DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Il Soviet», anno III, nr. 4 dell’1.II.1920)

 

Una situazione prodottasi già parecchie volte in Italia si è in questi giorni rinnovata: la mancata rivoluzione. Lo sciopero dei postelegrafici e quello dei ferrovieri (che sembra chiudersi nel momento in cui scriviamo) si sono svolti senza trascinarsi dietro in un più largo e profondo movimento il proletariato italiano.

Udiamo già brontolare la tempesta di recriminazioni polemiche che scoppierà tra poco contro i dirigenti degli organismi politici e sindacali che «hanno lasciato sfuggire l'occasione, come già fecero nella settimana rossa, dopo Caporetto, dopo il saccheggio dell’Avanti!, durante i moti per il caroviveri e negli ultimi scioperi ge­nerali di dicembre.

Ora, mentre noi dissentiamo profondamente dall’indirizzo tanto della Confederazione del Lavoro - che fa apertamente opera di riconciliazione tra le classi - quanto del Partito Socialista - che vive di strane e deplorevoli esitazioni affondando sempre più nelle sabbie mobili del parlamentarismo -, vogliamo dire subito che non siamo affatto sul terreno di quelle proteste piuttosto puerili di ingenui rivolu­zionali delusi in una apocalittica aspettazione.

Tanto gli elementi anarcoidi che ripetono con un tono di cronico e stereotipato malumore simili critiche, quanto i dirigenti dei grandi organismi proletari sempre preoccupati e circospetti nel prendere decisioni, ci sembrano molto fuori dalla via della preparazione rivoluzionaria.

La rivoluzione in Italia si vuol farla in troppi. Si pretende di condurre a con­vergere su di un programma rivoluzionario, o piuttosto soltanto di azione insurre­zionale, movimenti così disparati come sono gli anarchici, i sindacalisti, i massimali­sti del Partito, i riformisti confederali e parlamentari.

Pare anzi che coloro che più ci tengono a passare per estremisti, sol perché sono fanatici di un'azione purchessia, vogliano, per soddisfare le loro impazienze, chiamare in campo alleati anche più bastardi, come i repubblicani e forse perfino gli elementi che fan capo a Giulietti e a D'Annunzio! È la rivoluzione da operetta a base di personaggi e gesti sensazionali, adatti a soddisfare il senso retorico e melodrammatico degli italiani.

Noi - che siamo stati ostinatamente scambiati per i fautori dell’immediatismo insurrezionale incosciente e capriccioso - ripetiamo cosa già molte volte dette affer­mando che le condizioni del successo rivoluzionario sono riposte non già negli affa­sciamenti e nella confusione, ma nella precisa delineazione e differenziazione dei partiti, dei programmi e dei metodi tattici.

La soluzione di queste continue crisi, che si esauriscono in rampogne vuote e sterili tra gente che non si è ancora accorta di non poter collaborare, sta nella for­mazione di un organismo politico rivoluzionario unico ed omogeneo che assuma ed accentri la direzione tattica della battaglia rivoluzionaria a cui il proletariato italiano sta per essere chiamato dalla storia, che si svolge incurante delle gesticolazioni pic­colo-borghesi dei troppi «rivoluzionari» che il dopoguerra ha fatto germinare tra noi.

 

 

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