DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Premessa

 

Le tesi della Frazione Comunista Astensionista del PSI (1), che qui ripubblichiamo dai numeri 16 e 17 del 6 e 27 giugno 1920 de “Il Soviet”, furono redatte nella primavera dello stesso anno e approvate dalla Conferenza nazionale tenuta dalla Frazione nei giorni 8 e 9 maggio a Firenze.

          Le “tesi” precedono di pochi mesi quello che giustamente fu detto il vero congresso costitutivo dell’Internazionale Comunista, il II ( 19 luglio – 7 agosto 1920), e rappresentano da un lato l’unico apporto internazionale che si adagi pienamente sui principii informatori del corpo di tesi programmatiche e tattiche poi uscito da quella assise mondiale del movimento proletario, dall’altro un chiaro esempio di ciò che la Sinistra si attendeva – e lo disse il suo rappresentante nel corso del dibattito sulle “condizioni di ammissione alla Internazionale Comunista” come pure, e più esplicitamente, in articoli usciti prima e dopo la costituzione ufficiale del PCd’I (2) – dalla stessa assise: un testo che, partendo dalla definizione generale dei principii e delle finalità del movimento comunista, ne deducesse a un tempo la critica delle variopinte “scuole” avversarie e le invalicabili norme di azione (la “tattica”) del partito alla scala non locale né contingente, ma mondiale e storica, e opponesse come tale un argine insuperabile ai troppi “convertiti” a un comunismo divenuto “di moda” ( la frase non è nostra, ma della premessa degli Statuti del Comintern).

         Le “tesi” non sono infatti concepite come la piattaforma di dottrina e di azione di un partito nazionale, ma come uno schema delle basi programmatiche e tattiche che necessariamente distinguono il partito della rivoluzione mondiale comunista (3), rispetto alle quali abbiamo sempre sostenuto e sosteniamo che non deve essere concepibile né quindi ammissibile una “consultazione” preventiva di correnti o di singoli né, avvenuta questa, una accettazione “per disciplina” di deliberati maggioritari, trattandosi di aderire o non aderire a un patrimonio collettivo, impersonale ed invariabile senza di cui sarebbe vano definirsi o pretendersi comunisti: “Nei confronti del programma – dirà Bordiga a nome della Sinistra al congresso di Mosca – non esiste disciplina. O lo si accetta o non lo si accetta; e in quest’ultimo caso si lascia il parrtito. Il programma è qualcosa di comune a tutti, non qualcosa di proposto dalla maggioranza dei compagni”.

         Che poi si tratti dell’unico apporto internazionale alla soluzione dei problemi del movimento comunista pienamente collimante con le posizioni aspramente difese dai bolscevichi è dimostrato dal fatto che, malgrado la tenuità dei rapporti internazionali, sono qui affrontati uno per uno gli stessi temi del prossimo Congresso mondiale, senz che mai vi affiori una sola delle deviazioni teoriche, sin d’allora profilatesi particolarmente in Germania, in ordine alle questioni centrali del partito come organo della rivoluzione proletaria e della sua dittatura, dei rapporti fra il partito e le organizzazioni economiche della classe operaia, delle condizioni necessarie per la costituzione dei Soviet e della specifica natura di questi; come pure in ordine al dibattuto problema del “parlamentarismo rivoluzionario”, circa il quale non sarà mai abbastanza ribadito che la posizione assunta dalla Sinistra non aveva né ebbe mai nulla di comune con quelle di origine anarco-sindacalista degli astensionisti tedeschi e olandesi (4). Lo schema non ha d’altra parte nulla di accademico; la sua formulazione è un’arma tagliente di delimitazione del partito di classe da qualunque formazione politica sedicentemente affine sul doppio piano della teoria e della prassi, - due termini che il marxismo considera per definizione inscindibili, la teoria non essendo tale se isolata dalla prassi (cioè dalla lotta reale di emancipazione del proletariato ) e la seconda non raggiungendo il suo scopo, anzi capovolgendosi nel suo opposto, se staccata dalla prima e affidata nel suo svolgersi al gioco imprevisto e imprevedibile dei flussi e riflussi delle situazioni contingenti (5). 

         La stessa definizione della dottrina e del programma – cioè delle finalità ultime, e della via obbligata per conseguirle – nella prima parte delle Tesi è, come sempre per noi, la premessa di una selezione organica dei militanti senza la quale non sarebbe nemmeno possibile l’azione efficiente, sicura e disciplinata di quello che esse, anticipando le classiche formule del II congresso, chiamano l’ “organo” della lotta rivoluzionaria; cioè il partito; e, mentre esclude come oggetto anche solo di dibattito ogni “versione” del marxismo fondata su presupposti idealistici, esclude altresì ogni concezione della storica lotta di emancipazione proletaria che ne misconosca o ne ignori gli svolgimenti inevitabili, o che li ritenga passibili di sbocchi alternativi fra i quali solo la “esperienza” permetterebbe di decidere con “cognizione di causa”.

         Così, la presentazione dei cardini ideologici (il materialismo dialettico) e programmatici (realizzazione del comunismo attraverso l’unica via della conquista rivoluzionaria del potere e dell’esercizio della dittatura proletaria, con tutte le misure d’ordine politico ed economico che ne conseguono, sotto la guida egemonica del partito) in una presentazione che riapparirà in forma più sintetica ma anche più scultorea negliotto punti del programma di Livorno (gennaio 1921) si salda organicamente alla denuncia e demolizione critica delle dottrine avverse: e dicendo “avverse” si intendono non solo quelle emananti dalla classe borghese (liberalismo, democratismo) o dai suoi reggicoda riformistici (gradualismo,parlamentarismo, ministerialismo), ma anche quelle che rivestono di un linguaggio apparentemente rivoluzionario la propria natura opportunistica e la propria derivazione piccolo-borghese: massimalismo, sindacalismo, anarchismo, ordinovismo e, in genere, immediatismo.

         E val la pena di notare come anche questa seconda parte mostri una completa convergenza con quelle che saranno le tesi fondamentali del II Congresso del Comintern, con la sola ma rilevante differenza che in un unico testo di base, impegnativo e vincolante per tutti, condensa lo storico verdetto comunista di condanna di qualunque visione del processo rivoluzionario (e perciò anche delle sue finalità e dei suoi mezzi di lotta) che neghi o anche solo eluda uno qualsiasi dei postulati programmatici del partito secondo Marx, Engels e Lenin.

         Ancora una volta, non un “lusso” teorico guida la mano dei compilatori, ma una precisa coscienza delle permanenti necessità della titanica lotta rivoluzionaria del proletariato, ribadite dal sanguinoso bilancio delle sue temporanee vittorie e ancor più delle sue ammonitrici sconfitte nei paesi a capitalismo avanzato, da oltre un secolo marci di democrazia e imbevuti di eredità ideologiche borghesi:  la precisa coscienza, cioè, che la rinascita del movimento rivoluzionario marxista sulle rovine della II Internazionale e dei suoi partiti, quasi tutti macchiatisi di adesione aperta o nascosta alla guerra e di capitolazione di fronte agli idoli del democratismo interclassista, non sarebbe stata (come non fu) piena e duratura, se su uno qualunque  di tali punti-chiave fosse sussistito l’equivoco, o se l’accettazione generica dei principii della distruzione violenta dello stato borghese, come obiettivo al quale tutte le forze dei nascenti partiti comunisti dovevano tendere, avesse celato divergenze di fondo sul partito (la “costituzione del proletariato in classe” di Marx), sulla dittatura (la “costituzione del proletariato in classe dominante” di Marx), sui rapporti fra partito e classe, fra lotta politica e lotta economica, fra obiettivi finali  e mete contingenti,  o sui rispettivi organi di battaglia. Il bilancio del quarantennio successivo mostra senza possibilità di appello come, su tutti questi problemi e sulle gravi deviazioni generatesi intorno ad essi nel corso secolare del movimento proletario, la massima chiarezza deve essere fatta per evitare le troppo frequenti “recidive” e le fatali sconfitte.

         La terza parte è tuttavia forse per noi la più vitale, in quanto la riproposizione del programma e dei principii generali del comunismo rivoluzionario trova il suo completamento in una prima “codificazione” delle necessarie norme tattiche, secondo quella che sarà una costante rivendicazione della Sinistra purtroppo non accolta o non sufficientemente compresa nel suo valore dall’Internazionale. Gran caso si farà da allora dello “schematismo” in cui saremmo caduti nell’insistere che le grandi linee dell’azione tattica del partito negli svolgimenti successivi della lotta fossero stabilite col massimo rigore possibile, e rese non meno vincolanti che le grandi linee del programma.  Eppure, le 21 Condizioni di ammissione, qualche mese dopo poste dall’Internazionale a ttutti i partiti aspiranti ad entrarvi, che altro sono se non la formulazione ultimativa di norme tattiche, l’inosservanza di una sola delle quali è sufficiente ad escludere come non-comunista un partito che pretenda di esserlo? “Non c’è azione rivoluzionaria senza teoria rivoluzionaria” aveva proclamato Lenin; che significa ciò, se non che la dottrina marxista o è la guida dell’azione emancipatrice del proletariato o non è nulla, e che l’affidare la soluzione dei quesiti pratici sollevati dalla lotta di classe alle sollecitazioni delle contingenze immediate  e locali significa tradire l’una  e gli altri, e porsi sul piano inclinato di quell’opportunismo che Lenin definì, con formula valida per tutti i tempi, “assenza di principii”? E’ ben vero, che, per esempio la tattica del partito nelle fasi di doppia rivoluzione, previste da Marx per la Germania 1848-50 e da Lenin per la Russia 1917 (o per l’Oriente negli anni successivi), non può essere identica a quella richiesta dai paesi e dalle fasi storiche di rivoluzione “unica”; ma si tratta di una diversità prevista  dal marxismo come è previsto il fatale schieramento dei partiti borghesi e delle correnti opportuniste nelle fasi alterne della lotta. O, per prendere un secondo esempio, è ben vero che le tesi di Lenin sul parlamentarismo rivoluzionario lasciano aperta l’eventualità sia della partecipazione alle campagne elettorali e al parlamento (ma sempre a scopi eversivi), sia del boicottaggio delle une e dell’altro; ma si tratta appunto di alternative previste e codificate in rapporto a situazioni marxisticamente prevedibili e codificabili, e che non tollerano “soluzioni di ricambio”.  L’ “elasticità tattica” sulla quale si insisterà tanto dopo di allora fino ad identificarla sciaguratamente con l’eclettismo prima, e l’agnosticismo poi, era sempre stata rigorosamente mantenuta dai bolscevichi entro limiti coincidenti con confini invariabili del programma; non aveva mai significato abbandono al capriccio delle situazioni, al caso di eventi oscuri e impenetrabili, o, peggio, alle divinazioni di singoli o di un partito sedicentemente immunizzato una volta per tutte da infezioni opportunistiche.

         Allo stesso modo, se è vero che determinate tattiche oggi manifestamente insostenibili, come quella del parlamentarismo rivoluzionario, ebbero una giustificazione storica e una funzione positiva in un certo periode del movimento operaio (e, come la Sinistra dirà al II Congresso, la conservano in date aree geografiche), il punto era ed è se la fase aperta al capitalismo e quindi al proletariato  dalla prima guerra mondiale nei paesi di capitalismo non solo maturo, ma fradicio (fase non giudicabile al metro di un anno o di un mese, ma di tutto un ciclo) ne consenta l’adozione ai fini della risolutiva battaglia per il potere, o se invece la nostra previsione di questo sbocco ne imponga di necessità l’abbandono proprio e soltanto nell’interesse della preparazione del partito e delle masse proletarie ad esso. Infine, è vero che altra è l’azione del partito nelle fasi di preparazione a questo scontro, con tutte le manovre tattiche che essa comporta, altra la sua azione nelle fasi di attacco diretto al potere; ma la tattica da seguire nel primo caso in tanto è valida, cioè praticamente efficace, in quanto non spezzi ma rafforzi quella continuità di programma, di agitazione, di lotta, quindi anche di organizzazione, che è il vero coefficiente di successo, o comunque di alta combattività nel secondo; ed è in questa luce che va prevista (6),resa esplicita ai militanti, illustrata alle masse e costantemente applicata nella battaglia quotidiana, perché appunto in questa stretta convergenza  del programma, della propaganda e dell’azione nel vivo della lotta è la premessa del conseguimento di una influenza non labile e fittizia ma reale sugli strati operai che la dinamica storica, nell’urto da noi anticipato come inevitabile non solo con i partiti borghesi e il loro Stato, ma con l’opportunismo, si aprono alla consapevolezza  -  poco importa se confusa  -  che la via tracciata dal partito è l’unica; e unica e insostituibile la sua guida.

         Nell’opportunismo si cade, in origine, non per scelta “deliberata”, ma per l’illusione che al successo si giunga più rapidamente per la via meno ardua, la più immediatamente accessibile alle reazioni istintive delle masse, la meno apparentemente ingombra di ostacoli. La grande “arte” della tattica rivoluzionaria risiede nella capacità di tenere sempre una rotta prevista e proclamata come unica anche nei momenti più difficili, nella certezza che (in un processo la cui maggiore o minore rapidità dipende certo in primo luogo da fattori oggettivi, ma il partito, in quanto agisce, è esso stesso un fattore oggettivo della storia), la saldatura fra l’azione cosciente dell’organo politico e l’azione fisica ed elementare delle masse si creerà appunto in forza della tenacia con la quale si sia resistito alle facili suggestioni della via breve, della via piana, della via “nuova”, per seguire quella, aspra ma sicura, sulla quale non noi ma i fatti spingeranno i proletari, a qualunque partito aderiscano, a qualunque categoria appartengano, di qualunque colore sia la loro pelle.

         Forte di questa convinzione, la Sinistra sancì nel maggio 1920 quelle direttive tattiche che il II Congresso del Comintern ribadirà con forza e validità statutaria (nei confronti, per esempio, dei sindacati, dei consigli di fabbrica, dei soviet, della propaganda nell’esercito, dei metodi di organizzazione, ecc.), ma le completò con l’anticipata condanna dei fronti unici politici anche con quelle forze che condividono bensì il principio della rivoluzione violenta ma, per divergenze incolmabili di teoria e quindi di azione, respingono il nostro modo di concepire e valutare gli ulteriori sviluppi della lotta rivoluzionaria nel ben più difficile e vitale campo del dopo rivoluzione(7). Tale condanna valeva  -  e vale  -  secondo noi a maggior ragione per le proposte di fronte unico a partiti che consideriamo e pubblicamente denunziamo come controrivoluzionari: la socialdemocrazia, il centrismo e le loro innumerevoli varianti, quelle forze alle quali, nel 1920 di ferro e di fuoco, neppure si pensava che un giorno si potesse, come purtroppo avvenne, offrire il ramoscello d’olivo di un accordo sia pure momentaneo, con lo specioso argomento che la prevista ripulsa del nostro pubblico invito avrebbe aperto gli occhi ai proletari ancora militanti nelle loro file, quasi che questa eventualità remota potesse compensare l’eventualità sicura che ad un numero ben maggiore di proletari (e ben altrimenti agguerriti) il fatto stesso dell’offerta di un blocco unico o di un appoggio parlamentare “a partiti operai” marci e putrefatti avrebbe annebbiato gli occhi, confuso le idee e ostacolato il normale processo di orientamento politico e pratico. Le stesse tesi (tanto è vero che le manifestazioni anche solo embrionali di un abbandono della retta via hanno una loro costante nella storia, e questa costanza deve permetterci di prevederle invece che subirle) anticipano le discussioni 1921-1922 sulla questione della “conquista della maggioranza”, non certo respingendo il principio, tanto ovvio da non aver bisogno di essere affermato, che il partito non è tale se non si adopera per guadagnarsi tra i proletari la massima influenza compatibile con la situazione oggettiva, ma rifiutandosi di assumere a metro della propria efficienza il numero bruto degli iscritti, o quello ancor più vago ed impalpabile dei simpatizzanti, e di sacrificare ad esso l’insieme degli altri fattori, ben più determinanti, al cui sicuro possesso il partito si abilita nella sola misura in cui sa essere a viso aperto  -  non nelle proclamazioni retoriche, ma nell’azione pratica  -  soltanto se stesso.

         Nel commentare i testi successivi, vedremo come il problema della tattica si configurò in anni più tardi, proprio su tali questioni di fondo, per l’Internazionale da un lato e per la Sinistra dall’altro. Resta qui da richiamare l’attenzione sul fatto che il punto minore di divergenza tra noi e Mosca, quello dell’astensionismo contrapposto al “parlamentarismo rivoluzionario”, in primo luogo non investiva minimamente il giudizio (concorde) sugli istituti della democrazia e sulla sorte che il proletariato dovrà riservare loro, e secondariamente non toccava nessuna questione di principio, essendo il nostro astensionismo radicato non in fisime idealistiche “all’anarchica” ma in considerazioni pratiche che lo rendono imperioso nelle aree geografiche e nei tempi storici di capitalismo avanzato; essendo, in altre parole, la rivendicazione di un metodo ben altrimenti idoneo a favorire lo schieramento delle masse proletarie sul fronte della negazione totale e definitiva dello Stato borghese e a concentrare le forze del partito nella battaglia per la conquista violenta del potere e per il suo esercizio dittatoriale,  -  queste due manifestazioni supreme della nostra antidemocrazia.

         Il bilancio dell’ultimo cinquantennio prova in modo schiacciante che quella del “parlamentarismo rivoluzionario” fu una delle smagliature attraverso le quali  -  contro ogni aspettativa dei partigiani di “tattiche audaci”  -  fecero il loro ingresso nell’Internazionale di Lenin partiti e gruppi soltanto e fradiciamente parlamentari; ma, ben più che in questo aspetto relativamente secondario della prassi rivoluzionaria, pone in viva luce la necessità che sull’insieme dei postulati di azione del partito di classe, come sulle loro basi di principio, ogni transigenza sia definitivamente bandita. Noi non pretendevamo né che il programma dell’I.C. dovesse essere necessariamente quello formulato dalla Sinistra nel 1920, né che bastassero delle tesi di dottrina, di programma e di tattica a salvaguardare il partito della rivoluzione comunista dai contraccolpi rovinosi di rapporti di forza avversi, o a garantirgli la vittoria sull’onda di situazioni oggettive montanti; certo è tuttavia che il processo di degenerazione dell’Internazionale non sarebbe stato così rapido e debolmente contrastato, e la ripresa proletaria dopo la bufera staliniana ancor oggi così tormentosa e difficile, se la barriera di un’analoga piattaforma politica fosse stata elevata a condizione dell’appartenenza al “partito mondiale unico”, a costo di perdere qualcosa in termini di risultati numerici e di prestigio, dolorosamente pagati con la mancanza di chiarezza teorica, di efficienza pratica e di saldezza organizzativa.

         Al II Congresso di Mosca, la Sinistra gettò un grido di allarme sul pericolo che, cacciato dalla porta, l’opportunismo rientrasse dalla finestra man mano che la prova generale della I guerra imperialistica si allontanava nel passato e l’atto primo della rivoluzione arretrava in un futuro forse non vicino(8).

         Quello che allora poté sembrare eccesso di rigidezza, e magari astrattismo, appare oggi come la dura ma realistica premessa di ogni ripresa del movimento proletario marxista, sul filo ininterrotto di quella visione integrale del corso delle lotte di classe, dei loro snodamenti e del loro sbocco finale, di cui non si può rompere un anello senza distruggere, volenti o nolenti, l’intera catena.

Note:

 

 

(1)  Come è noto, la nostra corrente, già organizzatasi alla fine del 1918 intorno al settimanale “Il Soviet” sul filo della lunga battaglia sostenuta durante la guerra sulle medesime posizioni di Lenin e della Sinistra di Zimmerwald, si costituì in Frazione Comunista Astensionista ai primi di luglio del 1919. L’aggettivo “astensionista” fu conservato essenzialmente per distinguerla dalla frazione serratiana, anch’essa proclamatasi “comunista”; ma, come balza agli occhi da queste Tesi, a qualificarla e definirla non era la questione particolare dell’astensionismo, bensì l’adesione totale alla dottrina rivoluzionaria comunista ristabilita nella sua integralità dai bolscevichi, di cui i massimalisti nostrani avevano un’idea estremamente confusa nella migliore delle ipotesi, e completamente distorta nella peggiore.

(2)  Si veda nel “Soviet” n.24 del 3 ottobre 1920, Intorno al congresso internazionale comunista e in “Rassegna Comunista”, n.4 del 31 maggio 1921, Partito e azione di classe; “Forse meglio sarebbe stato se il congresso, anziché seguire la disposizione di argomenti che seguì nelle varie tesi, tutte teoriche-tattiche, avesse fissato le basi fondamentali della concezione teorica programmatica comunista sulla cui accettazione si dovrebbe fondare primieramente l’organizzazione di tutti i parrtiti aderenti; e quindi avesse formulato le fondamentali norme di azione di fronte al problema sindacale, agrario, coloniale,ecc. alla cui osservanza disciplinata sono impegnati tutti gli aderenti”.

(3)  L’esigenza di un programma unico per tutte le sezioni dell’Internazionale Comunista  -  così finalmente divenuta “partito comunista mondiale” -  era tanto viva nella Sinistra che al II Congresso il suo portavoce, la cui parte nel dare forma definitiva alle condizioni di ammissione fu determinante, chiese che là dove, nel progetto originario dei bolscevichi, si invitavano “i partiti i quali hanno conservato fino ad oggi i loro vecchi programmi socialdemocratici a modificarli nel più breve tempo possibile e ad elaborare, corrispondentemente alle particolari condizioni del loro paese, un nuovo programma comunista nel senso dei deliberati dell’Internazionale Comunista”, si prescrivesse invece di “elaborare  un nuovo programma comunista nel quale i principii dell’Internazionale Comunista siano fissati in modo inequivocabile e pienamente collimante con le risoluzioni dei congressi internazionali: la minoranza che si dichiara contro questo programma, deve per tal motivo essere esclusa dall’organizzazione del partito”. Si sarebbero così bandite a priori “le eccezioni nazionali” che forniranno ai gruppi opportunisti un’arma preziosa per eludere le questioni di fondo e terranno poi a battesimo la sciagurata formula delle “vie nazionali al socialismo”, manifestazione estrema del tradimento.

(4)  Cfr. il nostro volumetto O preparazione rivoluzionaria o preparazione elettorale e i volumi I e Ibis della nostra Storia della Sinistra.

(5)  Abbiamo parlato di “schema” a ragion veduta, perché fin d’allora la Sinistra rivendicò la necessità di dare stabile formulazione a tutta una serie di punti programmatici e tattici anche a costo di una certa semplificazione, d’altronde inevitabile e, ai fini dell’azione pratica, tutt’altro che controproducente, perché tali punti sono ed è necessario che siano, nello stesso tempo, delle parole d’ordine!

(6)  La definizione della tattica (o azione) “diretta” e “indiretta” del partito si avrà nelle Tesi di Roma, 1922, che si leggono più avanti.

(7)  Ciò valeva e vale in particolare per gli anarchici, i sindacalisti rivoluzionari ecc., nel quadro di una polemica antica quanto il marxismo e particolarmente aspra in Italia (cfr. nel I volume della nostra Storia della Sinistra gli articoli: L’errore dell’unità proletaria  -  Polemica a più fronti e Il fronte unico rivoluzionario? Tratti dal “Soviet” 1-6 e 15-6 del 1919).

(8)  Contro ogni “ricostruzione” postuma dei fatti storici, è il caso di ribadire che il giudizio della Sinistra sulle potenzialità rivoluzionarie del 1920-1921, come risulta dal già citato discorso al Congresso di Mosca, era assai meno ottimistico di quello dei bolscevichi e, per essi, del Comintern; e lo diciamo non per scrupolo…professorale di “verità” ma perché risponde all’obiezione fritta e rifritta che la via da noi tracciata andava (“forse”) bene per una situazione rivoluzionaria, ma non offriva “alternativa” per situazioni di riflusso. La realtà è che noi ci preoccupavamo, come ci preoccupiamo oggi, non tanto dell’ora uno della rivoluzione  -  quando le migliori forze proletarie trovano naturalmente e quasi meccanicamente la loro strada e, a condizione che il partito ci sia, la tengono fino all’ultimo  -, quanto della dura vigilia in cui è così facile perdere nell’ardore dell’entusiasmo la nozione che “chi non è con noi è contro di noi” (la frase è di Marx e di Luxemburg, non di Mussolini), e ancor più del durissimo indomani di possibili battute d’arresto o, peggio, di sconfitte, quando è pressoché fatale la tentazione di “propter vitam vivendi perdere causas” o, in altre parole, di sacrificare a una illusoria prospettiva di sopravvivenza immediata le ragioni della nostra perenne battaglia. Nel che è pure la base di quello che era ed è, questo sì, il nostro “ottimismo,  -  lo stesso di Marx, Engels e Lenin nei periodi più bui, come nei periodi sfolgoranti dell’ascesa proletaria “al cielo” della rivoluzione comunista.

Tesi della frazione comunista astensionista del psi - maggio 1920

 

 (Da " Il Soviet", n°6 e 27 giugno 1920)

 

1. -  Il comunismo è la dottrina delle condizioni sociali e storiche della emancipazione del proletariato.La elaborazione di questa dottrina s'iniziò nel periodo dei primi moti proletari contro le conseguenze dei sistemi di produzione borghesi, e prese forma nella critica marxista della economia capitalistica, nel metodo del materialismo storico, nella teoria della lotta di classe, nella concezione degli svolgimenti che presenterà il processo storico della caduta del regime capitalistico e della rivoluzione proletaria.

2 . - Su questa dottrina, la cui prima e fondamentale espressione sistematica è il Manifesto dei Comunisti del 1847, si basa la costituzione del partito comunista.

3 . - Nel presente periodo storico diviene sempre più intollerabile per il proletariato la situazione creatagli dai rapporti di produzione borghesi, basati sul possesso privato dei mezzi di produzione e di scambio, sulla appropriazione privata dei prodotti del lavoro collettivo, sulla libera concorrenza del commercio privato dei prodotti stessi.

4 . - A questi rapporti economici corrispondono gli istituti politici propri del capitalismo: lo Stato a rappresentanza democratica-parlamentare . Lo Stato in una società divisa in classi è l'organizzazione del potere della classe economicamente privilegiata. Malgrado che la borghesia rappresenti la minoranza della società, lo Stato democratico costituisce il sistema della forza armata organizzata per la conservazione dei rapporti di produzione capitalistica.

5 . - La lotta del proletariato contro lo sfruttamento capitalistico assume successive forme, dalla violenta distruzione del macchinario all'organizzazione professionale per il miglioramento delle condizioni di lavoro, ai Consigli di fabbrica e ai tentativi di presa di possesso delle aziende.Attraverso tutte queste azioni particolari il proletariato si indirizza verso la lotta decisiva rivoluzionaria diretta contro il potere dello State borghese che impedisce che i presenti rapporti di produzione possano essere infranti.

6 . - Questa lotta rivoluzionaria è il conflitto di tutta la classe proletaria contro tutta la classe borghese. Il suo strumento è il partito politico di classe, il partito comunista, che realizza la cosciente organizzazione di quell'avanguardia del proletariato che ha compreso la necessità di unificare la propria azione, nello spazio al di sopra degli interessi dei singoli gruppi, categorie o nazionalità; nel tempo, subordinando al risultato finale della lotta i vantaggi e le conquiste parziali che non colpiscono l'essenza della struttura borghese.  È dunque soltanto l'organizzazione in partito politico che realizza la costituzione del proletariato in classe lottante per la sua emancipazione.

7 . - Lo scopo dell'azione del partito comunista è l'abbattimento violento del dominio borghese, la conquista del potere politico da parte del proletariato, l'organizzazione di questo in classe dominante.

8 . - Mentre la democrazia parlamentare colla rappresentanza dei cittadini di ogni classe è la forma che assume l'organizzazione della borghesia in classe dominante, l'organizzazione del proletariato in classe dominante si realizzerà nella dittatura proletaria, ossia in un tipo di Stato le cui rappresentanze (sistema dei Consigli operai) saranno designate dai soli membri della classe lavoratrice (proletariato industriale e contadini poveri) con la esclusione dei borghesi dal diritto elettorale.

9 . - Lo Stato proletario, infranta la vecchia macchina burocratica, poliziesca e militare unificherà le forze armate della classe lavoratrice in una organizzazione destinata a reprimere tutti gli sforzi controrivoluzionari della classe spodestata, e ad eseguire le misure d'intervento nei rapporti borghesi di produzione e di proprietà.

10 . - Il processo attraverso il quale si passerà dall'economia capitalistica a quella comunistica sarà molto complesso e le sue fasi saranno diverse secondo le diverse condizioni di sviluppo economico. Il termine di tale processo è la realizzazione completa: del possesso e dell'esercizio dei mezzi di produzione da parte di tutta la collettività unificata; della distribuzione centrale e razionale delle forze produttive nei vari rami della produzione: dell'amministrazione centrale da parte della collettività nella ripartizione dei prodotti.

11 . - Quando i rapporti dell'economia capitalistica saranno stati totalmente soppressi, l'abolizione delle classi sarà un fatto compiuto e lo Stato come apparecchio politico di potere sarà stato sostituito progressivamente dalla razionale amministrazione collettiva dell'attività economica e sociale.

12 . - Il processo di trasformazione dei rapporti di produzione sarà accompagnato da una serie vastissima di misure sociali fondate sul principio che la collettività prenda cura dell'esistenza materiale ed intellettuale di tutti i suoi membri. Andranno così successivamente eliminandosi tutte le tare degenerative che il proletariato eredita dal mondo capitalista, e, secondo la parola del Manifesto, alla vecchia società divisa in classi cozzanti fra loro subentrerà una associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione del libero sviluppo di tutti.

13 . - Le condizioni della vittoria del potere proletario nella lotta per l'attuazione del comunismo consistono, più che nella razionale utilizzazione dei competenti per le mansioni tecniche, nell'affidare le cariche politiche e di controllo dell'apparato statale ad uomini che antepongono l'interesse generale ed il trionfo finale del comunismo alle suggestioni dei limitati e particolari interessi di gruppi.Poiché appunto il partito comunista è la organizzazione di quei proletari che hanno una tale coscienza di classe, scopo del partito sarà di conquistare, colla opera di propaganda, ai suoi aderenti le cariche elettive dell'organismo sociale. La dittatura del proletariato sarà dunque la dittatura del partito comunista e questo sarà un partito di governo in senso completamente opposto a quello in cui lo furono le vecchie oligarchie, in quanto  i comunisti si addosseranno gli incarichi che esigeranno il massimo di rinuncia e di sacrificio, prenderanno su di sé la parte più gravosa del compito rivoluzionario che incombe al proletariato nel travaglio che genererà un nuovo mondo.

 

II.

1 . - La critica comunista che incessantemente si elabora sulla base dei suoi metodi fondamentali e la propaganda delle conclusioni a cui essa perviene, mirano a sradicare l'influenza che hanno sul proletariato i sistemi ideologici propri di altre classi e di altri partiti.

2 . - Il comunismo sgombra in primo luogo il terreno dalle concezioni idealistiche secondo le quali i fatti del mondo del pensiero sono la base anziché il risultato dei rapporti reali di vita dell'umanità e del loro sviluppo. Tutte le formulazioni religiose e filosofiche di tal genere vanno considerate come il bagaglio ideologico di classi il cui dominio precedette l'epoca borghese, ed era basato sopra un'organizzazione ecclesiastica, aristocratica o dinastica, giustificabile solo con pretese investiture sovrumane.Un sintomo di decadenza della moderna borghesia è il riapparire frammezzo ad essa, in nuove forme, di queste vecchie ideologie che essa stessa distrusse.Un comunismo poi fondato su basi idealistiche costituisce un assurdo inaccettabile .

3 . - In modo ancora più caratteristico, il comunismo rappresenta la demolizione critica delle concezioni del liberalismo e della democrazia borghese. L'affermazione giuridica della libertà di pensiero e dell'eguaglianza politica dei cittadini, la concezione secondo cui le istituzioni basate sul diritto della maggioranza e sul meccanismo della rappresentanza elettorale universale sono la base sufficiente per un progresso indefinito e graduale della società umana, costituiscono le ideologie corrispondenti al regime della economia privata e della libera concorrenza, e agli interessi di classe dei capitalisti.

4 . - Fa parte delle illusioni della democrazia borghese il concetto che possa conseguirsi il miglioramento delle condizioni di vita delle masse mediante l'incremento dell'educazione e dell'istruzione ad opera delle classi dirigenti e dei loro istituti. L'elevamento intellettuale di grandi masse ha invece come condizione un miglior tenore di vita materiale incompatibile col regime borghese; d'altra parte la borghesia attraverso le sue scuole tenta di diffondere appunto quelle ideologie che trattengono le masse dal riconoscere nelle istituzioni attuali l'ostacolo alla loro emancipazione.

5 . - Un'altra delle affermazioni fondamentali della democrazia borghese è il principio di nazionalità. Corrisponde alle necessità di classe della borghesia, nel costituire il proprio potere, la formazione di stati su base nazionale, allo scopo di avvalersi delle ideologie nazionali e patriottiche, corrispondenti a certi interessi comuni nel periodo iniziale del capitalismo agli uomini della stessa razza, della stessa lingua e degli stessi costumi, per ritardare ed attenuare il contrasto tra lo stato capitalistico e le masse proletarie.Gli irredentismi nazionali nascono dunque da interessi essenzialmente borghesi.La borghesia stessa non esita a calpestare il principio di nazionalità quando lo sviluppo del capitalismo le impone la conquista anche violenta dei mercati esteri, e quindi determina la contesa di essi tra le grandi unità statali. Il comunismo supera il principio di nazionalità in quanto mette in evidenza l'analogia di condizioni in cui il lavoratore nullatenente si trova dinanzi al datore di lavoro qualunque sia la nazionalità dell'uno o dell'altro; e pone l'unione internazionale come tipo della organizzazione politica che il proletariato formerà quando a sua volta giungerà al potere.  Alla luce quindi della critica comunista la recente guerra mondiale e stata originata dall'imperialismo capitalista, e cadono le varie interpretazioni tendenti a prospettarla, dal punto di vista dell'uno o dell'altro stato borghese, come una rivendicazione del diritto di nazionalità di alcuni popoli, un conflitto degli stati democraticamente più avanzati contro altri stati organizzati in forme pre-borghesi, o infine come pretesa necessità difensiva contro l'aggressione nemica.

6 . - Il comunismo è anche in opposizione alle vedute del pacifismo borghese ed alle illusioni wilsoniane sulla possibilità di una associazione mondiale degli stati basata sul disarmo e sull'arbitrato, condizionata dall'utopia di una suddivisione delle unità statali secondo le nazionalità. Per i comunisti le guerre saranno rese impossibili e le questioni nazionali saranno risolte solo quando il regime capitalista sarà stato sostituito dalla Repubblica Internazionale Comunista.

7 . - Sotto un terzo aspetto, il comunismo si presenta come il superamento dei sistemi di socialismo utopistico che proponevano di eliminare i difetti della organizzazione sociale mediante piani completi di nuove costituzioni della società, la cui possibilità di realizzazione non era in alcun modo messa in rapporto al reale svolgimento della storia ed era affidata alle iniziative di potentati o all'apostolato di filantropi.

8 . - La elaborazione da parte del proletariato di una propria interpretazione teorica della società e della storia, che sia guida della sua azione contro i rapporti di vita del mondo capitalistico, dà luogo continuamente al sorgere di scuole o tendenze più o mene influenzate dalla immaturità stessa delle condizioni della lotta e dai più svariati pregiudizi borghesi. Da ciò conseguono errori ed insuccessi dell'azione proletaria; ma è con questo materiale di esperienza che il movimento comunista giunge a precisare la dottrina e la tattica in lineamenti sempre più chiari, differenziando nettamente e combattendo apertamente tutte le altre correnti che si agitano nel seno stesso del proletariato.

9 . - La costituzione di aziende cooperative di produzione, nelle quali il capitale appartiene agli operai che vi lavorano, non può costituire una via per la soppressione del sistema capitalistico, in quanto l'acquisto delle materie prime e il collocamento dei prodotti si svolgono in tali aziende secondo le leggi dell'economia privata, e sullo stesso capitale collettivo di esse finisce per esercitarsi il credito e quindi il controllo del capitale privato.

10 . - Le organizzazioni economiche professionali non possono essere considerate dai comunisti né come organi sufficienti alla lotta per la rivoluzione proletaria, né come organi fondamentali dell'economia comunista.L'organizzazione in sindacati professionali vale a neutralizzare la concorrenza tra gli operai dello stesso mestiere e impedisce la caduta dei salari ad un livello bassissimo, ma, come non può giungere alla eliminazione del profitto capitalistico, così non può nemmeno realizzare l'unione dei lavoratori di tutte le professioni contro il privilegio del potere borghese. D'altra parte il semplice passaggio della proprietà delle aziende dal padrone privato al sindacato operaio non realizzerebbe i postulati economici del comunismo, secondo il quale la proprietà deve essere trasferita a tutta la collettività proletaria, essendo questa l'unica via per eliminare i caratteri dell'economia privata nell'appropriazione e ripartizione dei prodotti.
I comunisti considerano il sindacato come il campo di una prima esperienza proletaria, che permette al lavoratori di procedere oltre, verso il concetto e la pratica della lotta politica il cui organo è il partito di classe.

11 . - È in genere un errore credere che la rivoluzione sia un problema di forma di organizzazione dei proletari secondo gli aggruppamenti che essi formano per la loro posizione e i loro interessi nei quadri del sistema capitalistico di produzione.  Non è quindi una modifica della struttura di organizzazione economica che può dare al proletariato il mezzo efficace per la sua emancipazione.  I sindacati d'azienda o consigli di fabbrica sorgono quali organi per la difesa degli interessi dei proletari delle varie aziende, quando comincia ad apparire possibile il limitare l'arbitrio capitalistico nella gestione di esse. L'acquisto da parte di tali organismi di un più o meno largo diritto di controllo sulla produzione non è però incompatibile col sistema capitalistico e potrebbe essere per questo una risorsa conservativa.  Lo stesso passaggio ad essi della gestione delle aziende non costituirebbe (analogamente a quanto si è detto per i sindacati) l'avvento del sistema comunistico. Secondo la sana concezione comunistica il controllo operaio sulla produzione si realizzerà solo dopo l'abbattimento del potere borghese come controllo di tutto il proletariato unificato nello Stato dei consigli sull'andamento di ciascuna azienda; e la gestione comunistica della produzione sarà la direzione di essa in tutti i suoi rami e le sue unità da parte di razionali organi collettivi che rappresenteranno gli interessi di tutti i lavoratori associati nell'opera di costruzione del Comunismo.

12 . - I rapporti capitalistici di produzione non possono venire alterati dall'intervento degli organi del potere borghese.  Perciò, il passaggio di intraprese private allo stato o alle amministrazioni locali non corrisponde minimamente al concetto comunista. Tale passaggio è sempre accompagnato dal pagamento del valore capitale delle aziende all'antico possessore che conserva così integro il suo diritto di sfruttamento; le aziende stesse seguitano a funzionare come aziende private nei quadri dell'economia capitalistica; esse divengono spesso mezzi opportuni per l'opera di conservazione e di difesa di classe che svolge lo stato borghese.

13 . - Il concetto che lo sfruttamento capitalistico del proletariato possa venire gradualmente attenuato e quindi eliminato con l'opera legislativa e riformatrice delle attuali istituzioni politiche, sollecitata dai rappresentanti in esse del partito proletario od anche da agitazioni delle masse, conduce solo a rendersi complici della difesa che la borghesia fa dei suoi privilegi, cedendo talvolta apparentamento una minima parte di essi per tentare di placare l'insofferenza delle masse e deviare i loro sforzi rivoluzionari contro i fondamenti del regime capitalistico.

14 . - La conquista del potere politico da parte del proletariato, anche considerato come scopo integrale dell'azione, non può essere raggiunta attraverso la maggioranza degli organismi elettivi borghesi.  La borghesia, a mezzo degli organi esecutivi dello stato, suoi diretti agenti, assicura molto facilmente la maggioranza degli organi elettivi al suoi mandatari o agli elementi che, per penetrarvi individualmente o collettivamente, sono caduti nel suo gioco e sotto la sua influenza. Inoltre la partecipazione a tali istituti comporta l'impegno di rispettare i cardini giuridici e politici della costituzione borghese. Il valore puramente formale di tale impegno e tuttavia sufficiente a liberare la borghesia perfino dal lieve imbarazzo dell'accusa di illegalità formale, quando essa ricorrerà logicamente a servirsi dei suoi mezzi reali di difesa armata prima di consegnare il sue potere e lasciare infrangere la sua macchina burocratica e militare di dominio.

15 . - Riconoscere la necessità della lotta insurrezionale per la presa del potere, ma proporre che il proletariato eserciti il suo potere concedendo alla borghesia una rappresentanza nei nuovi organismi politici (assemblee costituenti o combinazioni di queste col sistema dei consigli operai), è anche un programma inaccettabile e contrastante col concetto centrale comunistico della dittatura proletaria. Il processo di espropriazione della borghesia sarebbe immediatamente compromesso ove ad essa rimanessero addentellati per influire comunque nella costituzione delle rappresentanze dello stato proletario espropriatore. Ciò permetterebbe alla borghesia di utilizzare le influenze che inevitabilmente le resteranno in forza della sua esperienza e preparazione tecnica ed intellettuale, per innestarvi la sua attività politica tendente al ristabilimento del suo potere in una controrivoluzione. Le stesse conseguenze avrebbe ogni preconcetto democratico circa la parità di trattamento che il potere proletario dovrebbe usare al borghesi nei riguardi della libertà di associazione, di propaganda e di stampa.

16 . - Il programma di un'organizzazione di rappresentanze politiche, basate su deleghe delle varie categorie professionali di tutte le classi sociali, non è neanche un avviamento formale al sistema dei consigli operai perché questo è caratterizzato dalla esclusione dei borghesi dal diritto elettorale, e il suo organismo centrale non è designato per professione ma per circoscrizioni territoriali. La forma di rappresentanza in parola rappresenta piuttosto uno stadio inferiore alla stessa democrazia parlamentare attuale.

17 . - Profondamente contrastante con le concezioni comuniste è l'anarchismo, che tende alla instaurazione immediata di una società senza stato e senza organamento politico, e che nella economia futura ravvisa il funzionamento autonomo di unità produttive, negando ogni centro organizzatore e regolatore delle attività umane nella produzione e nella distribuzione. Una tale concezione è vicina a quella della economia privata borghese, e resta estranea al contenuto essenziale del comunismo. Inoltre l'eliminazione immediata dello stato come apparecchio di potere politico equivale alla non resistenza alla controrivoluzione, oppure presuppone la immediata abolizione delle classi, la cosiddetta espropriazione rivoluzionaria contemporanea all'insurrezione contro il potere borghese. Una tale possibilità non esiste nemmeno lontanamente, per la complessità del compito proletario nella sostituzione dell'economia comunista a quella attuale e per la necessità che tale processo sia diretto da un organismo centrale che coordini in sé l'interesse generale del proletariato subordinando a questo tutti gli interessi locali e particolari il cui gioco è la maggior forza di conservazione del capitalismo. 

III.

1 . - La concezione comunista e il determinismo economico non fanno affatto dei comunisti gli spettatori passivi del divenire storico, ma anzi ne fanno degli infaticabili lottatori; la lotta e l'azione diverrebbero però inefficaci se si distaccassero dalle risultanze della dottrina e dell'esperienza critica comunista.

2 . - L'opera rivoluzionaria dei comunisti si fonda sulla organizzazione in partito dei proletari che uniscono alla coscienza dei principi comunisti la decisione di consacrare ogni loro sforzo alla causa della rivoluzione.  Il partito, internazionalmente organizzato, funziona sulla base della disciplina alle decisioni delle maggioranze e degli organi centrali designati da queste a dirigere il movimento.

3 . - Attività fondamentali del partito sono la propaganda e il proselitismo, basato, per l'ammissione dei nuovi aderenti, sulle maggiori garanzie. Pur basando il successo della propria azione sulla diffusione dei suoi principi e delle sue finalità, e pur lottando nell'interesse della immensa maggioranza della società, il movimento comunista non fa del consenso della maggioranza una condizione pregiudiziale per la propria azione. Criterio sull'opportunità di eseguire azioni rivoluzionarie è la valutazione obiettiva delle forze proprie e di quelle avversarie, nei loro complessi coefficienti di cui il numero non è l'unico né il più importante.

4 . - Il partito comunista svolge un intenso lavoro interno di studio e di critica, strettamente collegato all'esigenza dell'azione ed all'esperienza storica, ad operandosi ad organizzare su basi internazionali tale lavoro. All'esterno esso svolge in ogni circostanza e con tutti i mezzi possibili l'opera di propaganda delle conclusioni della propria esperienza critica e di contraddizione alle scuole ed al partiti avversari. Soprattutto il partito esercita la sua attività di propaganda e di attrazione tra le masse proletarie, specie nelle circostanze in cui esse si mettono in moto per reagire alle condizioni loro create dal capitalismo, ed in seno agli organismi che i proletari formano per proteggere i loro interessi immediati.

5 . - I comunisti penetrano quindi nelle cooperative proletarie, nei sindacati, nei consigli di azienda, costituendo in essi gruppi di operai comunisti, cercando di conquistarvi la maggioranza e le cariche direttive, per ottenere che la massa di proletari inquadrata in tali associazioni subordini la propria azione alle più alte finalità politiche e rivoluzionarie della lotta per il comunismo.

6 . - Il partito comunista invece si mantiene estraneo a tutte le istituzioni ed associazioni nelle quali proletari e borghesi partecipano allo stesso titolo o, peggio, la cui direzione e patronato appartiene al borghesi (società di mutuo soccorso, di beneficenza, scuole di cultura, università popolari, associazioni massoniche, ecc.) e cerca di distaccarne i proletari combattendone razione e l'influenza.

7 . - La partecipazione alle elezioni per gli organismi rappresentativi della democrazia borghese e l'attività parlamentare, pur presentando in ogni tempo continui pericoli di deviazione, potevano essere utilizzati per la propaganda e la formazione del movimento nel periodo in cui, non delineandosi ancora la possibilità di abbattere il dominio borghese, il compito del partito si limitava alla critica ed alla opposizione. Nell'attuale periodo aperto dalla fine della guerra mondiale, dalle prime rivoluzioni comuniste e dal sorgere della Terza Internazionale, i comunisti pongono come obiettivo diretto dell'azione politica del proletariato di tutti i paesi la conquista rivoluzionaria del potere, alla quale tutte le forze e tutta l'opera di preparazione devono essere dedicate.
In questo periodo è inammissibile ogni partecipazione a quegli organismi che appaiono come un potente mezzo difensivo borghese destinato ad agire tra le file stesse del proletariato, e in antitesi alla struttura e alla funzione dei quali i comunisti sostengono il sistema dei consigli operai e la dittatura proletaria.Per la grande importanza che praticamente assume l'azione elettorale, non è possibile conciliarla con l'affermazione che essa non è il mezzo per giungere allo scopo principale dell'azione del partito: la conquista del potere; né è possibile evitare che essa assorba tutta l'attività del movimento distogliendolo dalla preparazione rivoluzionaria.

8 . - La conquista elettorale dei comuni e delle amministrazioni locali, mentre presenta in misura maggiore gli stessi inconvenienti del parlamentarismo, non può essere accettata come un mezzo di azione contro il potere borghese sia perché tali organi non sono investiti di reale potere, ma soggiacciono a quello della macchina statale; sia perché un tale metodo, se pure può oggi dare qualche imbarazzo alla borghesia dominante, affermando il principio dell'autonomia locale, antitetico al principio comunista della centralizzazione dell'azione, preparerebbe un punto di appoggio per la borghesia nel contrastare lo stabilirsi del potere proletario.

9 . - Nel periodo rivoluzionario tutti gli sforzi dei comunisti sono volti a rendere intensa ed efficace l'azione delle masse. I comunisti integrano la propaganda e la preparazione con grandi e frequenti manifestazioni proletarie specie nei grandi centri e cercano di utilizzare i movimenti economici per dimostrazioni a carattere politico in cui il proletariato riafferma e rinsalda il suo proposito di rovesciare il potere della borghesia.

10. Il partito comunista porta la sua propaganda nelle file dell'esercito borghese. L'antimilitarismo comunista non si basa su di uno sterile umanitarismo, ma ha per scopo di convincere i proletari che la borghesia li arma per difendere i suoi interessi e per servirsi della loro forza contro la causa del proletariato.

11 . - Il partito comunista si allena ad agire come uno stato maggiore dei proletariato nella guerra rivoluzionaria; esso perciò prepara ed organizza una propria rete di informazioni e di comunicazioni; esso sostiene ed organizza soprattutto l'armamento del proletariato.

12 . - Il partito comunista non addiviene ad accordi o alleanze con altri movimenti politici che abbiano comune con esso un determinate obiettivo contingente, ma ne divergano nel programma di azione posteriore. È da respingersi anche il criterio di allearsi con tutte quelle tendenze proletarie che accettano l'azione insurrezionale contro la borghesia (il cosiddetto fronte unico), ma dissentono dal programma comunista nello svolgimento dell'azione ulteriore.
Non è da considerarsi una condizione favorevole l'aumento delle forze miranti al rovesciamento del potere borghese quando restino insufficienti le forte indirizzate alla costituzione del potere proletario sulle direttive comuniste, che sole possono assicurarne la durata ed il successo.

13 . - I soviety o consigli degli operai, contadini e soldati costituiscono gli organi del potere proletario e non possono esercitare la loro vera funzione che dopo l'abbattimento dei dominio borghese.I soviety non sono per se stessi organi di lotta rivoluzionaria; essi divengono rivoluzionari quando la loro maggioranza è conquistata dal partito comunista.  I consigli operai possono sorgere anche prima della rivoluzione, in un periodo di crisi acuta in cui il potere dello stato borghese sia messo in serio pericolo.  L'iniziativa della costituzione dei soviety può essere una necessità per il partito in una situazione rivoluzionaria, ma non è un mezzo per provocare tale situazione.
Se il potere della borghesia si rinsalda, il sopravvivere dei consigli può presentare un serio pericolo per la lotta rivoluzionaria, quello cioè della conciliazione e combinazione degli organi proletari con gli istituti della democrazia borghese.

14 . - Ciò che distingue i comunisti non è di proporre in ogni situazione ed in ogni episodio della lotta di classe la immediata scesa in campo di tutte le forze proletarie per la sollevazione generale, bensì di sostenere che la fase insurrezionale è lo sbocco inevitabile della lotta e di preparare il proletariato ad affrontarla in condizioni favorevoli per il successo e per l'ulteriore sviluppo della rivoluzione. A seconda delle situazioni che il partito può meglio giudicare del restante proletariato, esso può, quindi, trovarsi nella necessità di agire per precipitare o dilazionare l'urto definitivo.
In ogni caso è compito specifico del partito combattere tanto coloro che col precipitare ad ogni costo l'azione rivoluzionaria potrebbero spingere il proletariato al disastro, quanto gli opportunisti che sfruttano le circostanze che sconsigliano l'azione a fondo per creare arresti definitivi nel moto rivoluzionario, disperdendo verso altri obbiettivi l'azione delle masse, che invece il partito comunista deve sempre più condurre sul terreno della efficace preparazione alla immancabile, finale lotta armata contro le difese del principio borghese.

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