DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

(«Il Soviet», n. 22 deI 18-5-1919)

 

Questi scritti del «Soviet» trovano spiegazione e commento più che sufficienti negli ultimi paragrafi della parte espositiva di questa nostra Storia.

L'articolo che qui riportiamo si rivolge non tanto contro la destra rifor­mista del partito, a cui é sempre stato detto il fatto suo, ma contro la Dire­zione del partito e contro la frazione dei massimalisti elezionisti che apertamente attacca perché si era compresa che erano insensibili al problema ardente dell’ora: quello della scissione dai socialdemocratici.

 

 

 

La tendenza massimalista che ha trionfato nel nostro Partito con l'ultimo congresso e di cui è depositaria la Direzione attuale, subisce vivaci assalti che tendono ad infirmarla seriamente, da parte degli elementi di destra del movimento operaio e dello stessa Partito.

A noi pare che la Direzione non abbia impostata la sua azione program­matica e tattica in modo da assicurare l’affermazione delle correnti politiche ch’essa dovrebbe rispecchiare in mezzo al proletariato italiano, e abbia data troppo buon gioco ai minimalisti non volendo romperla con essi, e la­sciandoli intanto, avvalorati dalla sua inazione polemica e critica, condurre a buon punto la loro opera di svalutamento delle direttive estremiste.

Di questo contrasto, su cui la consegna era di russare, noi ci siamo occu­pati con insistenza, spiacenti di vedere che la gran parte della stampa del Partito, troppa abituata ad avere il la estremista dall’«Avanti!», la pas­sava sotto silenzio.

Soltanto nel «Lavoro» di Busto Arsizio vediamo ora posta francamente la grave questione. Quei compagni, fautori dell’accordo e della collabora­zione tra il Partito e la Confederazione del Lavoro - ed é questo che dà maggiore importanza al loro rilievo - vedono che ormai é impossibile continuare a seguire l’una o l’altra, perché di fatto propugnano direttive diverse.

 

Ci pare che la Direzione si sia discostata dai caratteri essenziali del metodo massimalista anzitutto in questo: nella preoccupazione di adottare una linea di condotta che le permettesse di poggiarsi sul maggior numero possibile di organismi proletari a noi affini, di tracciare un programma in cui potessero convenire tutti gli elementi del Partito, quelli delle organiz­zazioni operaie confederali e altresì i sindacalisti e gli anarchici dell’Unione Sindacale Italiana.

Far derivare il programma da considerazioni puramente tattiche vuol dire capovolgere il metodo massimalista e sdrucciolare nel metodo della politica borghese e barghesoide, la cui preoccupazione è solo di trovare alleati, di allargare e ritirare a destra e a sinistra i confini entro i quali si chiude il blocco dei propri amici, secondo suggerisce la piega che prendono le situazioni che vanno determinandosi e trasformandosi.

Al contrario, il Partito Socialista, costituito sulla concezione tattica che appunto il partito di classe è l’organo specifico per la rivoluzione proletaria, dovrebbe tracciare una linea direttiva precisa e completa in relazione a tutto il periodo storico che si approssima, e non soltanto alla sua fase iniziale imminente; e ciò ponendosi in diretto rapporto col proletariato, chiamando le masse a convergere tutti i loro sforzi su precisi obiettivi.

In un altro aspetto essenziale si discosta l’andamento attuale del Partito dai criteri massimalisti - nel lasciarsi attirare in parte sull'equivoco terreno di un’abusata pregiudiziale riformistica, che da anni ed anni risorge contro di noi perché non si e mai voluto prenderla per le corna: quella della possibilità pratica, tecnica diremmo quasi, della rivoluzione.

Quando si pone questo problema, col corredo di bocche di cannone e di mitragliatrici paurosamente spianate contro pochi pazzi illusi di poter fare la rivoluzione, e dell'immancabile sterile eccidio operaio, si vuol giungere ad una conclusione insidiosa: se la rivoluzione non e possibile subito, o presto, ne consegue che i metodi nostri vanno mutati e devono piegare verso conquiste più possibili, anche se per queste occorre condurre il proletariato a collaborare con la classe dominante.

I sofismi dell’organo confederale seguono questa vecchia via polemica foderata di ostentata saggezza.

Ora la Direzione non é su di una via che le permetta di battere in breccia tale insidia; essa non raccoglie la polemica e seguita ad inseguire la realizzazione di una unità proletaria formale e infeconda, perché basata sulla rinunzia ad un indirizzo, ad una linea intransigentemente precisa.

Nel periodo rivoluzionario il partito che ha in sé, non i mezzi di creare situazioni storiche, ma le premesse programmatiche che la pongono sulla via dei grandi svolgimenti nei quali si determina la crisi, questo partito deve lasciare ogni alleanza, ogni diplomazia, rinunziare ad attenuare ogni spigolo e chiamare audacemente attorno al sua metodo il proletariato.

Il Partito Socialista Italiano potrà far questo, se manterrà viva la fiamma di entusiasmo che già arde intorno a lui; e se smetterà di cercare il proletariato ove non è, ossia attraverso i dirigenti di organismi che dissen­tono dal suo indirizzo per ragioni sostanziali, e destra e a sinistra.

Questa possibilità esiste pel Partito nostro, purché precisi ed elevi di tono il suo atteggiamento. Occorre che esso vada direttamente a porsi alla testa delle masse organizzate, in nome della sua politica di classe. Per far ciò i suoi uomini devono deporre le illusioni elettorali e sfatare anche il dubbio che il partito attiri a sé le masse per tornei schedaioli. Per far ciò occorre creare l'incompatibilità agli elementi che non sono, per irriducibile antitesi, disposti a collaborare all'indirizzo massimalista, occorre andare incontro a chiunque non è con noi e gridargli il nostro dissenso, occorre in una parola restringere i confini del nostro stato maggiore per poter allargare quelli del nostro esercito.

Queste sono condizioni pregiudiziali ad ogni efficace opera rivoluzionaria.

E sono problemi che un grande Congresso Nazionale deve porsi e risolvere elevatamente, sdegnando ogni accorgimento diplomatico, ogni compromesso, ogni senso di falsa opportunità.

 

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