DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Mentre ogni giorno gli eventi che travolgono in ogni angolo della Terra un’umanità ormai del tutto conquistata dal modo di produzione capitalistico spingono con un’urgenza improrogabile alla necessità dell’abbattimento di questo stesso modo di produzione, la classe dei senza riserve – la nostra classe proletaria – è ancora schiacciata, soggiogata e asservita a una borghesia storicamente già morta.

Ciò non vuol dire che il nostro irriducibile antagonismo di classe venga annullato o anche solo affievolito, o che le ragioni storiche della lotta della nostra classe siano state risolte o superate, o infine che, per dirla con la speranza della sociologia corrente, il proletariato sia scomparso; oppure, ancora, che la “globalizzazione” abbia riassorbito la moderna lotta di classe in una più banale “redistribuzione del reddito” dei ricchi del pianeta in funzione di un generale ripensamento – più austero – dello “stile di vita” di ogni individuo, rispettoso dei suoi simili, delle risorse della Terra e via inventando un’impossibile nuova Gerusalemme...

Anzi. Le lotte per la sopravvivenza economica, dal più immediato sindacalismo a vere e proprie rivolte sociali, sono all’ordine del giorno in un crescendo  a stento “sottostimato” dagli ideologi del nostro nemico di sempre.

Quel che ancora incatena la nostra classe e le impedisce di sprigionare tutta l’energia rivoluzionaria che potenzialmente possiede è l’eredità di più di ottant’anni di quella terribile controrivoluzione che le si è rovesciata addosso dopo la sconfitta della Rivoluzione Russa – rivoluzione che nel 1917 ha dimostrato, splendido esperimento, come il socialismo non sia una banale ideologia di rivoltosi, ma una vera e propria scienza del divenire sociale che ha tracciato tutte le tappe e le condizioni della sua necessità storica.

Sul proletariato internazionale rovinato a terra dal suo assalto al cielo, il capitale, forza sociale internazionale, ha scatenato le sue ultime ma potentissime forze in una vera e propria riorganizzazione dello stato borghese che aveva vacillato sotto i colpi della lotta della nostra classe: il nazionalsocialismo fascista, il liberalismo agonizzante e soprattutto lo stalinismo, che dentro e fuori di Russia, divenendo il coagolo e lo strumento della borghesia imperialista moderna, stravolgeva punto per punto tutti gli obbiettivi programmatici della lotta proletaria.

Come rivendica la nostra testata, il rilancio della lotta politica della nostra classe passa attraverso il restauro programmatico di quell’organo – il Partito Comunista senza aggettivi e attributi di nazionalità – che solo può accompagnare, organizzare, preparare la nostra classe alla necessaria rivoluzione comunista.

E proprio la rivendicazione programmatica degli autentici e soli obbiettivi del socialismo ha permesso ai nostri compagni di combattere e contrastare (senza mai nascondere di essere parte comunque di una classe momentaneamente battuta ) la controrivoluzione, anche e proprio sullo sbugiardamento sistematico – dati alla mano – di quel suo cavallo di Troia che è stata la pretesa di costruire “socialismo in un solo paese”, per di più arretratissimo...

In questo numero di quello stesso giornale che, dal 1955 al 1959, ospitò i successivi capitoli di quella poderosa lotta teorica che ha nome Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, ne ripubblichiamo alcune sezioni [1] che riassumono e puntualizzano punti programmatici che oggi politicamente sembrano utopia, ma che la stessa instabilità dell’economia capitalistica inevitabilmente riproporrà all’ordine del giorno della futura lotta rivoluzionaria di classe.

Prima della riproposizione di questi testi, è però necessaria una precisazione, se non altro per evitare che qualcuno dei nostri troppi (e troppo interessati) critici ci accusi di proporre un’azione puramente “illuminista” nei confronti della nostra classe – un’azione politica cioè che circoscriva i compiti del partito comunista all’indicazione di obbiettivi “scientificamente” individuati dal marxismo, limitandosi a fiancheggiare l’opera di autorganizzazione che la classe da se medesima scopre e si dà nel corso della lotta rivoluzionaria.

L’esposizione delle finalità storiche fa parte integrante del più generale e caratteristico lavoro di partito che nelle nostre (e quindi basilari per il partito comunista mondiale, per cui lavoriamo e lottiamo nel contatto quotidiano con la nostra classe ) Tesi di Lione (1926) si sintetizzano così:

“L’attività del partito non può e non deve limitarsi o solo alla conservazione della purezza dei principi teorici e della purezza della compagine organizzativa, oppure solo alla realizzazione ad ogni costo di successi immediati e di popalarità numerica. Essa deve conglobare  in tutti i tempi e in tutte le situazioni i tre punti seguenti:

 

 

  1. La difesa e la precisazione in ordine ai nuovi gruppi di fatti che si presentano dei postulati fondamentali programmatici, ossia della coscienza teorica del movimento della classe operaia.
  2. L’assicurazione della continuità della compagine organizzativa del partito e della sua efficienza, e la sua difesa da inquinamenti con influenze estranee ed opposte all’interesse rivoluzionario del proletariato.
  3. La partecipazione attiva a tutte le lotte della classe operaia anche suscitate da interessi parziali e limitati, per incoraggiarne lo sviluppo, ma costantemente apportandovi il fattore del loro raccordamento con gli scopi finali rivoluzionari e presentando le conquiste della lotta di classe come ponti di passaggio alle indispensabili lotte a venire, denunziando il pericolo di adagiarsi sulle realizzazioni parziali come su posizioni di arrivo e di barattare con esse le condizioni della attività e della combattività classista del proletariato, come l’autonomia e l’indipendenza della sua ideologia e delle sue organizzazioni, primissime fra queste il partito.

 

 

“Scopo supremo di questa complessa attività del partito è preparare le condizioni soggettive di preparazione del proletariato nel senso che questo sia messo in grado di approfittare delle possibilità rivoluzionarie oggettive che presenterà la storia, non appena queste si affacceranno, ed in modo da uscire dalla lotta vincitore e non vinto” [2].

Il partito comunista dunque è organo di combattimento: non si limita a indicare la strada alla lotta di classe del proletariato, ma nelle battaglie (sia vittoriose che in battuta d’arresto) la prefigura e ne stabilisce inequivocabilmente le tappe e gli obbiettivi.

 

 

La proprieta’ personale

 

E’ una vecchia canzone che ci insegue dai tempi lontani della prima polemica sulla rivendicazione comunista : “Il socialismo non sopprimerà la proprietà personale”. Si vuole con ciò dire che il socialismo consiste nel sostituire all’appropiazione privata degli strumenti di produzione, e quindi dei loro prodotti, la loro appropiazione da parte della società. La massa del prodotto sociale verrà assegnata ai produttori, ma ognuno, ricevuta la sua parte di consumo, tra il momento dell’assegnazione e quello della consumazione ne ha la “proprietà personale”, come si dirà sempre il mio pane, il mio companatico, le mie scarpe, il mio mantello...

Questo non è un ragionamento scientifico ma solo un vecchio espediente di propaganda per attenuare la paura che faceva al tardigrado “senso comune” la rivoluzionaria proposta di cancellare ogni  proprietà individuale.

Prima di provarne il vizio con la teoria e con i suoi testi di base, ne abbiamo ora trovata una prova storica: arriveremmo a questa enormità, che il socialismo conservi la proprietà personale della casa, in quanto la stessa, pur non essendo un genere di sussistenza e di consumo, può essere goduta individualmente?

Fatta questa scivolata è facile rilevare che tale godimento non è personale, ma familiare per piccole collettività domestiche, ed ecco che nel socialismo avremmo fatto rientrare a bandiere spiegate l’istituto della “famiglia” che consuma e gode in comune dati benefici, e con esso il cardine di ogni società di proprietà privata, fino alla forma capitalistica: la trasmissione ereditaria, che è uno dei piloni angolari dell’accumulazione della ricchezza privata.

Andrebbe riletto l’intero capitolo “Proletari e Comunisti” del Manifesto del Partito Comunista (1848), che stritola le obbiezioni tradizionaliste alle posizioni comunistiche contro la proprietà, la libertà, la personalità, la cultura, la famiglia, la patria, la religione.

Nella moderna società borghese, dice il Manifesto, non vi è proprietà acquistata col lavoro: “Il lavoro del proletario crea il capitale, cioè crea la proprietà che sfrutta il lavoro salariato”. Quando si accusano i comunisti di abolire ogni proprietà, si allude forse alla proprietà del piccolo-borghese e del piccolo agricoltore che precedette la proprietà borghese? Codesta non abbiamo bisogno di abolirla: lo sviluppo dell’industria l’ha abolita e l’ha abolisce quotidianamente.

Ora il punto è questo: vogliamo noi forse capovolgere questo processo borghese di espropriazione della piccola proprietà, che in epoche precedenti si era formata, genericamente parlando, col lavoro? No, noi vogliamo soltanto che esso si completi per avere tutte le condizioni del socialismo. Possiamo essere costretti a riconoscere, pur essendo passati 110 anni da quelle tavole formidabili, che resta in questo campo molto da espropriare, e tollerare che queste antiche forme conducano il loro ciclo; ma non certo disfare quel tanto di loro evoluzione che la stessa società borghese ha attuata.

E come, senza essere paranoici, si concilia questo abbicì sempre indiscusso con l’incoraggiamento alla proprietà della casa “formata col risparmio del lavoratore”? Una tale frase delinquenziale può proninciarla Keynes e con lui soltanto chi abbia lacerato tutte le pagine del marxismo.

Vogliamo tuttavia seguire il tentativo di considerare la casa non come una parte di capitale [...] ma come parte di quel consumo individuale di prima necessità, per cui non abbiamo mai annunziata la privazione del diritto di disporre.

Il Manifesto infatti dice: “quello che l’operaio salariato si appropria con la sua attività gli basta soltanto per riprodurre la sua nuda esistenza. Noi non vogliamo affatto abolire questa appropriazione personale dei prodotti del lavoro necessari per la riproduzione della vita immediata, appropriazione la quale non lascia alcun utile netto che possa dare un potere sul lavoro altrui”.

Questo passo segue a quelli che hanno spazzato via la “proprietà acquistata col lavoro personale”e quella privata borghese, e tratta della proprietà nata dal salario – finché esista.

Da questo passo è uscita la parafrasi che il socialismo fa salva la proprietà individuale del consumo, di cui non vieta la “appropriazione” nel breve ciclo tra erogazione della forza di lavoro e consumo del cibo che la ripristina. Ma ogni accantonamento, ogni “risparmio”, esula da questa appropriazione fatta salva, ed è concessione alla posizione opposta, l’accumulo di rendite che diano modo di dominare il lavoro altrui.

Scientificamente parlando è il caso di riservare il vocabolo proprietà ed appropriazione a questo secondo rapporto, di messa in riserva di risorse da usare “per dominare il lavoro altrui”, rapporto che è finito nella società socialista, e parlare di “disposizione” da parte del lavoratore di quanto gli compete per provvedere al suo consumo “immediato” nel senso che non va a riserva, ma può coprire in ciclo brevissimo la gamma dei bisogni.

 

 

Lo scontrino di marx

 

Il male, questi recenti avvenimenti [stalinismo e destalinizzazione - NdR] dimostrano, non è nello Stato o nel contro-Stato, nel partito o nel contro-partito. Il male è nell’avere smarrita la chiave dialettica che contrappone il modo capitalista al modo socialista.

La società socialista esce dal grembo di quella capitalista ma non risolve in un atto solo la metamorfosi.. Marx distinse i due stadi che furono chiamati inferiore e superiore. Su ciò si è troppo speculato.

Nello stadio che cronologicamente deve precedere, “abbiamo a che fare con una società comunista quale emerge dalla società capitalistica “, Marx dice nel commento critico al programma di Gotha. Ma già in queste obbligate condizioni inferiori il mercantilismo è finito. In una certa forma, il principio dello scambio delle merci domina in un solo rapporto: tra la forza lavoro data dal lavoratore e quello che riceve per il suo consumo. La società infatti stabilisce una equivalenza tra consumo spettante e lavoro fornito (previa la detrazione a fini sociali che Marx stabilisce per demolire la lassaliana formula deforme del “frutto indiminuito, o integrale, del lavoro”). Ma al di fuori di tale rapporto il contenuto della legge di equivalenza è già divenuto caduco.

Il testo dice: “contenuto e forma sono mutati, perché, in mutate condizioni, NESSUNO PUO’ DARE NIENTE ALL’INFUORI DEL SUO LAVORO, e perché, d’altra parte, niente può passare in PROPRIETA’ DEL SINGOLO ALL’INFUORI DEI MEZZI DI CONSUMO INDIVIDUALI”.

Come Marx vede questo concretamente realizzato? La concessione non è trascendente. In questa prima frase inferiore (in cui come ricordate vige un diritto “borghese”, ossia costituito da un limite, che poi sparirà quando la società scriverà sulla sua bandiera: DA CIASCUNO SECONDO LE SUE CAPACITA’, A CIASCUNO SECONDO IL SUO BISOGNO), il lavoratore RICEVE DALLA SOCIETA’ UNO SCONTRINO DA CUI RISULTA CHE HA PRESTATO TANTO LAVORO (previa detrazione del suo lavoro per i fondi comuni) e con questo SCONTRINO ritira dal fondo sociale tanti mezzi di consumo quanto costa il lavoro corrispondente”.[3] Ed è questa la SOLA equivalenza  che resta ancora in gioco. Quanto dura lo scontrino? La sua grande caratteristica è questa: esso non è, come la moneta, equivalente generale; è solo consumabile, non è accumulabile, e nemmeno tesaurizzabile.Dura quanto il pane ad ammuffire o il burro a irrancidire; poniamo, per restare a questo schema simbolico, che gli si dia la validità di una settimana.

Per un anno abbiamo studiato la Russia incontrando le proclamazioni che vi è il socialismo, che resta solo da passare alla fase superiore. Siatemi testimoni che non abbiamo mai incontrato il semplice innocente scontrino del Padre Marx; il buono del retto socialismo di due o più generazioni addietro. Tutto, fuori di lui, abbiamo incontrato, e tutto ha proclamato fetore di accumulabilità e di forma capitalistica piena. Il Denaro, il Risparmio, il Deposito in banca, l’Interesse, il Titolo di credito... tutto fuorché la proprietà, sola superstite, sul consumo personale (che una volta volemmo chiamare disponibilità o disposizione). Abbiamo trovato il Campo, la Casa, anche la Villa, la Mobilia primordiale fino a quella di lusso e alle Collezioni d’Arte.

A dispetto del fatto che nella stessa società a potere borghese si è costretti ad ammettere forme senza mercato e moneta, di socialismo superiore, in circoscritti settori!

Adesso, oltre a tutto questo, abbiamo l’azienda proprietaria, responsabile contrattuale, in quanto vende al consumatore e compra dal produttore, dall’altra azienda, e se ne frega del marxista fondo sociale. Ha il fondo aziendale, lo amministra in bilancio di partita doppia, e non si dibatte che per aumentarlo. Evviva te, Bentham!.

Al di sopra dei sorrisi che hanno valicato l’Atlantico sugli schermi del video, e che si invocano ricambiati da Eisenhower alla popolazione russa, una formula sacra lega i due condottieri di Stati in emulazione.

Nessuna riforma intacchi l’industria pesante! Kruscev ha bandito che questa nel nuovo schema conserva il primo posto – e il primissimo ministero centrale – zittendo ancora una volta ogni malenkovismo, e quest’altra versione castrata del socialismo che è il “consumismo”.

In America i capi del mondo del business attribuiscono felici la salvezza del ritmo economico alle generose ordinazioni del governo per le forniture militari, che tengono su l’indice della produzione e del giro degli affari, minaccianti crollo.

Essi hanno imparato il marxismo di Kruscev, e tra i suoi sorrisi “combattono le concezioni errate sull’industria pesante e leggera”; hanno imparato “la leninista linea dello sviluppo prioritario dell’industria pesante”!

Viva i due presidenti marxisti-lenilisti della pace universale! E che l’industria pesante e guerra imperialista pensino a fare giustizia di ambo le presidenze, tra qualche altro paio di settennati!        

 

Note

 

1. Si tratta dei due capitoletti intitolati “La proprietà personale” e “Lo scontrino di Marx”, contenuti nella Parte Terza della Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, Edizioni Il Programma Comunista, rispettivamente alle pp.627-629 e 672-674. [back]

2. “Tesi di Lione”, ora in In difesa della continuità del programma comunista, Edizioni il Programma Comunista, pp. 96-97. [back]
3. Cfr. Glosse marginali al programma del Partito operaio tedesco, 1875, in Il Partito e l’Internazionale, Roma, 1948, pag. 230-232. [back]
 
 
 
 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°06 - 2009)

 

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