(Avanti!» del 13-4-1915)

 

Questo articolo dal titolo La falsificazione é scritto nel momento in cui più si acuisce la lotta con i fautori dell’intervento italiano. Esso si riferisce alla falsità fondamentale secondo cui l'esito della guerra avrebbe messo in gioco, come ad un bivio tra prospettive opposte, tutta la futura storia dell’umanità (oggi sono passati dalla fine della prima guerra mondiale 45 anni, e la fine è stata quella che gli interventisti italiani auspicavano come il lato roseo del bivio: la storia dell’umanità si svolge tanto fetente quanto allora, per far grazia della seconda guerra, e nessuno può sostenere che la vittoria del campo opposto avrebbe dato un esito più rovinoso).

 L'articolo si richiama alle prime reazioni internazionaliste del campo proletario mondiale, auspica la nuova Internazionale che riesca ad assalire e travolgere entrambi i sistemi di alleati tra i quali allora si pretendeva in bilico tutto il corso della storia. Ancora una volta si ribadisce che il famoso «neutralismo» significa atteggiamento virile, attivo e rivoluzionario del proletariato e del Partito contro la borghesia e il suo Stato in pace e in guerra.

 

 

 

Tutte le piccole e grandi diffamazioni contro il Partito socialista per la sua avversione all’intervento, che circolano con impudenza monotona e petulante in questo periodo di dibattiti ansiosi e violenti, si riducono alla rimasticazione di un equivoco fondamentale dal quale partono, per ritornarvi ostinatamente in capziosi circoli di sofismi, i fanatici della nuovissima mitologia germinata intorno alla guerra. Si tratta della prima interpretazione del pauroso fenomeno, che gli allucinati e gli invasati dell’interventismo danno per ricevuta ed accettata, costruendovi sopra la loro cattiva retorica per ammannire al pubblico che beve grosso le più audaci mistificazioni di cose e di fatti in veste di argomenti per la causa della guerra. Essi vedono e descrivono con sicumera intollerabile nella conflagrazione presente un bivio della storia umana che offre due sole strade dirette all’avvenire, qualche cosa come la via dell’inferno e quella del paradiso nella vieta allegoria chiesastica. Essi hanno costruita e messa in circolazione - aiutati in ciò dalla superficialità delle spiegazioni di cui si appagano non tanto le calunniate masse analfabete quanto le perniciose sottospecie dei semi-intellettuali che costituiscono la cosidetta pubblica opinione, verso cui tanta diffidenza nutriva Carlo Marx - la leggenda del dualismo e dell’antitesi tra i due gruppi belligeranti, l'illusione che i «fronti» insanguinati dall’urto terribile dividano con precisione e regolarità quasi automatiche la ragione dal torto, l'innocenza dalla premeditazione, la civiltà dalla barbarie, la libertà dalla tirannide, la democrazia dal militarismo...

Essi hanno passato le tinte di questo impressionismo ciurmadore sul quadro delle loro precedenti concezioni critiche della storia dichiarandole audacemente «superate dai fatti» e si sono dati ad ammannire alle folle attonite la balorda prospettiva, col gesto con cui il predicatore di campagna mostra ai gonzi il quadro ove figurano i dannati che arrostiscono tra le fiamme del rosso più bruciante e i beati campati nell’etere più soavemente azzurro. Stabilita la menzogna basilare, ogni mediocre pappagallo dalle tirate guerraiole si sente a cavallo della più incrollabile dialettica. Osate criticare la verità della loro interpretazione opponendo le più intime verità sviscerate dalla critica socialista, corroborata dall’esame degli avvenimenti?

Siete un semplicista. Vi permettete di dire che non darete la pelle per la causa degli unì o degli altri? Siete un panciafichista.

Ponete in dubbio che l'ipotetico trionfo di tutte quelle belle cose di cui innanzi contro tutte quelle altre cose brutte, valga la vita di alcune decine di migliaia di proletari? Siete - nella più benevola ipotesi - un eunuco. Sollevate eccezioni sul disinteresse ed il candore dei governi dell’Intesa?... È fatta. Siete un sudekumizzato, un intedescato, un venduto al Kaiser.

Eh via, signori, se cambiaste non diciamo mestiere, che sarebbe troppo pretendere, ma almeno vocabolario?

* * *

Il gioco è vecchio, se anche le parole sono nuove. Il Partito socialista, avversando la guerra, fa la politica dell’inerzia, della strafottenza, della cecità, dell’impotenza! Esso fa - né più ne meno - il gioco dei tedeschi! Sono tutte disinvolte deduzioni di quella prima e centrale menzogna. Di essa non ripeteremo qui la critica polemica, premendoci per ora di porre in rilievo il metodo equivoco dei nostri avversari. Se si ammette che dinanzi a noi non ci sia altro che il famoso bivio, che la storia impugni oggi nella destra omicida una immaginaria bilancia che non lasci altra alternativa che il traboccare dal lato dell’uno o dell’altro piatto quando vi si gettino nuove baionette e nuovi cannoni, allora la neutralità significa assenza ed inerzia. Se l'oggi è tutto nell’antitesi tra i due nuclei di Stati che guerreggiano, è evidente che fa il gioco dei tedeschi chi non è disposto... a fare quello degli altri. Il serpe del sofisma morde la propria coda.

Ma quando è stato provato che fare indirettamente e senza nessuna intenzione il gioco dei tedeschi, sia così criminoso per quanto sarebbe lecito e doveroso fare apertamente, volontariamente (e per di più con l'altrui pelle?) il gioco dei loro avversari? Ciò presuppone l'arbitrario fondamento che gli uni abbiano tutta la ragione e gli altri tutto il torto. Quando è stato dimostrato che non si possa altrimenti premere sul divenire storico che parteggiando per questi o per quelli? Gli stessi interventisti rivoluzionari (?) sono stati piano piano condotti verso una terza via… quella dell’«egoismo nazionale»!

Ma da tutto ciò noi siamo assai lontani. Noi scorgiamo ben altre prospettive nella situazione. Noi vediamo ricongiungersi le due diramazioni del preteso bivio in una ripugnante identità di barbarie militare. Noi sentiamo il dovere e la necessità della nostra azione indefessa verso la realizzazione di conquiste che non coincidono affatto con la causa dei tedeschi o degli alleati, ma che dai governi dell’una e dell’altra parte, come dai governi delle borghesie neutrali, sono avversate e deprecate.

Talché noi siamo proprio ben certi della nostra opera, che si riallaccia a quella dei seguaci di Carlo Liebknecht in Germania, dei deputati socialisti russi, dei compagni serbi, dell’«Independent Labour Party» dell’Inghilterra, di Sebastiano Faure in Francia; di non rendere servigi né alle repubbliche né agli imperi che lottano per l'egemonia d'Europa. Propugnando non tanto la prossima pace borghese quanto la nuova Internazionale proletaria che affronterà, accelerando la crisi del mondo capitalistico, l'attuazione del programma massimo comunista, noi sentiamo di non essere degli assenti, anche se le nostre forze non sono oggi pari al nostro desiderio.

La neutralità del governo e della dinastia può essere inerzia, viltà, cinismo… Cinismo sopratutto, come tale sarebbe l'intervento, come tale è la politica degli Stati in pace ed in guerra. Ma avversando la guerra in nome delle loro idealità di classe i socialisti non si rendono complici della neutralità borghese con le sue mene, i suoi intrighi e le sue speculazioni.

Il Partito socialista, partito di opposizione, non ha consigli da dare al governo. Chi dà dei consigli promette una solidarietà. Il proletariato socialista fa sentire allo Stato la sua pressione nemica, dalla quale non desisterà mai, in tempo di neutralità come in tempo di guerra. Tale il significato dell’atteggiamento del nostro partito che si ricollega all’avvenire del socialismo internazionale, rispettandone la tradizioni gloriose. E gli interventisti, riprendendo a parafrasare la loro stucchevole palinodia, possono sofisticare sul «neutralismo» socialista fin che a loro piace. Ma nessuno si è più svirilizzato di essi, nella dedizione completa allo Stato ed alla monarchia. Essi non vedono altra via d'azione che l'impiego del militarismo statale, e barattano con esso ogni loro tradizione di indipendenza.

Per giustificarsi, blaterano di essere nella realtà. Forse credono sul serio alla loro leggenda come l'attore infervorato che oblia le tavole del palcoscenico. E guazzano in una realtà di cartapesta, irridendo alle nostre astrazioni cieche...

Ma essi chiudono - ad esempio - gli occhi e le orecchie quando il rappresentante dello zar si leva a chiedere la deportazione dei socialisti russi in base al telegramma del ministro Vandervelde e all’esempio dei so­cialisti tedeschi. Non c'è posto nella loro «realtà» per questi fasci di luce non artificiale.

Fuori il solito scenario, e avanti. Viva la guerra! Viva lo zar!…

Abbasso... il semplicismo!

 

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