(«Avanti!» del 24-11-1917)

 

Se riproduciamo questo noto articolo di Gramsci, di cui però i suoi se­guaci non amano molto parlare, é soprattutto per deplorare che nell’«Avanti!» esso fosse inserito senza nulla obiettare all’interpretazione della Rivoluzione russa secondo la quale essa fu fatta «contro il Capitale di Carlo Marx» (che sarebbe stato in Russia «il libro dei  borghesi più che dei prole­tari»), «i bolscevichi rinnegano Carlo Marx», ed altre perle del genere.

L’articolo interessa anche perché definisce lo stato originario della ideo­logia di Gramsci nel momento in cui la sua mente e la sua intelligenza erano irresistibilmente trascinate dagli eventi giganteschi di Russia.

Non va dimenticato che la partenza lungo l’orbita che le opinioni di Gramsci descrissero era ancora più in là, in una posizione nettamente favorevole alla guerra dell’Intesa e all’intervento dell’Italia in essa in nome della civiltà democratica.

Qui Gramsci mostra ignorare del tutto il fatto che i bolscevichi russi rivendicano come propria dottrina il marxismo e luminosamente dimostrano che è una posizione borghese quella secondo cui si debba attendere in Russia una fase capitalistica prima di sollevare in armi il proletariato.

Gramsci ammette una certa sua versione del materialismo storico mar­xista, ma a condizione che vi si legga uno sviluppo dell’idealismo italiano e germanico, che Marx avrebbe non già capovolto ma contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche! Questo concetto tutt’affatto etero­dosso del marxismo conduce il Gramsci a fare proprio qui l’elogio di una civiltà sociale che non è altro che quella della pura ideologia borghese. Suc­cessivamente si può leggere quale tipo di volontarismo fosse quello di Gramsci, e come egli lo prestasse a torto ai dirigenti della Rivoluzione russa in atto. Traspare da questa costruzione una visione del determinismo economico del tutto peculiare e grezza, e in lenta evoluzione verso una seria posizione classista. Lasciamo al lettore lo studio dell’interessante documento.

 

 

 

La rivoluzione dei bolscevichi si é definitivamente innestata nella rivo­luzione generale del popolo russo. I massimalisti che erano stati fino a due mesi fa il fermento necessario perché gli avvenimenti non stagnassero, perché la corsa verso il futuro non si fermasse, dando luogo ad una forma definitiva di assestamento - che sarebbe stato un assestamento borghese - si sono impadroniti del potere, hanno stabilito la loro dittatura, e stanno elaborando le forme socialiste in cui la rivelazione dovrà finalmente adagiarsi per continuare a svilupparsi armonicamente, senza troppo grandi urti, partendo dalle grandi conquiste realizzate ormai.

La rivoluzione dei bolscevichi è materiata di ideologie più che di fatti (Perciò, in fondo, poco ci importa sapere più di quel che sappiamo.) Essa è la rivoluzione contro il Capitale di Carlo Marx. Il Capitale di Marx era in Russia il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un’era capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale, prima che il proletariato potesse neppure pensare al)a sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideo­logie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico. I bolscevichi rinnegano Carlo Marx, affermano con la testimonianza dell’azione esplicata, delle conquiste realizzate, che i canoni del materiali­smo storico non sono così ferrei come si potrebbe pensare e si é pensato.

Eppure é una fatalità anche in questi avvenimenti, e se i bolscevichi rinnegano alcune affermazioni del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore. Essi non sono «marxisti», ecco tutto; non hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore, di affermazioni dogmatiche e indiscutibili. Vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai, che é la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco, e che in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturali­stiche. E questo pensiero pone sempre come massimo fattore di storia non i fatti economici, bruti, ma l’uomo, ma la società degli uomini, degli uomini che si accostano fra di loro, si intendono fra di loro, sviluppano attraverso questi contatti (civiltà) una volontà sociale, collettiva, e comprendono i fatti economici e li giudicano, e li adeguano alla loro volontà, finché questa diventa la motrice dell’economia, la plasmatrice della realtà oggettiva, che vive, e si muove, e acquista carattere di materia tellurica in ebollizione, che può essere incanalata dove alla volontà piace, come alla volontà piace.

Marx ha previsto il prevedibile. Non poteva prevedere la guerra europea, o meglio non poteva prevedere che questa guerra avrebbe avuto la durata e gli effetti che ha avuto. Non poteva prevedere che questa guerra, in tre anni di sofferenze indicibili, di miserie indicibili, avrebbe suscitato in Russia la volontà collettiva popolare che ha suscitata. Una volontà di tal fatta nor­malmente ha bisogno per formarsi di un lungo processo di infiltrazioni ca­pillari; di una serie di esperienze dl classe. Gli uomini sono pigri, hanno bisogno di organizzarsi, prima esteriormente, in corporazioni, in leghe, poi intimamente, nel pensiero, nelle volontà [...?] di una incessante continuità e molteplicità di stimoli esteriori. Ecco perché, normalmente, i canoni di critica storica del marxismo colgono la realtà, la irretiscono e la rendono evidente e distinta. Normalmente é attraverso la lotta di classe sempre più intensificata, che le due classi del mondo capitalistico creano la storia. Il proletariato sente la sua miseria attuale, é continuamente in stato di disagio e preme sulla borghesia per migliorare le sue condizioni. Lotta, obbliga la borghesia a migliorare la tecnica della produzione, a rendere più utile la produzione perché sia possibile il soddisfacimento dei suoi bisogni più ur­genti. È una corsa affannosa verso il meglio, che accelera il ritmo della produzione, che dà continuo incremento alla somma di beni che serviranno alla collettività. E in questa corsa molti cadono, e rendono più urgente il desiderio dei rimasti, e la massa é sempre in sussulto, e da caos-popolo di­venta sempre più ordine nel pensiero, diventa sempre più cosciente della propria potenza, della propria capacità ad assumersi la responsabilità sociale, a diventare l’arbitro dei propri destini.

Ciò normalmente. Quando i fatti si ripetono con un certo ritmo. Quando la storia si sviluppa per momenti sempre più complessi e ricchi di signifi­cato e di valore, ma pure simili. Ma in Russia la guerra ha servito a spol­trire le volontà. Esse, attraverso le sofferenze accumulate in tre anni, si sono trovate all’unisono molto rapidamente. La carestia era imminente, la fame, la morte per fame poteva cogliere tutti, maciullare di un colpo diecine di milioni di uomini. Le volontà si sono messe all’unisono, meccanicamente prima, attivamente, spiritualmente dopo la prima rivoluzione.

La predicazione socialista ha messo il popolo russo a contatto con le esperienze degli altri proletariati. La predicazione socialista fa vivere dram­maticamente in un istante la storia del proletariato, le sue lotte contro il capitalismo, la lunga serie degli sforzi che deve fare per emanciparsi ideal­mente dai vincoli del servilismo che lo rendevano abietto, per diventare coscienza nuova, testimonio attuale in un mondo da venire. La predicazione socialista ha creato la volontà sociale del popolo russo. Perché dovrebbe egli aspettare che la storia dell’Inghilterra si rinnovi in Russia, che in Russia si formi una borghesia, che la lotta di classe sia suscitata, perché nasca la coscienza di classe e avvenga ugualmente la catastrofe del mondo capitalistico? Il popolo russo é passato attraverso queste esperienze col pen­siero, e sia pure col pensiero di una minoranza. Ha superato queste espe­rienze. Se ne serve per affermarsi ora, come si servirà delle esperienze capitalistiche occidentali per mettersi in breve tempo all’altezza di produ­zione del mondo occidentale. L’America del Nord è capitalisticamente più progredita dell’Inghilterra, perché nell’America del Nord gli anglosassoni hanno incominciato di un colpo dallo stadio cui l’Inghilterra era arrivata dopo lunga evoluzione. Il proletariato russo, educato socialisticamente, inco­mincerà la sua storia dallo stadio massimo di produzione cui è arrivata l’In­ghilterra d’oggi, perché dovendo incominciare, incomincerà dal già per­fetto altrove, e da questo perfetto riceverà l’impulso a raggiungere quella maturità economica che secondo Marx é condizione necessaria del collet­tivismo. I rivoluzionari creeranno essi stessi le condizioni necessarie per la realizzazione completa e piena del loro ideale. Le creeranno in meno tempo di quanto avrebbe fatto il capitalismo.

Le critiche che i socialisti hanno fatto al sistema borghese per metterne in evidenza le imperfezioni, le dispersioni di ricchezza serviranno ai rivo­luzionari per fare meglio, per evitare quelle dispersioni, per non cadere in quelle deficienze.

Sarà in principio il collettivismo della miseria, della sofferenza. Ma le stesse condizioni di miseria e di sofferenza sarebbero ereditate da un regime borghese. Il capitalismo non potrebbe far subito in Russia più di quanto potrà fare il collettivismo. Farebbe oggi molto meno, perché avrebbe subito di contro un proletariato scontento, frenetico, incapace ormai di sopportare per altri anni i dolori e le amarezze che il disagio economico porterebbe.

Anche da un punto di vista assoluto, umano, il socialismo immediato ha in Russia la sua giustificazione. La sofferenza che terrà dietro alla pace potrà essere solo sopportata in quanto i proletari sentiranno che sta nella loro volontà, nella loro tenacia al lavoro, di sopprimerla nel minor tempo possibile.

Si ha l'impressione che i massimalisti siano stati in questo momento la espressione spontanea, biologicamente necessaria, perché l’umanità russa non cada nello sfacelo più orribile, perché l’umanità russa, assorbendosi nel lavoro gigantesco, autonomo, della propria rigenerazione, possa sentir meno gli stimoli del lupo affamato e la Russia non diventi un carnaio enorme di belve che si sbranano a vicenda.

 

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