DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Il conflitto che ha opposto lo stato cileno alla piccola borghesia dei trasporti, e non soltanto ad essa, e che il presidente Allende può credere di aver risolto imbarcando nel carrozzone governativo due generali, rimette in chiara luce la questione dell'alleanza del proletariato con le classi medie, dissipa le illusioni che tutti i "fronti popolari" hanno il compito essenziale di alimentare, e svela, se ve ne fosse ancora bisogno, il loro ruolo controrivoluzionario.

La posizione rivoluzionaria

Per il partito marxista, la questione è posta in modo inequivocabile: il proletariato rivoluzionario non può garantire la proprietà della piccola borghesia e promettere il libero sviluppo della sua produzione, che costituisce la base stessa del capitalismo. Il socialismo si propone al contrario di liberare l'umanità da ogni sorta di proprietà, grande o piccola, perché è il solo modo di abolire la schiavitù salariale. È vero che, in quest'opera di emancipazione, la rivoluzione socialista ucciderà il vampiro capitalista che si nutre egualmente del lavoro di molteplici strati piccolo-borghesi; e che, in tal modo, li libererà dall'oppressione cui questi ultimi sono soggetti. È dunque vero che, obiettivamente, questi strati hanno interesse alla rivoluzione proletaria, come è altrettanto vero che i comunisti si sono sempre sforzati di trascinare al proprio seguito e riunire intorno al proprio programma i semiproletari delle città e delle campagne, contadini o artigiani rovinati, che spesso vivono in modo ancor più miserabile del proletariato propriamente detto. Conquistato il potere, il proletariato rivoluzionario libererà immediatamente del peso dei suoi debiti la piccola borghesia decaduta, in qualche caso distribuirà la terra ai contadini poveri, incorporerà tutta la mano d'opera disponibile nel sistema di produzione diretto centralmente dal potere comunista, in modo da liberare i lavoratori dall'antica schiavitù salariale.

Ma un simile programma non si rivolge ai piccoli borghesi "arrivati", che il partito marxista si sforza tutt'al più di neutralizzare. Nel Cile, per esempio, si contano 730 mila "lavoratori indipendenti", artigiani, piccoli e medi coltivatori, imprenditori del commercio e dei trasporti, la metà dei quali non guadagna molto di più degli operai. È a questa metà che la realizzazione del programma proletario e comunista assicurerebbe, in caso di vittoria rivoluzionaria, la sopravvivenza immediata, grazie a radicali interventi nei rapporti di proprietà borghese.

Certo, in date condizioni, come nella Russia arretrata del 1920, i comunisti hanno dovuto tollerare e subire uno sviluppo dell'economia piccolo-borghese (NEP) per conservare il potere politico e fornire aiuto alla rivoluzione mondiale, ma non hanno mai teorizzato quella che non era una "via originale" al socialismo, ma semplicemente uno sviluppo dell'economia mercantile indispensabile per la ripresa di un'economia non soltanto immatura per il socialismo, ma completamente sconvolta e rovinata. Il partito marxista non si rifiuta quindi di utilizzare il potenziale di aggressività anticapitalistica dei ceti medi poveri e sfruttati, di cui d'altra parte è il solo in grado di migliorare le sorti. Ma non fa nessuna concessione alle bramosie ed illusioni dei piccoli borghesi legati alla loro proprietà privata e se, nelle difficili condizioni di un paese arretrato, è costretto a rinunciare a qualcosa, non è per rispetto verso "diritti acquisiti", ma al solo fine di mantenere il potere politico e così poter continuare la lotta per la rivoluzione internazionale.

Illusioni e tradimenti dei riformisti

Tutt'altro significato ha per i partiti operai borghesi, nel Cile come altrove, l'alleanza del proletariato con le classi medie. Zelanti servitori della proprietà, dell'ordine e della legge, essi non hanno alcun desiderio di abolire il capitalismo. Ciò non impedisce loro di attirare degli operai, ma anche là dove la classe operaia è più numerosa, essa non può offrir loro una base sufficiente, perché la politica riformista esercita, prima o poi, su alcune delle sue frazioni un effetto scostante. Essi cercano quindi l'appoggio della piccola borghesia ostile al grande capitale, e in cambio dei suoi voti le promettono prosperità e benessere, idealizzando in modo grossolano la sorte che il capitalismo le riserva. Per il fatto stesso del loro fondamentale conservatorismo, tuttavia, è agli strati superiori della piccola borghesia che essi si rivolgono; e, per attirarsene le simpatie, non esitano neppure a soffocare e reprimere le lotte operaie nelle piccole e medie aziende.

Nel Cile, la questione è importante, perché queste piccole e medie aziende, che assommano a 35 mila, occupano la maggioranza dei proletari. Ecco perché l'Unione popolare cilena si sforza di disarmare le lotte operaie predicando l'unità con la piccola borghesia ricca pur pretendendo che, se il proletariato non tiene ancora saldamente in mano il potere, vi è tuttavia sufficientemente "rappresentato".

I partiti operai borghesi non hanno però l'esclusività di questo interesse acuto per la piccola borghesia. La grande borghesia e i proprietari fondiari fanno a gara nel tentativo di attirarsi le simpatie di quelle classi medie che sole possono fornire il grosso delle truppe della reazione borghese. I dati sulla popolazione attiva nel Cile mostrano l'importanza della posta in gioco, perché 730 mila "lavoratori indipendenti" e 450 mila addetti al settore "terziario" vi fanno fronte a 1 milione di proletari nelle città e 700 mila nelle campagne. È per attirarli che la destra, il Partito nazionale, lancia fulmini e tuoni contro quello che chiama "il marxismo al potere", mentre è chiaro come il sole che si tratta soltanto di un volgare riformismo.

Finché Allende, i "socialisti" e il PC riusciranno a contenere le rivendicazioni del proletariato e dei contadini poveri "sviluppando la nazione" sulle loro spalle, la borghesia, che ha buon fiuto, li tollererà. Ma, se l'azione anticapitalista del proletariato dovesse prevalere sulla fraseologia di sinistra del governo, la reazione scenderebbe in campo armata fino ai denti. Questa possibilità turba necessariamente i sonni degli attuali governanti del Cile, che si sforzano di attenuare la crisi, ma sanno molto bene che né i loro sforzi di conciliazione né le teorie dei "socialisti" e comunisti" cileni sulla conquista pacifica dello Stato borghese hanno minimamente eliminato i pericoli di uno scontro con la destra. L'avvenire dipende dall'atteggiamento rispettivo del proletariato e delle classi medie. Se il primo passa all'offensiva sotto la spinta della crisi, bisognerà pure armare i ceti medi per sventare la minaccia. La destra e i riformisti rivaleggiano già in questa turpe bisogna. Fate che la piccola borghesia si sposti nel campo della destra, e la vittoria del "golpismo" è assicurata. Se invece sostiene l'Unione popolare, sarà in ogni caso il braccio armato della legalità borghese contro il proletariato e i contadini poveri. Per il proletariato, la controrivoluzione quindi ha un doppio volto: quello della grande borghesia e dei grandi proprietari fondiari, che attendono il minimo passo falso del governo di Unità popolare per passare all'azione e reprimere con la violenza il proletariato; quello del Fronte popolare, della sua ossessione legalitaria e di collaborazione di classe. Nella prima fase della crisi cilena, dopo il 1970, la piccola borghesia si è piuttosto orientata a sinistra e la grande borghesia si è trovata relativamente isolata. Ma, come mostrano gli avvenimenti recenti, la partita è lungi dell'essere chiusa.

"Presidente marxista" o democratico cristiano di sinistra?

Godendo dell'appoggio dei sei partiti dell'Unione popolare ("marxisti", cioè socialisti e nazionalcomunisti, e non "marxisti", cioè radicali, e democratici cristiani di sinistra), il presidente Allende è stato eletto il 4 settembre 1970 col 36.3 per cento dei voti. Si può dire che egli ha approfittato delle divisioni interne della destra e dell'indecisione dei ceti medi, giacché è proprio la Democrazia cristiana, rappresentante i settori dinamici della borghesia e della piccola borghesia, che ha permesso la sua conferma parlamentare alla presidenza della repubblica.

Contrasti cileni: un sedicente "presidente marxista" e un parlamento conservatore! Solo dei democratici incancreniti possono rallegrarsi di questo... "tiro mancino" del popolo alla borghesia. L'Unione popolare, in realtà, è nelle braccia della Democrazia cristiana, e vi si trova perfettamente a suo agio. La somiglianza fra i programmi delle due formazioni politiche è completa: lotta contro la disoccupazione, costruzioni in grande di case, riforma agraria "radicale", recupero di una parte determinante degli utili dell'industria estrattiva del rame da parte dello stato. Ma a questo bel piano si accompagna, con l'Unione popolare, un verbalismo rivoluzionario tagliato su misura per soddisfare il malcontento dei diseredati.

Certo, la Democrazia cristiana si è dimostrata incapace di applicare il suo programma di salvataggio della pace sociale: tutto ciò che ha raccolto fra il 1964 e il 1970 sotto la presidenza di Frei è l'aggravamento della miseria del popolo cileno e, dal 1967, la mobilitazione del proletariato e dei contadini poveri; ma l'Unione popolare non ha fatto e non farà molto di più e se, ciò malgrado, presenta un vantaggio agli occhi della borghesia, è unicamente quello della possibilità di rimettere per qualche tempo il proletariato cileno al lavoro. Se la borghesia ha accettato l'ascesa di Allende al potere, è perché non aveva scelta: la soluzione della crisi era possibile soltanto lanciando il paese in uno sviluppo capitalistico accelerato, e tale era appunto lo scopo delle riforme proposte dal presidente. Queste si sviluppano in tre direzioni:

  1. Concentrazione del capitale fondiario, eliminazione del latifondismo, aumento della produttività agricola. Per la borghesia, il vantaggio è triplice: riduzione delle importazioni di derrate alimentari che pesano sulla bilancia commerciale, mentre la terra cilena può nutrire una popolazione tre volte superiore all'attuale; apertura di un mercato interno all'industria locale; consolidamento di uno strato di medi proprietari molto produttivi, che sostengano la repubblica borghese e reagiscano energicamente alle pretese dei contadini poveri.
  2. Nazionalizzazione degli investimenti stranieri, soprattutto nelle miniere, alla quale pochissimi si sono opposti. Lo stesso parlamento cileno ha inforcato il cavallo antimperialista e denunziato all'unanimità il saccheggio delle "ricchezze nazionali" ad opera delle società Usa. La colossale rendita mineraria deve ormai passare nelle mani dello stato e servire agli "investimenti produttivi".
  3. Nazionalizzazione dei "150 monopoli" legati al capitale straniero che opprimevano letteralmente gli imprenditori cileni fornendo loro materie prime, attrezzature e crediti a tasso elevato, e comprandone la produzioni ai prezzi più bassi.

Non si può che sorridere di fronte alle dichiarazioni di Allende "sull'originalità delle vie cilene al socialismo", perché queste misure sono non solo specificamente borghesi, ma talmente necessarie alla borghesia per venire a capo della crisi, che esse si imporranno a tutti i partiti, di destra come di sinistra. Quando Allende dichiara: "Noi camminiamo senza guida su un terreno ignoto", noi rispondiamo: “Menzogna!”. Già nel 1964 la piccola e la media borghesia avevano fissato il programma dell'Unione popolare; già allora, la chiesa invitava il "popolo" a non "scegliere né il capitalismo né il collettivismo, ma una via democratica di riforme sociali", compresa una riforma agraria "conseguente". E non è forse questo il programma del "presidente marxista"? D'altronde, la chiesa ha dato l'esempio distribuendo le proprie terre...

Quanto alle nazionalizzazioni, già prima del 1970 il 40 per cento dell'industria cilena faceva parte del settore statizzato, avendo la borghesia perfettamente capito che il rilancio del capitalismo cileno presuppone un vigoroso impulso all'accumulazione del capitale di stato. Invano si cercherebbe in tutto ciò anche solo una briciola di "socialismo". La partecipazione del Pc e del Ps cileni al governo garantisce al contrario che uno sforzo massimo sarà fatto per incitare il proletariato a "vincere la battaglia della produzione" invece di sprecare le sue energie... nella lotta di classe.

La grande collera della piccola borghesia cilena

È duro da digerire per i piccoli borghesi, ma lo sviluppo capitalistico passa attraverso la loro eliminazione economica, più o meno rapida, secondo l'intensità dello sviluppo borghese. È questa una legge del mercato, della concorrenza, una legge del capitalismo del tutto insensibile alle promesse elettorali dei partiti operai borghesi.

Nel Cile, quelli che Marx chiamava "gli antagonismi secondari" fra gli interessi del capitale e quelli della piccola borghesia sono esplosi con violenza mostrando il carattere non solo reazionario ma utopistico di quelle promesse. Per sviluppare il commercio interno diminuendo nello stesso tempo i costi di trasporto, Allende aveva preventivato la creazione di una compagnia statale dei trasporti, giacché la concentrazione spontanea dei capitali in questo ramo era una via troppo lenta e troppo anarchica per rispondere alle esigenze dello sviluppo capitalistico. Sotto la minaccia di una rovinosa concorrenza e delusi nelle speranze suscitate dalla stessa Unione popolare, i trasportatori hanno risposto con un potente movimento di sciopero al quale si è unita una folla di malcontenti delle classi medie, piccoli commercianti e perfino medici, dentisti e studenti liceali. Per ora il "match" è finito alla pari, perché Allende ha dovuto in parte cedere, ma le cose non possono finire qui.

Da un lato l'Unione popolare non può fare a meno dell'appoggio delle classi medie, tanto più che, come mostra l'ultimo sciopero degli operai dei cementifici di stato, non è affatto sicura della sua popolarità nelle file della classe lavoratrice; dall'altro, la sola ragione della sua presenza al potere è che serve nel modo migliore lo sviluppo capitalistico cileno. Ora, a questo fine non basta che dia a un proletariato combattivo l'illusione che la borghesia non detenga più le redini dello stato o che non le detenga più da sola; è anche necessario che favorisca con misure economiche concrete l'accumulazione del capitale. Una contraddizione così stridente rischia di distruggere l'Unione popolare, perché la piccola borghesia, ansiosa di salvare la propria esistenza di classe media, non può non resistere al capitalismo di stato, mentre il governo, che ha bisogno della piccola borghesia per svolgere la sua funzione antiproletaria, è costretto dalla stessa logica alla quale obbedisce a proseguire appunto in questa via.

Comunque, sia che il maledetto fronte unico delle "classi popolari" vada in pezzi, sia che trascini ancora per qualche tempo la sua faticosa esistenza, una cosa è certa: solo una minoranza della piccola borghesia si salverà economicamente; il resto andrà in rovina malgrado le promesse fallaci dei riformisti, e andrà ad ingrossare le file del proletariato, sola classe capace di instaurare il socialismo.

L'Unione popolare, utopia reazionaria

Dopo due anni di "socialismo cileno" al potere nulla di fondamentale è cambiato nell'economia del paese. L'aumento dei salari concesso dal governo ha interessato soltanto la minoranza del proletariato che lavora nel settore nazionalizzato, ed è stato annullato dall'inflazione. Passata l'euforia della vittoria, Allende e i suoi ministri "comunisti" hanno chiesto agli operai di rivendicare un po' di meno e di rimboccarsi un po' di più le maniche. Quanto alla riforma agraria, non solo essa si svolge all'insegna dell'indennizzo degli ex proprietari, ma si insabbia nelle solite lungaggini amministrative. Contro le espropriazioni operate dagli indiani Mapuches, proletariato miserabile di oltre 300 mila persone politicamente inutilizzabile per la borghesia cilena di cui è il nemico mortale, il governo ha difeso i coloni agiati del Sud. E, piuttosto che distribuire gratuitamente la terra ai 700 mila contadini miserabili che la coltivano, Allende ha preferito distribuire dei posti dirigenti nel settore nazionalizzato ai militari dello stato maggiore: ecco il "socialismo" cileno!

Eppure, perfino le direzioni delle frange più radicali del proletariato e del contadiname (come il Mir) hanno finora accordato un "appoggio critico" all'Unione popolare, cioè a un carrozzone che merita soltanto di essere distrutto. Contro i proletari e i contadini poveri radicalizzati da condizioni di vita estremamente dura, quest'ultima ha infatti utilizzato le vecchie ricette del riformismo: la canalizzazione dell'energia rivoluzionaria contro alcuni strati della borghesia ritenuti "parassitari" o denunciati come "fascisti" per meglio conservare il modo di produzione capitalistico; l'appello alla "lotta contro il monopolio" allo scopo di far passare per socialismo il super-monopolio del capitalismo di stato; infine, il richiamo all'unità di tutto il popolo, contro l'imperialismo americano, come se non solo il proletariato, ma la maggior parte della stessa piccola borghesia potesse attendersi una qualsiasi emancipazione sociale da uno sviluppo del capitalismo nazionale!

Nell'era in cui la grande collera della stessa piccola borghesia vibra un colpo mortale all'utopia secondo cui la "Unione popolare" permetterebbe di superare gli antagonismi di classe, non sorgeranno nel Cile dei comunisti autentici per vibrare altri colpi mortali alle dolciastre menzogne che la presentano come rivoluzionaria, e per agitare il vero programma proletario: rottura col progressismo democratico e popolare – costituzione in partito indipendente nei confronti delle classi medie – lotta per la presa rivoluzionaria del potere e per il socialismo, in collegamento con la classe operaia internazionale?

("Il programma comunista", n.22, 22/11/1972)

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