DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Proletari, compagni !

Sembrano non avere nulla in comune i due eventi di via Zuretti a Milano (in cui è stato massacrato a sprangate un giovane del Burkina Faso) e la mattanza, a Castelvolturno (Caserta), dei sei lavoratori del Ghana, del Togo, della Liberia (muratori, sarti, stagionali) a opera d’un gruppo di fuoco di uno dei tanti clan della camorra dell'area (vestiti da carabinieri, a bordo di tre o quattro auto, con le luci lampeggianti sul tetto, raccontano i giornali), che gestiscono il traffico di droga, il lavoro nero, le rimesse degli immigrati, il ritiro del pizzo.

E invece la “caccia al nero” scatenatasi nel Casertano e la rabbiosa violenza con cui i due padroncini di un bar milanese hanno ucciso per un pugno di biscotti hanno la stessa matrice: non l'odio razziale, come si afferma, ma l'odio verso i proletari, verso i senza riserve, di cui si teme sempre la minacciosa ribellione, la rivolta pericolosa contro l'ordine costituito. In entrambi i casi, quello che è stato messo in pratica è l’“omicidio come atto educativo”: uccidine uno (o sei) per educare all'obbedienza l'intera massa – una massa di disperati che non sopporta più di essere pagata da schiavisti con una manciata di euro per dieci-dodici ore di lavoro, nei campi, nelle botteghe; che non vuole più vivere nei tuguri dove una seconda razza di sfruttatori li deruba di quel che gli resta; che non intende pagare un'altra quota, il pizzo, per il permesso di soggiorno locale (una proposta già avanzata a suo tempo da molti “sindaci con la pistola”) oltre quello nazionale.

La camorra, la mafia, la ‘ndrangheta, tutte le forme di delinquenza organizzata, non sono associazioni apolitiche: sono sempre state utilizzate come forza militare illegale tra i braccianti, gli stagionali, i giornalieri nelle campagne, oltre che nei cantieri edili, nelle migliaia di aziende artigiane, là dove mancano il quadro sindacale di controllo concertativo e la gerarchia interna di impiegati il cui ruolo è quello di schedare i lavoratori e fornire i loro profili di natura politica e sociale. E ci si sorprende se poi, oltre a questa “protezione”, viene offerta la possibilità di entrare in un giro “illegale”, di cui si può solo essere manovalanza (l’ultima ruota del carro di uomini di rispetto: politici, militari, imprenditori, affaristi d'ogni genere)? Dove sta l'immoralità? Tutto ciò ha messo in moto la rivolta successiva (purtroppo solo istintiva, esasperata e soprattutto disorganizzata). Per poche ore, il ghetto africano di Castelvolturno, uno dei più popolosi della Campania, ha ricordato – fra lo stupore e la preoccupazione generali – una delle banlieues parigine del 2005, quando i nuovi sans papiers e i proletari neri della terza generazione si sono uniti per mettere a fuoco i simboli della loro reclusione ed esclusione. A Milano, una grossa manifestazione,andata ben oltre le aspettative degli organizzatori e sovraccarica di antirazzismo pacifista e buonista, ha assecondato senza volerlo la rabbia che covava tra gli immigrati africani, che hanno poi spezzato il cordone di polizia per dirigersi verso il luogo del delitto, buttando all'aria ogni volontà di perbenismo forcaiolo.E' contro la possibilità del ripetersi di altre, più preoccupanti rivolte, alimentate dalla disgregazione sociale e dalla repressione delle bande armate legali e illegali, che verrà mandato in soccorso l'esercito, che verranno istituiti i check points. Le forze dell'ordine non sono indirizzate contro la camorra, ma contro la canaglia pezzente proletaria. Chi può ancora dubitarne? 

Cosa fare?

Il razzismo è frutto del capitalismo, è un'arma apertamente antiproletaria. Esso non ha e non ha mai avuto nulla a che vedere con il colore della pelle o con altre caratteristiche cosiddette etniche o nazionali. Esso si scaglia oggi contro i proletari africani come contro i messicani miserabili e clandestini, esattamente come s’è scagliato ieri contro gli ebrei straccioni, contro gli zingari, contro i meridionali a Torino e gli immigrati italiani in Germania e Svizzera, e come si scaglierà sempre contro i lavoratori che lottano per difendersi dalla miseria, contro i disoccupati caduti già in miseria. Il razzismo nasce dalle contraddizioni di classe, dalle differenze di classe: nel suo mirino, ci sono i proletari migranti di tutte le nazionalità, che affollano ormai tutti gli slums, le banlieues e i Bronx del mondo. Il razzismo è la vera faccia dell'odio di classe, alimentato, aiutato, organizzato dalle classi dominanti, dallo Stato borghese, e solo in sott'ordine è la bandiera delle mezze classi, della schifosissima e vigliacchissima piccola borghesia e, più giù nella scala sociale, del sottoproletariato.

D’altra parte, la “difesa dei diritti del diverso” (il proletario nella sua condizione di sfruttato, di senza riserve nazionale o extracomunitario) è la livrea del borghese, del pacifista, del prete, del democratico, che si pregiano di fornire la cultura, la lingua nazionale, la legge e l'ordine borghese, come se fossero grandi conquiste per selvaggi arrivati da fuori. E lo è anche la pelosa carità cristiana, il luogo di accoglienza (come quello di detenzione, di identificazione e di espulsione), la scuola serale. Lo è soprattutto il lavoro salariato previo permesso di soggiorno: che riscatterebbe lo straniero dalla miseria previo controllo della prefettura, della polizia, che lo assegna con un marchio di appartenenza a questo o quel padrone.

 

L’immigrazione è una delle risorse fondamentali del capitalismo: lo sfruttamento di decine e decine di milioni di proletari ha permesso agli USA di diventare il potente imperialismo che conosciamo, alimentando giorno dopo giorno il “sogno americano” in tutte le sue vesti. Il marchio di appartenenza è un regalino per l'assimilazione, per l'integrazione: è il premio di fedeltà, è il collarino per i cani. Allo stesso modo, l'antirazzismo è la maglietta che si compra nelle bancarelle, è l'aggiunta del posto a tavola per il nuovo arrivato: l'importante è che “lavori e produca”, che diventi “uno di noi”. L'antirazzismo è la trappola entro cui si vuole cacciare il proletariato immigrato perché non costituisca un fronte comune con il proletariato nazionale: vorrebbe che esso sfilasse con le sue bandiere nazionali, che coltivasse i suoi costumi, che vendesse la sua diversità sul mercato del multiculturalismo. Esso vuole dividerlo dal suo compagno di fabbrica, dal suo compagno di lotta: vuole la separazione per attaccarlo e sconfiggerlo. I comunisti rivoluzionari sono antirazzisti perché sono anticapitalisti. Sono antirazzisti perché sono internazionalisti. Sono antirazzisti perché lottano per quella classe che non ha né razza, né patria, né religione: il proletariato mondiale. Solo così è possibile essere antirazzisti in maniera totale e conseguente: il resto è moralismo, ipocrisia, retorica demagogica.

La lotta di classe unitaria tra proletariato nazionale e proletariato immigrato è l'unica possibilità per uscire dalla passività in cui l'antirazzismo etico condanna i proletari e dalla prigione i cui li rinserra il razzismo. Occorre rispondere agli attacchi del capitale, organizzandosi e riconoscendosi nella prospettiva anticapitalista, di classe e non di razza, nazione, religione: in quella bandiera rossa che il partito di classe inalbera contro la società capitalista e il suo Stato.           

 

                                                                             

Partito comunista internazionale

(Supplemento al n°6/2008 de "Il programma comunista")


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