DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 Camarades, votre chien est-il enragé   ou   non? Peralta    

Non da oggi il trotzkismo è agitato dal­lo sforzo di rivedere alcune delle posi­zioni fondamentali assunte nel corso del suo sviluppo e cristallizzatesi, specie do­po la scomparsa del suo cervello pen­sante, Leone Trotzky, in una specie di or­dinaria amministrazione del patrimonio ideologico e tattico lasciato dal Maestro. Evidentemente, la lezione dei fatti si con­cilia sempre meno con l'armamentario di teorie e di parole d'ordine conservate nell’Arca Santa del Segretariato Internazio­nale; ma la revisione critica che parte dal­la periferia e non dal centro, invece di af­frontare i problemi nel loro complesso e nelle loro necessarie connessioni, investe i problemi ad uno ad uno e, mentre tradi­sce un'inquietudine intellettuale che po­trebbe essere feconda, dimostra anche l'in­capacità ad uscire dal vicolo cieco di una impostazione generale, che fa di quest'ala del movimento proletario un rivoluziona­rismo... evoluzionista.
Accade così che si delineino posizioni an­titetiche, per esempio sul problema russo — attuale pomo della discordia in seno alla IV Internazionale — senza che queste comportino modificazioni nei problemi ge­nerali della tattica; e la fedeltà dei se­guaci di Cannon alla tesi ortodossa del Se­gretariato non esclude la possibilità di una prossima riconciliazione con l'infedele ete­rodossia di Shachtman, così come l'abban­dono da parte dei seguaci di quest'ultimo della tesi secondo la quale l'URSS è uno stato tuttora proletario con l'incidentale disgrazia di essere governato da una bu­rocrazia traditrice (e, come tale, conserva caratteri progressivi ed anticapitalistici, e va difeso dal proletariato internazionale anche con la guerra) non importa affatto l'abbandono delle classiche teorie sul fron­te unico, sul programma transitorio, sull’appoggio ai « governi di sinistra », sulle guerre coloniali ecc, che costituiscono la ca­ratteristica fondamentale del trotzkismo (1).Abbiamo detto che l'epicentro dell'inquie­tudine della periferia trotzkista è il pro­blema russo. Recentemente, la rivista « The New International», che fa capo alla cor­rente Shachtman, ha pubblicato uno stu­dio di F. Forest sulla natura dello Stato russo che è, per quel che ci consta, il pri­mo serio tentativo trotzkista di affrontare il problema sulla base di un'analisi scien­tifica dei rapporti economici e di classe (2). Non   lasciandosi abbagliare    dagli    aspetti formali della gestione economica, non ri­cercando le leggi di sviluppo di una so­cietà nei titoli legali di proprietà ma nei modi di produzione o di realizzazione del plusvalore, l'autore conclude che la legge del valore domina l'economia capitalistica, e che il funzionamento di questa legge « ha portato   alla   polarizzazione   della   ricchez­za, all'alta composizione organica del ca­pitale, all'accumulazione   della   miseria da una parte e del capitale dall'altra. Si ha così una società capitalistica unica,   un'e­conomia   governata   dalle   leggi   del   capi­talismo   mondiale».   Queste   leggi   regola­no   prezzi   e   salari , e   si   esprimono   so­prattutto nel   « dominio del lavoro morto sul lavoro vivo », nella prevalenza del ca­pitale costante sul capitale variabile e per­ciò della produzione dei beni strumentali su quella dei beni di consumo, insomma nel fenomeno   generale   dell'accumulazione crescente   a   spese   della   retribuzione   del lavoro   (3),   coi fenomeni   correlativi   dello stakhanovismo,   dei   bassi   salari   e   dell'e­spansione imperialistica. « Finché la piani­ficazione   è   governata   dalla   necessità   di pagare   il   lavoratore il minimo   necessario per la sua sussistenza e di estrarne il mas­simo di plusvalore allo scopo di mantenere il sistema   produttivo   il più possibile   nei limiti delle leggi del mercato mondiale, dominato a sua volta dalla legge del valore, finché tutto questo avviene i rapporti di produzione capitalistici esistono, qualun­que sia il nome attribuito al regime sociale in questione ». Per chi non si lasci illudere dal « feticismo della proprietà statale », ma guardi alla realtà dei rapporti di produzio­ne e perciò di classe, la società sovietica segue dunque il destino di tutte le società capitalistiche e ne ripete le contraddizioni, le crisi, gli squilibrii; e, poiché — secondo la classica formula di Engels sul capitalismo di stato — li esaspera, riproduce an­che necessariamente, i metodi e le espe­rienze per dominarli. Ne segue che è assurdo parlare di ca­ratteri progressivi di quest'economia, se non nel senso che essa è la realizzazione compiuta del moto generale del regime ca­pitalistico verso la statizzazione: « l'espe­rienza russa ci ha reso concreta la verità fondamentale del marxismo, che in nessuna società contemporanea può esistere un'e­conomia progressiva in nessun significato del termine, e che solo può esserlo un'eco­nomia fondata sulla emancipazione del la­voro». Ne segue anche che va definitiva­mente abbandonata la tattica della « difesa dell'URSS » e tutto ciò ch'essa ha com­portato su scala internazionale nel ritar­dare la ripresa del movimento proletario su basi di classe. E sia, ma, se questo è vero, come giustifica Farrel l'insieme della tattica trotz­kista, che si fonda sulla determinazione de­gli eventuali aspetti progressivi dell'econo­mia e della società borghese, e in funzione di essi orienta le lotte del proletariato nel ginepraio delle diverse fasi « transitorie »? La tattica dell'appoggio ai governi « di si­nistra » o quella del fronte unico non han­no forse radice in una concezione generale del moto di sviluppo della società capita­listica e perciò nell'ammissione che per il proletariato si pongano problemi di « scel­ta » fra l'una e l'altra espressione politica del dominio borghese? Se la pianificazione non è per se stessa progressiva, come si giustifica la campagna trotzkista per le na­zionalizzazioni? In definitiva, se l'esperien­za russa autorizza conclusioni generali non limitate ad essa non è soltanto il « difensi­smo » che crolla, ma crolla l'intermedismo, il transitorismo, l'ideologia che porta il pro­letariato ad accettare posizioni borghesi in vista di realizzazioni transitorie; crolla, in­somma, tutto l'edificio tattico che, agli occhi di militanti della stessa TV Interna­zionale, fa passare quest'ultima per una « ala sinistra dello stalinismo ». O si ha il coraggio di andare fino in fondo ed accet­tare queste conclusioni, o lo sforzo di ri­pensamento è stato vano e cento ragioni ha l'ortodossia di rivendicare la sua supe­riorità sugli eretici. E' questo « ma » che toglie valore agli  aggiornamenti   critici   di   alcune   ali   trotzkiste (4).Un passo avanti è stato compiuto, e bi­sogna renderne atto, dalla sezione spagnola al Messico della IV Internazionale: e al­ludiamo sopratutto ai due recenti opuscoli di Munis e di Peralta (5) nei quali si esprime, più che una revisione scientifica e storica dell'impostazione del problema russo, la reazione battagliera e la polemica appassionata del militante. Munis ha perfettamente capito l'insoste­nibilità della tesi antimarxista di un regime sociale economicamente progressivo e po­liticamente reazionario, e l'inconsistenza di un'analisi che vede nello stalinismo una specie di bubbone transitorio nato sul tron­co di una base produttiva «socialista »: la sua critica tagliente della pianificazione so­vietica esclude senza possibilità di appello che possa considerarsi « socialista » un'ac­cumulazione allargata fondata sull'appro­priazione di plusvalore da parte di una classe, sulla separazione fra produttore e mezzi di produzione, sulla legge del sala­rio, sulla compressione anziché sullo svi­luppo della coscienza e della cultura dell’operaio: « parlare oggi di pianificazione in Russia è un'ironia sanguinosa per le masse ed una concessione alle tendenze deca­denti del capitalismo mondiale... Quanto alla burocrazia, non si ha il diritto di at­tribuirle i caratteri particolari di una bu­rocrazia operaia, ma quelli di una classe la cui struttura definitiva è in via di cristal­lizzazione e che, per cristallizzarsi comple­tamente, deve soffocare la rivoluzione pro­letaria dovunque essa appare, e integrarsi alle forme decadenti che il capitalismo mon­diale adotterà». L'autore ha anche per­fettamente compreso il ruolo dei partiti operai nel quadro della ricostruzione capi­talistica: « Attraverso le nazionalizzazioni, si intravede già una fase in cui i leaders proletari dirigeranno essi la società, più sfruttata e asservita che mai, per il labirin­to abissale della decadenza... I leaders ope­rai sono sempre più indispensabili per evi­tare la rivoluzione proletaria, lo sfrutta­mento delle masse e la dittatura dei pri­vilegiati non possono sostenersi alla lun­ga che grazie ed essi. La loro vittoria, che necessita almeno di alcune misure di na­zionalizzazione dei mezzi di produzione, rappresenta il punto cruciale nella corsa alla decadenza, con tutta le regressione cul­turale e la decomposizione del proletaria­to, che questo comporta. La forza di punta di questo processo è lo stalinismo ». Quanto a Peralta, la sua polemica con­tro le ambiguità della posizione ufficiale del trotzkismo raggiunge i limiti di una violenza passionale. Non è più ammissi­bile una tattica che, mentre afferma il ca­rattere progressivo dell'economia sovietica, assiste pavida alle spoliazioni, alle anghe­rie, all'evidente contenuto imperialistico dell'espansione russa; non è più tollerabile la tesi che attribuisce allo stalinismo la colpa di aver « intralciato » con una serie di errori lo sviluppo rivoluzionario, quando si assiste al passaggio aperto e perfino vio­lento del nazionalcomunismo alla contro­rivoluzione: è assurdo predicare « la difesa delle misure economiche progressive rea­lizzate nei territori occupati dall'Armata rossa » e nello stesso tempo constatare « la spoliazione delle industrie e dei focolari in Germania, in Austria e in tutti i territori della Europa orientale occupata »; è ri­dicolo patrocinare l'appoggio ai partiti di « sinistra » quando è ormai chiaro che il capitalismo si salva solo a condizione di mandare alla direzione dell'economia e dello stato proprio queste giovani forza a tradizione proletaria; è antistorico pro­porre il fronte unico a partiti ormai « inte­grati nello Stato »: è contraddittorio lanciare nello stesso tempo le parole d'ordine de « la convocazione immediata della Costi­tuente » e dell'istituzione dei Consigli ope­rai e contadini. « Occorre abbandonare senza residui la difesa dell'URSS, a pro­fitto di una politica di lotta senza pietà contro il capitalismo e contro lo stalini­smo suo complice. Per condurre vittorio­samente questa lotta, bisogna svelare ad ogni passo e concretamente il carattere controrivoluzionario della burocrazia russa smascherare la menzogna delle nazionaliz­zazioni e delle riforme agrarie, sviluppare la fraternizzazione fra occupanti e occu­pati, dichiarando apertamente che né gli uni né gli altri hanno più nulla da difen­dere in Russia, ma al contrario hanno tutto da distruggervi allo stesso titolo che in non importa quale stato capitalista, sia che al governo di questo partecipino o no gli agenti del Cremlino ». E infine, basta con una concezione evolutiva della lotta ope­raia, per cui il proletariato deve essere ob­bligatoriamente condotto attraverso una se­rie di esperienze rovinose, per sbarazzarsi di presunte illusioni democratico-borghesi che siamo noi i primi a intrattenere in lui!  La revisione del difensismo ha qui por­tato all'abbandono di alcune fra le posi­zioni fondamentali dell'ideologia trotzkista. Ma tanto Munis quanto Peralta puntano ancora sulla carta di un raddrizzamento della IV Internazionale, di un suo cambia­mento di rotta. E sono presi essi stessi nel­la rete dei residuati della loro origine trotz­kista: lo sono quando continuano a parlare di un « fronte unico » nella fabbrica, nella località, nella regione, che ha ormai per­duto i suoi caratteri di fronte unico per diventare agitazione di parole d'ordine immediate; lo sono quando credono di con­trapporre al peso soffocante dei partiti con­trorivoluzionari i consigli « democratica­mente eletti » degli operai e dei contadini, come se, negli attuali rapporti di forza, non fossero destinati ad essere lo specchio fe­dele delle forze politiche dominanti in se­no alla massa operaia; lo sono quando agi­tano come parole d'ordine transitorie la difesa delle « libertà fondamentali », la sca­la mobile, la confisca dei beni capitalistici, dei profitti di guerra, delle fabbriche... E allora? Allora non v'è che augurarsi che questo sforzo di rivedere le proprie posizioni politiche vada oltre i suoi termini attuali e porti i militanti migliori a rico­noscere che, come la socialdemocrazia, co­me lo stalinismo, anche il trotzkismo ha ormai una sua specifica ed inalterabile fun­zione storica, è la retroguardia non di un esercito in ritirata, ma di un esercito scon­fitto. I compagni messicani che hanno avu­to il coraggio di sbarazzarsi di una parte del bagaglio intermedista avranno, speria­mo, la forza e l'« audacia » — per usare un termine a loro caro — di sbarazzarsi anche dell'altro. (1) Da Cannon a Shachtman prendono nome le due ali in cui si è diviso il trotz­kismo americano (Socialist Workers Party e Workers Party) e delle quali si annuncia ora prossima la rifusione. (2)   F. Forest: The Nature of the Rus­sian Economy, nei numeri di dic. 1946 e genn. 1947. Lo stesso A. aveva pubblica­to nel 1942-3 una Analysis of Russian Eco­nomy. (3) Il Piano del 1941 prevede un aumen­to del 6,5 % sui salari per ogni 12 % di aumento nella produttività del lavoro; nel 1940, la produzione di beni strumentali ha assorbito il 61 % della produzione Comples­siva, quello di beni di consumo il 39 %. (4)   Il caso inverso è rappresentato dal gruppo   americano che fa capo   a   Marlen e   che   continua   a   sostenere   la   tesi   del­la Russia « stato operaio degenerato » men­tre   ha   liquidato   tutte   le   posizioni   tatti­che   del   trotzkismo,   ed   è contro l'appog­gio   ai partiti   opportunisti, contro la for­mula del « governo operaio e contadino », contro    la    Costituente    borghese,    contro « l'appoggio alla borghesia coloniale e ogni concessione all'idea che le borghesie colo­niali   possano   combattere   l'imperialismo », contro la teoria del controllo della produ­zione, contro la vecchia impostazione della questione   nazionale,   contro   il   programma transitorio ecc. (cfr. soprattutto il n. 3 di Political   Correspondance   of   the   Workers League for a Revolutionary Party, p. 13 e 14). La fedeltà della teoria dello « Stato ope­raio degenerato » ha condotto Marlen alla stupefacente tesi della « Sham War », per cui il secondo conflitto  mondiale sarebbe stato condotto in realtà non fra i paesi dell’Asse e il blocco democratico, ma fra tutti i paesi capitalistici e l'URSS socialista! (5) G. Munis, Les révolutionnaires devant la Russie et le Stalinisme mondial; Peralta, Le « Manifeste » des Exégètes, entrambi del 1946,   Mexico,   Editorial « Revolucion ».

 

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