interessi che non sono i nostri.

“I proletari non hanno patria” e “Il proletariato è rivoluzionario o non è nulla” non sono vuoti slogan. Sono il distillato di un’esperienza plurisecolare. Dicono con chiarezza che o il proletariato riprende a combattere per sé (e non per altri) oppure il capitale lo schiaccerà senza pietà: non esistono vie di mezzo. Dicono con chiarezza che l’antagonismo aperto nei confronti del capitale è l’unico modo per ritrovare una propria identità, una propria forza e determinazione, e per creare le condizioni necessarie per una vittoria.

 

Proletari! Compagni!

Non è asserragliandosi dentro alla fabbrica (che è la nostra galera!) o arrampicandosi su un tetto o un carroponte in cinque o sei (che diventano “eroi” o “martiri” per i media-spettacolo della borghesia!), non è autogestendo un’azienda (che ci appartiene tanto quanto la corda appartiene all’impiccato!) o partecipando agli utili (che comunque non ci saranno, data la crisi sempre più acuta), che si riesce a uscire da una situazione drammatica. E’ solo allargando il fronte di lotta (e non della solidarietà spicciola a parole), collegando le varie esperienze in corso (e non abbandonandole a se stesse o alla gestione di forze e organizzazioni ultra-compromesse con il padronato), dandosi organismi di lotta stabili e duraturi (in alternativa all’imbrigliamento operato dai sindacati ufficiali e al corporativismo dei vari sindacatini alternativi), colpendo il capitale (pubblico o privato, non importa) al livello della produzione (o dei servizi), organizzando tutte quelle strutture necessarie a sostenere lo scontro con il padronato, lo Stato e i suoi sgherri di ogni tipo e colore – solo così, solo riprendendo la via della lotta di classe aperta, ci si può oggi difendere, e domani contrattaccare.

Infatti, difendersi è importante, è vitale: ma non basta. I proletari combattivi, le avanguardie di lotta saranno costrette a comprendere che, anche solo per rendere in qualche modo solide e durature certe minime (ma vitali) conquiste, è necessario porsi l’obiettivo, non del mantenimento in vita di questo marcio modo di produzione, ma del suo violento abbattimento, prima che un nuovo macello mondiale rovesci la sua furia omicida e il suo carico di sangue e di lutti sul proletariato. Il capitalismo ha fatto il suo tempo ormai da più di un secolo e mezzo: la sua agonia avvelena e distrugge l’intero mondo, l’intera specie umana! Esso va distrutto e sulle sue rovine deve sorgere, grazie alla presa del potere e alla dittatura del proletariato, una nuova società senza classi.

Per tutto questo, per dirigere e organizzare oggi le lotte immediate di difesa e soprattutto per preparare domani l’“assalto al cielo”, è necessario il radicamento e il rafforzamento del partito comunista internazionale – l’avanguardia militante e cosciente, dotata di un programma, di una lunga tradizione di lotta all’opportunismo e alla controrivoluzione, di una tattica e strategia verificate su un intero arco storico, di un’organizzazione solida e disciplinata, della scienza della rivoluzione. I proletari combattivi, le avanguardie di lotta comprenderanno entrambe queste necessità e per entrambe sapranno battersi, come ci battiamo noi in uno dei periodi più bui della storia del movimento operaio e comunista e come, prima di noi, si sono battute oscure generazioni di nostri compagni militanti.

 

 

                                                                               Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista,
supplemento al n°5/2009)

 

 

 

 

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