DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

PERCHE’ RIPRENDIAMO A PARLARE DELLA COMUNE

Dopo quanto abbiamo detto nel primo resoconto della riunione di Milano dell’1 e 2 aprile (nel n. 7 di questo giornale), non è necessario spendere troppe parole sulle ragioni che ci portano a esaminare ancora la Comune di Parigi 1871 per ciò che riguarda la questione militare del proletariato, cioè per comprendere l'uso della violenza organizzata del nuovo potere statale eretto dalla classe rivoluzionaria dopo di aver distrutto la macchina statale borghese.

E’ ben noto che questa storica esperienza, in cui il prole­tariato per la prima volta si ergeva in classe dominante, è stata attentamente seguita da Marx e da Engels. Il loro intervento pratico e lo studio teorico che avvinse profondamente la loro attenzione nel corso stesso delle lotte e negli anni seguenti ci hanno lasciato un ricco patrimonio di critica in ogni settore di attività svolta dalla Comune. Di questo materiale prezioso, e di quello che Lenin e Trotsky elaborarono in seguito, cercheremo qui di raccogliere la parte che riguarda più da vicino le vicende militari in cui la Comune fu impegnata. Non è la prima volta che ci si volge a questi problemi: basta citare l'importante lavoro apparso sull'Unità del 1924, perfettamente intonato alla linea seguita nei movimenti rivoluzionari dal proletariato, e destinato allo stesso scopo: orientare l'azione rivoluzionaria comunista nella sua politica militare prima e dopo la presa del potere, onde evitare il ripetersi di errori già pagati col sangue degli eroici comunardi e assicurare il trionfo della rivoluzione. Assodato che la Comune ha tenuto alto il principio della violenza rivolu­zionaria, principio vitale del marxismo, si tratta di vedere, anzi rivedere, sulla base dei fatti concreti, quali debolezze ed errori vi siano stati nell'applicazione di tale principio. La nostra posizione critica di fronte alla Comune è quindi del tutto opposta a quella degli opportunisti tipo Kautsky e Plekanov, che considerarono meriti della Comune proprio quelli che per noi sono difetti. Costoro, e gli opportunisti odierni che vi si ricollegano, vantarono della Comune le apparenze di democrazia formale, i residui metodi parlamentaristici, la spontaneità nell'azione politica e militare: tutto ciò che il marxismo rivoluzionario ha sempre con­siderato funesta eredità della teoria e pratica borghese e che si rivelò come il fattore essenziale della sconfitta sanguinosa di Parigi in lotta contro Versailles. Dimostrandolo, abbiamo più volte negato che la Comune sia stato il frutto della sola “spontaneità”. Lasciamo pure gli opportunisti all'ammirazione per questa “naturalezza” e alla disapprovazione delle “artificialità” dell'azione militare dell'ottobre rosso, in quanto prodotto - a loro parere - di tutta e sola “organizzazione”.

Queste loro critiche rappresentano per noi la riprova della giustezza del nostro esame della Comune, dal quale discende il seguente fondamentale insegnamento: condizione necessaria per la vittoria politico-militare e sociale della rivoluzione proletaria è l'organizzazione della classe costituita dal partito comunista, capace di estrinsecare tutta la sua energia sul moto delle masse in rivolta e guidarle secondo la sua decisa volontà, incarnante tutta l'esperienza storica delle lotte proletarie.

Può sembrare una contraddizione quella del marxismo che, da una parte, rileva deficienze di tipo democratico, e dall'altra afferma con forza il giudizio teorico che la Comune fu nella sua essenza una dittatura rivoluzionaria del proletariato in azione verso la trasformazione socialista della società. Ma, trattando già del rapporto tra Comune e Partito, abbiamo mostrato che questa è solo una contraddizione apparente, che il pensiero marxista non ha alcuna difficoltà a risolvere e superare. Perciò non ci tratteniamo oltre su questo punto e diamo un quadro sommario dei fatti accaduti durante la Comune dal 18-3 al 28-5-1871 in modo che il lettore possa meglio seguirci nell'esame di questioni più limitate, in cui, seguendo le lotte dei comunardi, metteremo in luce i difetti e gli errori che portarono alla sconfitta finale.

 

DALLA PRESA DEL POTERE ALLA CADUTA DELLA COMUNE

Infranta ogni resistenza dell'esercito di Thiers il 18-3, il potere è tutto nelle mani del Comitato Centrale delle guardie nazionali (C.C.g.n.). Questo Comitato non provvede a chiudere le porte di Parigi e ad arrestare Thiers e tutti gli altri ministri, che così possono fuggire a Versailles. II C.C. pensa subito a trasmettere il potere alla Comune eletta da tutto il popolo. A tale scopo intavola trattative con una parte dei sindaci e deputati rimasti in Parigi, che gli contestano di rappresentare il potere “legale”.

Dopo aver sventato un attacco controrivoluzionario e avere infranta l'agitazione dei sindaci e deputati, il C.C. fissa le elezioni per il 26 marzo. Sul piano militare sono da ricordare il provvedimento preso dal C.C. di sostituire l'inetto Lullier a capo delle g. n. con i tre generali li Brunel, Duval ed Eudes, e l'occupazione di alcuni forti fuori la cinta di Parigi avvenuta il 23. II giorno seguente però era già troppo tardi per occupare lo strategico Mont Valerien fuori le mura lato ovest, perchè Vinoy vi si era gia installato con le sue truppe. Il 28 marzo la Comune viene solennemente proclamata. Intanto, il movimento comunardo si estende nel sud e nell'est della Francia. II legame tra la rivoluzione parigina con il resto del paese è tale che i due moti si influenzano a vicenda.

Le conseguenze degli errori iniziali commessi dal C.C. sono più gravemente avvertite dalla provincia, per cui le comuni ivi formatesi hanno breve durata. E ciò naturalmente ha riflessi negativi sulla stessa Parigi.

Il 3 aprile, in uno scontro armato con le truppe versagliesi, le g.n. parigine, per ragioni varie, vengono sconfitte e, per la prima volta, una parte degli arresti o prigionieri vengono passati per le armi dai soldati di Vinoy. II fatto provoca una sana reazione a Parigi ove la Comune emana il decreto sugli ostaggi che però rimane lettera morta fino al 25 maggio, quando tardivamente si risponde col terrore rosso al terrore bianco di Thiers. Questi fatti mostrano a sufficienza che nessuna conciliazione tra Parigi e Versailles è possibile e che la lotta deve finire necessariamente con la distruzione o del potere rivoluzionario o di quello controrivoluzionario. E’ a questo punto che la parte più indecisa e vile dei sindaci e deputati che erano stati eletti consiglieri, e altri gruppi di “conciliatori”, abbandonano il Consiglio Municipale di Parigi, e questo, per rimpiazzare i vuoti, indice delle elezioni suppletive il 16 aprile, venendo così incontro ai più arrabbiati partigiani della legalità: altro errore politico che, oltre a mostrare un certo apparente isolamento della Comu­ne per lo scarso numero di votanti accorsi alle armi, sarà fonte di dissensi e polemiche e di una frattura nella Assemblea parigi­na, in cui cominciano a delinearsi una maggioranza giacobina e una minoranza socialista, ognuna composta da elementi moderati e radicali che si ricollegano alle concezioni più diverse. Queste crepe all'interno dell’Hotel de Ville influenzano negativamente il morale dei proletari combattenti. Non c'è quindi da meravigliarsi che, in questa situazione confusa, le interpretazioni della rivoluzione del 18 marzo e i limiti ad essa assegnati fossero tanti e differenti. Si doveva attribuirle un carattere comunale, o nazionale, o internazionale? Le sue cause profonde do­vevano considerarsi patriottiche o classiste? I suoi scopi dovevano essere politici o sociali? La “libera comune” che si voleva creare in tutta la Francia doveva costituire la cellula organica di uno stato unitario e centralizzato, o piuttosto l'atomo di una federazione di stampo girondino, o peggio, il ripristino del co­mune medioevale?

Non c'è dubbio che l'eterogeneita di vedute, la diversa formazione politica dei membri della Comune e la loro diversa esperienza rivoluzionaria, non potevano creare una volontà unica, decisa, e capace di valutare la situazione e farvi fronte nel migliore dei modi, dando cioè preminenza assoluta ai problemi più urgenti e utilizzando tutte le energie in quella direzione.

La mancanza di un programma chiaro e comune a tutti, che orientasse l'azione rivoluzionaria di Parigi e della Provincia, era dunque una conseguenza dell'assenza di un partite forte ed egemonico. Perfino l'importanza capitale di possedere un tale programma era, salvo in poche eccezioni di intemazionalisti marxisti, mal compresa: tanto che, quando si tento di abbozzarlo nella seduta del 19 aprile, il tempo che vi si dedicò fu irrisorio e il risultato deludente: tra l'altro, non fu definito il primordiale compito della Comune, che era ancora quello militare. Di qui la mancanza di un piano vero e proprio per la guerra contro Versailles e le altre deficienze militari.

Malgrado tutto, e contro tutte le apparenze di democrazia, la realtà di dittatura rivoluzionaria della Comune si andava affermando sotto la spinta dei fatti. Nel tempo stesso che amministrava Parigi e ne organizzava i servizi pubblici, la Comu­ne legiferava per l'intera Francia. Essa era un organismo che s'allontanava sempre più dal parlamentarismo e dalla sua falsa divisione dei poteri, perché diventava ogni giorno più un organismo al tempo stesso legislative ed esecutivo. Col suo primo decreto, col quale aboliva l'esercito permanente, la Comune, come diceva un suo giornale, “dava alla città una milizia na­zionale che difendeva i cittadini contro il potere, invece di un esercito permanente che difende il potere contro i cittadini, e una polizia municipale che persegue i malfattori invece di una polizia politica che persegue uomini onesti”.

Rendendo poi revocabili ad ogni momento i suoi membri, e attribuendo loro il salario di un operaio, la Comune aveva spezzato i due pilastri del vecchio Stato borghese: la burocrazia militare e quella civile. La Comune era insomma uno Stato del tutto nuovo per la storia: era la prima dittatura proletaria, che, per essere uno strumento della maggioranza del popolo sfruttato per schiacciare la resistenza della minoranza sfruttatrice, non era già più uno Stato nel senso proprio della parola, ma una Gemeinwesen, parola tedesca che non indica una distinta comune, ma una comunità, un sistema organico di comuni.

Dieci commissioni in seno all'Assemblea comunale svolgevano l'opera legislativa la cui esecuzione era coordinata dalla Commissione Esecutiva (C. E.), la prima fra le dieci, che aveva un suo delegato nelle altre. Grandi responsabilità ai fini militari aveva il delegato alla guerra, cioè alla seconda delle dieci commissioni: quella militare.

Purtroppo, per le accennate divergenze interne e sotto la spinta delle dure necessità, sia nella C. E. che nella C. M. (le più importanti) si verificheranno spesso mutamenti di personale. La prima C. E. sarà infatti sostituita da una seconda il 19 aprile e questa, dopo i rovesci militari subiti intorno al forte Issy il I maggio, da un Comitato di Salute Pubblica (C.S.P.), e Cluseret, suo delegato alla guerra, sarà arrestato e sostituito da Rossell. Ma né costui né il C.S.P. si dimostreranno più idonei a eliminare la divisione dei comandi e i conflitti di potere tra Comune e C.C. e tra questi e il C.S.P., per cui altri rovesci si verificheranno: il 4 maggio la ridotta di Moulin-Saquet cade in mano ai versagliesi, che il giorno dopo attaccano i federati anche a Clamart costringendoli a ripiegare sul villaggio di Issy, e il 6 maggio li disperdono presso Vanves.

Con la caduta del forte Issy, avvenuta l'8 maggio, Rossel si dimette e viene sostituito da Delescluze, mentre al primo C.S.P. ne succede un secondo rinnovato nei suoi componenti. In una incessante lotta contro le divisioni interne, favorite dagli immancabili cattivi geni del tipo di F. Pyat, tra esitazioni e audacie disperate, tra spie e cospiratori, tra conciliatori e traditori, fra errori politici (il non aver messo le mani sulla Banca di Francia) ed errori militari, e tra successi momentanei e dure sconfitte, la Comune si avvia verso il suo epilogo sanguinoso.

II 13 maggio anche il forte di Vanves cade, e con le perdite del 19-5 la guerra fuori le mura di Parigi si può considerare finita. Incomincia il secondo assedio della grande capitale: non sono più i soli prussiani ad accerchiarla come nel primo lungo assedio. Essi ne circondano il semicerchio orientale, mentre l’esercito di Versailles ne controlla tutta la parte occidentale. Ma questo secondo assedio dura solo otto giorni: quelli della settimana di sangue. Il 21 maggio, infatti, grazie a un tradimento, l'esercito di Thiers riesce ad entrare attraverso la porta Saint-Cloud e a iniziare l'invasione della città, che resiste eroicamente per questi otto giorni in combattimenti di strada e sulle barricate e, fra le esecuzioni in massa che l'insaziabile sete di sangue dei controrivoluzionari fa succedere alle esecu­zioni, il sangue scorre a rivoli e le fiamme delle Tuileries e di altri edifici innalzano nella notte sinistri bagliori. Uomini, donne e fanciulli danno esempi di eroismo senza fine mentre molti capi delle guardie nazionali e dirigenti della Comune, con la più grande abnegazione, dedicano i loro ultimi sforzi alla resi­stenza disperata e con il più grande disprezzo della morte offrono il petto sulle barricate o davanti ai plotoni di esecu­zione gridando: Viva la Comune!

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista, n. 11, 1966)

 

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