(« Il Soviet », n, 25 del 15-6-1919)

 

Questo testo sviluppa il precedente e i suoi fondamentali concetti storici. Esso dimostra che ogni rivoluzione vince quando non é condotta da un affasciamento tra movimenti a diverso programma politico, ma ha alla testa il Partito unico ed omogeneo che sa possedere la prospettiva pratica del cammino storico - in virtù di una dottrina per lunghi anni professata - ed é quindi l'unico che può mettersi alla testa delle masse in ebollizione, e, contro le deficienze e le colpe di tutti gli altri, condurle alla vittoria.

 

 

 

Giungevamo - nell'articolo del numero scorso - alla conclusione che il problema dell'unità proletaria sindacale si riduce a quello della collaborazione tra le varie correnti politiche che s'incontrano nelle file del proletariato.

Oggi questa collaborazione politica, più o meno estesa, viene da molte parti invocata ed ha già trovata la formula in cui compendiarsi: «il fronte unico rivoluzionario».

Noi crediamo che questo nuovo fronte unico non abbia maggiore ragion d'essere e maggior fortuna di quello… degli alleati, che non ha accelerato di un'ora la sconfitta della Germania e, forse, l'ha ritardata, e non ha evitato, all'indomani della vittoria, il conflitto tra i vincitori.

Il sistema di associarsi nell'azione prescindendo dalle differenze di programmi é un luogo comune che incontra molto favore, specie se associato alle abituali declamazioni contro le teoriche, ma esso non é che un motivo demagogico peggiore di molti altri, e suscettibile di introdurre nell'azione maggior confusione, ma non maggiore efficacia.

Ogni partito ha una visione propria degli svolgimenti storici dell'avvenire, e la sua forza dipende dal progressivo realizzarsi o meno delle sue concezioni programmatiche. Caratteristica della politica borghese e piccolo-borghese é l'affasciamento transitorio di partiti per raggiungere determinate realizzazioni, ed in genere il pregiudizio che su ogni questione agitata nella vita sociale tutti gli elementi politici debbano aggrupparsi in non più di due avverse alleanze.

Caratteristica del movimento politico del proletariato è invece il possesso di un metodo preciso e diritto che è nello stesso tempo - inseparabilmente - il risultato di una indagine critica e un programma d'azione.

Ciò che importa per il trionfo della causa della classe lavoratrice, per la migliore eliminazione di tutti gli elementi interni negativi che potrebbero incepparla, è il concentramento delle forze proletarie in un partito politico i cui sviluppi programmatici e il cui indirizzo tattico non presentino contraddizioni con l'effettivo svolgimento storico della lotta. L'affasciamento di tutto il proletariato in un organismo sindacale unitario - indipendentemente dalle varie scuole politiche che seguirebbero i suoi membri - non risolve il problema se, come sostenemmo, non è l'organismo sindacale il protagonista della lotta rivoluzionaria ed il gestore del nuovo regime sociale.

La prima tendenza politica delle tre che per semplicità consideriamo, l'operaismo riformista, ha nella sua concezione programmatica la evoluzione graduale del regime capitalistico verso quello socialista senza conflitti violenti e nell'ambiente di una democrazia generica che esclude la lotta armata delle classi e la dittatura della classe lavoratrice. I riformisti perseguono dunque una serie di conquiste da realizzare mentre ancora il potere è nelle mani della borghesia, e sostengono che se anche la maggioranza proletaria avesse il sopravvento dovrebbe riconoscere i diritti politici alla minoranza borghese fino alla sua eliminazione economica graduale.

Tale concetto é utopistico, poiché lo svolgimento degli avvenimenti contemporanei converge con la critica massimalista nel provare che l'urto delle classi é inevitabile e che nelle mani della minoranza borghese il diritto politico equivale al dominio della società.

Allearsi con i fautori di tale programma equivale dunque a calcolare, per sovvertire la borghesia, sulle forze che indubbiamente tendono a sorreggerla.

L'altra tendenza, quella anarchica sindacalista, è nella realtà in quanto vede la necessità dell'urto rivoluzionario tra le classi, ma il suo programma contrasta in tutto lo svolgimento posteriore con l'unica via di realizzazione dell'emancipazione proletaria - va a finire cioè in un'altra utopia.

Una parte degli anarchici nega la dittatura del proletariato all'indomani della caduta dello Stato borghese, nega la necessità di un governo rivoluzionario. L'anarchismo vede nella classe borghese un nemico da annientare finché é al potere e conculca la libertà delle masse, ma la sua concezione dei rapporti tra gli individui non può tollerare che gli individui di quella classe, dopo la caduta del suo potere, siano messi in una condizione non di eguaglianza, ma di inferiorità rispetto agii altri individui.

Questo concetto della dittatura - che non é incidentale ma sostanziale nel sistema marxista, come può dirsi incidentale in esso il concetto di democrazia, sostanziale nel pensiero borghese - é respinto dall'anarchismo o assai limitatamente accettato, in quanto esso vede nella effettiva trasformazione tecnico-economica della produzione un fatto quasi coincidente col breve e convulsionario periodo del rovesciamento del potere borghese.

L'assetto della società non diremo definitivo, ma succedente alla effettiva eliminazione di ogni forma di privata proprietà dei mezzi di produzione, è poi concepito dagli anarchici come mancante di ogni amministrazione direttiva centrale, e gestito vuoi dai sindacati, vuoi dai gruppi autonomi di produttori, mentre il socialismo è appunto caratterizzato dalla organizzazione e direzione centrale delle attività economiche, che manca al regime borghese.

Sono differenze sostanziali, e non certo gli anarchici le negano. Ma, dicono taluni, le differenze vengono dopo e non prima - quindi nulla impedisce di associarsi ora nell'azione.

Questo è un ragionamento - sia esso fatto da un socialista o da un anarchico - completamente minimalista. È infatti caratteristica del riformismo il compromettere l'avvenire per facilitare le conquiste che cadono nell'immediato nostro raggio visivo.

Se noi siamo convinti che il processo anarchico della rivoluzione non è realizzabile, dobbiamo riconoscere che é pericoloso farlo credere realizzabile associandoci agli anarchici in una unione che tende ad obliterare la nostra critica al loro indirizzo.

Il problema é teorico: cioè é un importantissimo problema pratico di domani. Il governo socialista succedente alla rivoluzione sarà ostacolato dalle correnti anarchiche, negatrici di ogni forma di potere, che tenteranno anche le espropriazioni dirette indipendentemente dai successivi deliberati del nuovo potere.

Questa sarà una seria difficoltà per l'effettivo successo della rivoluzione: e la precedente eventuale alleanza tra socialisti ed anarchici avvalorerà enormemente la loro critica dinanzi alle masse, sempre propense per l'atavismo del servaggio borghese a credersi tradite.

È quindi necessario chiarire fin da ora tutto il complesso svolgimento del processo rivoluzionario. E se noi siamo convinti che questo proceda come nella concezione marxista e negli esempi di Russia e di Ungheria, rappresentando l'unica possibilità esistente nella situazione di superare l'epoca del dominio capitalistico, ogni concessione a metodi diversi ed irreali, dobbiamo coraggiosamente dichiararlo, equivale a fare opera controrivoluzionaria.

È perciò che noi vediamo la soluzione del problema di rendere massima l'efficienza rivoluzionaria del proletariato (cioè affrettare la caduta della borghesia, ma anche rendere impossibile il fallimento del nuovo regime) non nella creazione di un blocco di correnti che si dichiarino rivoluzionarie, ma nella formazione di un movimento omogeneo che enuclei un programma preciso, concreto ed attuabile in tutte le successive sue fasi - essendo disposti a considerare rivoluzionario solo un programma che risponda a tale requisito.

Nell'ora decisiva il proletariato sarà tutto su quella via.

 

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