DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

(« Il Soviet», n. 26 del 22-6-1919)

 

Anche questo testo trova illustrazione in quanto a suo luogo abbiamo detto della grande campagna condotta dai comunisti di sinistra.

Esso non solo si oppone alta visione apertamente controrivoluzionaria della frazione riformista, ma sferza con vigore la pochezza rivoluzionaria di quei massimalisti che fanno molta demagogia insurrezionale ma sono dominati dall'attrattiva irresistibile delle vittorie elettorali.

 

 

 

Il riformismo, val quanto dire quella specie di sifilide costituzionale che, malgrado le più energiche cure ed operazioni cruente, continua ad avvelenare l'organismo del partito socialista, da qualche tempo dà manifestazioni troppo intense perché lo si possa del tutto trascurare.

Esso non ha ancora nel nostro paese per fortuna conquistato la somma del potere politico, e non può darsi alla pazza gioia di soffocare nel sangue i moti popolari nella pretesa di distruggere del tutto il movimento massimalista come sta praticando in Germania, ove la repressione violenta di questi moti supera per ferocia quella tanto infamata dello zarismo, contro cui ipocrita e falso il riformismo tedesco affermò di avere mosso guerra alleandosi con la borghesia, insieme a questa continuando a combattere pur quando la zarismo era morto e seppellito.

In Italia la frazione riformista saldamente annidata in vari organi del partito e nella Confederazione del Lavoro, malgrado il paludamento rivoluzionario del partito stesso e della direzione, adopera largamente la calunnia contro la frazione massimalista, che riesce da quella dipinta come una accolita di pochi fanatici, di illusi, di incoscienti smaniosi di suscitare violenti moti popolari. Al proletariato che tende chiaramente ad assumere posizione di battaglia secondo il metodo massimalista, i riformisti non si stancano di dare consigli di diffidenza, e, perché si convinca che su questa via andrà incontro sicuramente a disastri, hanno foggiato un massimalismo ad uso e consumo di questi loro lodevoli propositi.

I massimalisti, secondo essi, vogliono spingere il proletariato, ancora immaturo e impreparato, ad una immediata azione rivoluzionaria illudendolo col miraggio di una rivoluzione che, come un miracoloso balsamo, lenirebbe per incanto tutti i dolori proletari.

Essi all'incontro sostengono che un movimento rivoluzionario è tecnicamente ineseguibile e fatalmente destinato all'insuccesso perché (oh generose anime di conigli!) la potenza dei mezzi offensivi della borghesia è tale che non è possibile ad essi resistere. E qui viene fuori, a dimostrazione dell'asserto, la rappresentazione viva delle bombe a mano, delle mitragliatrici e simili, sotto la cui azione il proletariato insorto verrebbe irrimediabilmente massacrato senza ottenere altro che dolorose ed inutili perdite.

Perciò essi, ad allenare il proletariato nella lotta di classe che non negano, ad irrobustirne lo spirito ed insieme addestrarlo all'esercizio di quel potere che una volta dovrà pure conquistare, indicano il mezzo sovrano per tutto raggiungere: ossia la scheda elettorale. La scheda elettorale segna per i riformisti l'estremo limite della perfettibilità umana.

Ci sorprende solo che si diano tanto attorno ad ottenere una modifica al meccanismo elettorale, quando con la conquista del suffragio universale (risum teneatis), secondo quei sapientoni che dirigono la Confederazione del Lavoro, si sarebbe compiuta la rivoluzione politica tanto da non aver più ragione di essere i partiti politici!

Quanto sia inesatta anzi calunniosa questa presentazione del massimalismo di marca riformista non sarebbe necessario dimostrare, ma non bisogna dimenticare che non mancano i mezzi di diffondere questa calunnia alla parte riformista, la quale in questa campagna collabora, fedele al suo metodo, con la borghesia, rivaleggiando con essa per intensità e diversificandosi solo nell'obietto, poiché, mentre la borghesia ha più di mira il massimalismo estero, specie il russo, essa si occupa di quello nazionale.

Il massimalismo sostiene la necessità imprescindibile e pregiudiziale della conquista del potere politico per parte del proletariato organizzato in partito di classe, allo scopo di potere iniziare l'attuazione di una serie infinita di provvedimenti politici ed economici, per i quali la società borghese cesserà di esistere e si costituirà la nuova società internazionale dei lavoratori.

Niente miracoli, quindi, e niente colpi di bacchetta magica!

Confondere la rivoluzione con la insurrezione più o meno violenta, ma fatalmente necessaria, per spossessare il comitato esecutivo della borghesia del suo potere, é deplorevole effetto di ignoranza, ancor più deplorevole se è basso artificio polemico per colpire la fantasia degli ignoranti e speculare su quel naturale istinto di conservazione, per cui ognuno rifugge da ciò che possa far correre pericolo alla propria pelle.

I massimalisti, i quali non sono affatto feticisti della violenza né sono assetati di sangue, tanto meno proletario, non possono tuttavia consentire nell'assurda possibilità che lo strumento politico della borghesia si lasci spossessare pacificamente senza difendersi come meglio potrà. I recenti avvenimenti di Milano (i quali non saranno gli ultimi del genere come conflitti tra classe borghese e lavoratrice) sono abbastanza istruttivi per conoscere quale sia lo stato d'animo della borghesia e da quale parte siano i provocatori della violenza. Non saranno le apostoliche od evangeliche predicazioni dei vari Prampolini che varranno a spegnerla. Essa sarà tanto minore quanto più lo spirito combattivo del proletariato sarà alto e forte; mentre invece, deprimendone lo spirito e seminando la sfiducia nelle proprie forze, non si farà che dare ossigeno alle resistenze della borghesia, che si sentirà più forte per lottare e renderà più aspro il conflitto.

Il contrasto coi riformisti, anche quando siano camuffati da rivoluzionari a base di intransigenza elettorale a parole (perché l'intransigenza vera non esiste nelle attuali condizioni del regime borghese e la partecipazione ad esso anche se negativa è sempre collaborazione), non è conseguenza della convinzione intorno alla possibilità o meno di successo favorevole di un moto insurrezionale proletario più o meno prossimo, donde sembrerebbe dovesse scaturire il proposito di mettersi sulla direttiva di provocarlo oppure no. Questa pretesa di fare i profeti i massimalisti lasciano volentieri ai riformisti.

Il contrasto consiste nel riconoscimento della necessità della conquista rivoluzionaria del potere politico, conquista rivoluzionaria che non è una esplicita o larvata collaborazione col regime borghese ma è l'antitesi e la negazione di esso. La conquista rivoluzionaria del potere, ossia quella che noi vogliamo, la dittatura del proletariato, non nasce completa e perfetta, come nessun organismo nasce completo e perfetto; essa è un inizio, è un avviamento verso le più profonde e radicali trasformazioni dei rapporti sociali che tenderanno ad eliminare radicalmente il dominio di una classe sull'altra.

Questo grandioso movimento, che segna nella storia dell'umanità l'inizio di una nuova era, non può non avere le sue vittime. L'umanità non ha fatto nessun passo avanti senza i martiri.

Il proletariato ha sacrificato non pochi suoi figli, dovrà sacrificarne ancora fatalmente. Sarebbe sacrilegio se questi dovessero essere sciupati per ottenere ad esempio una repubblica tipo ebertiano, che è in fondo la realtà del riformismo in nulla dissimile dalla realtà borghese se non nell’etichetta.

Nel considerare i possibili futuri sacrifici proletari non dimentichiamo che le macchine offensive della borghesia, incubo del coraggio riformista, non agiscono se non in quanto animate da macchine umane!

 

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