(Protokoll, pagg. 421-430, e «Rassegna Comunista», anno I, nr. 2, 20.III.1921)
Compagni!
la Frazione di sinistra del Partito Socialista italiano è antiparlamentare per ragioni che non sono valide soltanto per l'Italia, ma rivestono un carattere generale.
Si tratta qui di una questione di princìpio? Certamente no. In princìpio siamo tutti avversari del parlamentarismo, perché lo escludiamo come mezzo di emancipazione del proletariato e come forma politica dello stato proletario. Gli anarchici sono antiparlamentari per princìpio, perché si dichiarano contro ogni delega di potere. Altrettanto dicasi degli avversari sindacalisti dell’azione politica del partito, che hanno una concezione completamente diversa del processo di emancipazione del proletariato. Quanto a noi, il nostro antiparlamentarismo poggia sulla critica marxista della democrazia borghese. Non ripeterò qui gli argomenti del comunismo critico che smascherano la menzogna borghese dell’eguaglianza politica come mezzo per cancellare e nascondere l'ineguaglianza economica e la lotta di classe.
A base di questa concezione sta l'idea di un processo storico, nel quale l'emancipazione del proletariato viene conseguita mediante una violenta lotta di classe sostenuta dalla dittatura del proletariato. Questa concezione teorica, esposta nel Manifesto del partito comunista, ha trovato la sua prima realizzazione storica nella rivoluzione russa. Tra questi due eventi un lungo periodo è trascorso, durante il quale lo sviluppo del mondo capitalista si è ulteriormente approfondito e complicato. Il movimento marxista è degenerato in movimento socialdemocratico, e ha creato un campo di azione comune ai piccoli interessi corporativi di singoli gruppi operai e alla democrazia borghese. Lo stesso fenomeno si osserva nei sindacati e nei partiti socialisti.
Si era quasi completamente dimenticato il compito marxista del partito di classe, che avrebbe dovuto parlare in nome dell’intera classe operaia e richiamarne la storica missione rivoluzionaria. Si era fabbricata una ideologia completamente nuova, che non aveva nulla in comune col marxismo, che respingeva la violenza e rifiutava la dittatura del proletariato per sostituirle l'illusione di uno sviluppo sociale per via pacifica e democratica.
La rivoluzione russa ha convalidato in modo meraviglioso la teoria marxista, dimostrando la necessità di una lotta violenta e della instaurazione della dittatura del proletariato.
Ma le condizioni storiche nelle quali si è svolta la rivoluzione russa sono diverse dalle condizioni della rivoluzione proletaria nei paesi dell’Europa occidentale e dell’America. La situazione in Russia potrebbe forse paragonarsi a quella della Germania del 1848, dove si accavallavano due rivoluzioni, una democratico-borghese ed una proletaria.
Le esperienze tattiche della rivoluzione russa non possono essere trasportate ad altri paesi in cui la democrazia borghese funziona ormai da lungo tempo e la crisi rivoluzionaria si risolverà in un passaggio diretto da questo regime alla dittatura del proletariato. L'importanza marxista della rivoluzione russa risiede nel fatto che, nella sua fase conclusiva (scioglimento dell’Assemblea Costituente e presa del potere da parte dei Soviet), essa si è fondata su basi marxiste e ha sgombrato il campo allo sviluppo di ogni nuovo movimento, allo sviluppo dell’Internazionale Comunista, la quale ha rotto definitivamente con i socialdemocratici che avevano fatto vergognosa bancarotta nel periodo bellico.
Per l'Europa occidentale il problema rivoluzionario esige in primo luogo di abbandonare il terreno della democrazia borghese, di dimostrare che la pretesa della borghesia secondo cui ogni lotta politica dovrebbe svolgersi unicamente attraverso il meccanismo parlamentare è menzognero, e che la lotta deve essere condotta in modo diverso, cioè mediante l'azione rivoluzionaria diretta per la conquista del potere.
Il partito ha bisogno di una nuova organizzazione tecnica, cioè di una nuova configurazione storica. Questa è realizzata dal partito comunista che, come si legge nelle tesi del Comitato Esecutivo sulla questione del ruolo del partito, è nato nell’«epoca della lotta diretta per la dittatura del proletariato» (tesi 4).
Ora, il primo meccanismo borghese che deve essere distrutto, prima di passare alla costruzione economica del comunismo e prima ancora di poter creare il nuovo meccanismo dello stato proletario, il suo apparato di governo, è il parlamento.
La democrazia agisce fra le masse con metodi indiretti di difesa, mentre l'apparato statale si tiene pronto a far uso di metodi diretti di violenza, che vengono messi in opera non appena gli ultimi tentativi di attrarre il proletariato sul terreno della politica legalitaria e democratica siano falliti.
É quindi della massima importanza smascherare questo giuoco della borghesia, e svelare alle masse tutta la doppiezza del parlamentarismo borghese.
Già prima della guerra, la prassi dei tradizionali partiti socialisti aveva suscitato nelle file del proletariato una reazione antiparlamentare: la reazione anarco-sindacalista, che negava valore ad ogni azione politica per concentrare tutta l'attività del proletariato sul terreno delle organizzazioni economiche, e quindi diffondeva la concezione erronea che non esistesse attività all’infuori di quella elettorale e parlamentate. Questa concezione, come pure la concezione socialdemocratica, dev'essere combattuta; essa è affatto estranea al vero metodo rivoluzionario e porta il proletariato, nella sua lotta di emancipazione, su una via sbagliata.
Nella propaganda è necessaria la massima chiarezza; le masse hanno bisogno di un linguaggio semplice e chiaro.
Partendo da princìpi marxisti, noi proponiamo che, nei paesi nei quali il regime democratico si è da tempo sviluppato, l'agitazione per la dittatura del proletariato venga poggiata sulla propaganda del boicottaggio delle elezioni e degli organi democratici borghesi.
La grande importanza che in pratica si attribuisce all’attività elettorale racchiude un duplice pericolo: da una parte, crea l'impressione che questa costituisca l'attività principale; dall’altra, assorbe tutte le forze del partito paralizzando il lavoro negli altri settori del movimento. I socialdemocratici non sono i soli ad attribuire una grande importanza alle elezioni: le stesse tesi proposte dall’Esecutivo affermano che è importante servirsi nelle campagne elettorali di tutti i mezzi di agitazione (tesi 15).
L'organizzazione del partito che esercita l'attività elettorale assume un carattere tecnico del tutto particolare, nettamente distinto da quello della struttura organizzativa che risponde alle esigenze dell’azione rivoluzionaria legale od illegale. Il partito si suddivide in una moltitudine di comitati elettorali che si occupano esclusivamente della preparazione e mobilitazione degli elettori. Quando si tratta di un vecchio partito socialdemocratico passato al movimento comunista, un grave pericolo si annida nell’esercizio dell’attività parlamentare svolta nella maniera tradizionale. E noi ne abbiamo numerose prove.
Per quanto riguarda le tesi proposte e sostenute dagli oratori, vorrei osservare che esse sono precedute da un'introduzione storica, la cui prima parte io condivido quasi interamente. Vi si dice che la I Internazionale si serviva del parlamentarismo a fini di agitazione, critica e propaganda. In seguito, nella II Internazionale, venne in luce l'influenza corruttrice del parlamentarismo, che condusse al riformismo e alla collaborazione di classe (pace civile, Burgfrieden). L'introduzione ne conclude che l'Internazionale Comunista deve tornare alla tattica parlamentare allo scopo di distruggere il parlamento dall’interno. Ma la Internazionale Comunista, se adotta la medesima dottrina della I Internazionale, deve però tener conto della situazione storica completamente diversa e svolgere un'attività del tutto differente, cioè non collaborare con la democrazia borghese.
Anche la prima parte delle tesi che seguono non è affatto in contrasto con le posizioni da noi sostenute. Il divario ha inizio solo quando si tratta di utilizzare le campagne elettorali e la tribuna parlamentare per azioni di massa. Noi non ripudiamo il parlamentarismo perché si tratti di un mezzo legale, ma diciamo che non lo si può utilizzare allo stesso titolo della stampa, della libertà di associazione, ecc. Qui si tratta di un mezzo di azione, là di un'istituzione borghese che deve essere sostituita da istituzioni proletarie, dai soviet operai. Noi non pensiamo di astenerci dopo la rivoluzione dall’uso della stampa, della propaganda ecc., ma miriamo a distruggere per prima cosa l'apparato democratico e a sostituirlo con la dittatura del proletariato. Tanto meno noi accampiamo l'argomento dei «capi» del movimento. Non si può neanche parlare di poter fare a meno di capi. Sappiamo benissimo, e lo abbiamo detto fin da prima della guerra agli anarchici, che non è giusto respingere il parlamento per fare a meno dei capi. Ne avremo sempre bisogno come propagandisti, giornalisti ecc.
É certo che alla rivoluzione occorre un partito centralizzato che diriga l'azione del proletariato. Questo partito ha, naturalmente, bisogno anche di capi. Ma il ruolo del partito, e quello dei capi, è completamente diverso dal ruolo tradizionale che essi avevano nella socialdemocrazia. Il partito dirige l'azione del proletariato nel senso che si assume il lavoro più pericoloso e che esige i massimi sacrifici, la massima dedizione. I dirigenti non sono soltanto i capi della rivoluzione vittoriosa; sono essi che, in caso di sconfitta, cadranno per primi sotto i colpi del nemico. La loro posizione è del tutto diversa da quella dei capi parlamentari, che occupano i posti più vantaggiosi nella società borghese.
Ci si dice: anche dalla tribuna parlamentare si può far propaganda. Risponderò con un argomento un po' infantile: ciò che si dice dalla tribuna del parlamento viene ripetuto dalla stampa. Se si tratta della stampa borghese, tutto è presentato in una luce distorta; se si tratta della nostra, è fatica sprecata esporre prima dalla tribuna parlamentare ciò che poi verrà stampato.
Le prove addotte dal relatore non smentiscono la nostra tesi. Liebknecht ha agito in seno al Reichstag in un'epoca in cui riconoscevamo la possibilità di un'azione parlamentare, tanto più che allora non si trattava di sanzionare il parlamentarismo stesso, ma di criticare il potere borghese. Ma, se mettiamo su un piatto della bilancia Liebknecht, Höglund e gli altri esempi, d'altronde poco numerosi, di attività rivoluzionaria in parlamento, e sull’altro tutta la serie di tradimenti perpetrati dai socialdemocratici, il risultato sarebbe decisamente sfavorevole al parlamentarismo rivoluzionario.
L'attività parlamentare dei bolscevichi nella Duma, nel preparlamento di Kerenski e nell’Assemblea costituente, è stata svolta in situazioni del tutto diverse da quelle in cui noi proponiamo l'abbandono della tattica parlamentare. Non tornerò sulla differenza fra lo sviluppo della rivoluzione russa e quello della rivoluzione negli altri paesi borghesi.
Neppure accetto l'idea che si debbano sfruttare le elezioni agli istituti municipali borghesi. Ma non posso passar sotto silenzio un importantissimo problema. Io sono del parere di servirsi delle campagne elettorali a fini di agitazione e propaganda della rivoluzione comunista; ma questa agitazione sarà tanto più efficace, quanto più energicamente predicheremo alle masse il boicottaggio delle elezioni borghesi.
D'altronde, non si vede esattamente in che cosa potrebbe consistere il lavoro di distruzione che i comunisti sarebbero in grado di svolgere in parlamento. Su questo problema, il relatore ci presenta un progetto di regolamento per l'attività dei comunisti nei parlamenti borghesi. Questo, se mi è permesso dirlo, è pura utopia. Non si riuscirà mai a svolgere una attività parlamentare che contraddica ai princìpi del parlamentarismo, che esca dai limiti del regolamento parlamentare.
Ed ora quattro parole sugli argomenti esposti dal compagno Lenin nel suo opuscolo sul comunismo «di sinistra».
Non credo che si possano mettere sullo stesso piano la nostra tendenza antiparlamentare e quella che propugna l'uscita dai sindacati. Il sindacato, anche quando è corrotto, resta un ambiente operaio. Uscire dai sindacati socialdemocratici, significherebbe condividere la concezione dei sindacalisti, che vorrebbero riunirsi in nuovi organi di lotta rivoluzionaria di tipo non politico, ma economico.
Questo, dal punto di vista marxista, è un errore che non ha nulla in comune con gli argomenti sui quali poggia il nostro antiparlamentarismo. Nelle tesi è detto che la questione del parlamentarismo è, per la rivoluzione comunista, d'importanza secondaria; non così la questione dei sindacati.
Io non credo che dall’opposizione all’attività parlamentare si possa trarre un giudizio definitivo su compagni o partiti comunisti. Il compagno Lenin, nella sua interessante opera, ci descrive la tattica comunista, difendendo un'azione molto agile bastata su un'attenta analisi delle situazioni nel mondo borghese, e propone di applicare in questa analisi, nei paesi capitalistici, i dati dell’esperienza della rivoluzione russa, sottolineando inoltre la necessità di tener conto delle differenze fra le diverse nazioni.
Non discuterò qui questo metodo.
Mi limito ad osservare che un movimento marxista nei paesi democratici occidentali esige una tattica molto più diretta della tattica utilizzata nella rivoluzione russa.
Il compagno Lenin ci accusa di eludere il problema dell’azione comunista in parlamento perché la sua soluzione ci sembra troppo difficile, e perché, viceversa, la tattica antiparlamentare esige sforzi minori.
Noi siamo perfettamente d'accordo che i compiti della rivoluzione proletaria sono molto ardui e complessi. Siamo convinti che, dopo aver risolto il problema dell’azione in parlamento, ci resteranno sulle braccia tutti gli altri e ben più importanti problemi, e che la loro soluzione non sarà certo semplice come può sembrare a prima vista. Ma appunto perciò proponiamo di utilizzare le forze principali del movimento comunista in campi più importanti che non sia quello parlamentare.
Le difficoltà non ci spaventano affatto. Osserviamo soltanto che i parlamentari opportunisti, i quali adottano una tattica di più facile applicazione, non sono perciò meno assorbiti dalla loro attività parlamentare. E ne concludiamo che, per risolvere il problema del parlamentarismo comunista secondo le tesi proposte (se accettiamo questa soluzione), occorreranno grandi sforzi e un'attività instancabile, mentre per l'azione veramente rivoluzionaria rimarranno poche risorse ed energie.
Non si possono trasferire sul terreno politico, nell’ambito del mondo borghese, le tappe che, dopo lo scoppio della rivoluzione, dovranno essere attraversate lottando nella trasformazione economica dal capitalismo al comunismo.
Il passaggio del potere dagli sfruttatori agli sfruttati porta con sé un mutamento nell’apparato rappresentativo. Il parlamentarismo borghese deve essere sostituito dal sistema dei soviet. La vecchia maschera democratica della lotta di classe dev'essere strappata perché si possa passare all’azione rivoluzionaria diretta.
È questo il nostro punto di vista sul parlamentarismo; un punto di vista che concorda pienamente col metodo rivoluzionario marxista.
Posso concludere con una considerazione da noi condivisa col compagno Bukharin. Questa questione non può e non deve dar luogo ad una scissione nel movimento marxista. Se l'Internazionale decide di assumersi la creazione di un parlamentarismo comunista, noi ci sottoponiamo al suo deliberato. Non crediamo che questo piano riuscirà, ma dichiariamo che non faremo nulla per ostacolarlo.
Mi auguro che il prossimo congresso dell’Internazionale comunista non abbia a discutere dei risultati dell’azione parlamentare ma piuttosto a registrare le vittorie della rivoluzione comunista in un gran numero di paesi.
Se ciò non fosse possibile, auguro al compagno Bukharin di poterci presentare un quadro del parlamentarismo comunista meno triste di quello col quale ha dovuto iniziare il suo rapporto.