DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

All'iniziativa privata dell'intrapresa borghese non vengono affatto opposte remore o applicati freni; ne viene invece esaltata l'inebriante corsa al profitto, creando una rete di ostacoli soltanto contro la possibilità che essa affronti ri­schi e passivi. Con questa rete lo Stato obbliga la grande massa dei poveri a pa­gare, perché siano fruttifere e remunerative tutte le intraprese, anche quelle inutili asinesche e sgangherate; mentre l'antica fase di pura libera concorren­za tagliava la strada a molte speculazioni, difettanti di competenza tecnica od anche di affaristica abilità.

 

Di questo « new deal » borghese l'Italia ha dato un bel modello suggestivo nelle applicazioni al mezzogiorno: altro che baroni sorvissuti; ci appestano pur­troppo i capitalisti da parto prematuro.

Una simile prospettiva economica spiega le glorie dei lavori di. Stato lungo la slittovia storica Cavour-Giolitti-Mussolini-De Gasperi e successori, le gesta dell'industria protetta, a cavallo tra le terre e le fabbriche, dalla barbabietola all'incrociatore corazzato, l'orgia degli enti parastatali finanziatori di industrie fallite e incubatori di nidiate di alti profittatori.

 

Il borghese terriero ha la proprietà immobiliare ed ogni tanto ne molla qualche pezzo, compensandosi in altri affari; il capitalista di tipo moderno a­veva dapprima impianti, fabbriche e macchine: poi si contentò di un capitale liquido; oggi lo ha volatilizzato; tiene ben saldo nelle grinfie un profitto de­cuplo, e il capitale che manovra glielo serve lo Stato, con finanziamenti, mutui, conversioni di titoli ed altri trucchi, attraverso una storica teoria di mangia­toie che hanno per nome ufficiale « leggi speciali ».

 

Campo principale di questa battaglia è il Mezzogiorno. Napoli, rovinata arretrata, povera, con una percentuale di disoccupati e improduttivi che supera l'assurdo, è proprio la città ove, naturalmente, non un barone conta quattro soldi, ma spadroneggia uno stretto gruppo di capitani d'intrapresa; e meglio ancora che sotto Mussolini controlla industrie, trasporti, pubblici servizi, edi­lizia, commercio, banche e stampa. Si accampa su tutte le saracinesche di ma­novra della legislazione speciale, riuscendo a divorare almeno i tre quarti degli stanziamenti statali, con l'espediente di destinare l'altro quarto ad attua­zioni perfettamente inservibili economicamente, sia perché lasciate a mezzo, sia perché il preteso dirigismo pianificatore si disinteressa nel modo più completo dell'attivazione di cicli economici capaci di persistenza e di esercizio utile an­che in termini di economia mercantile.

Non avrebbe alcun senso assimilare queste cricche parassite di Napoli, o dell'Italia meridionale, o delle isole, operanti nel campo dell'industria, del com­mercio, della finanza e dei pubblici affari, con un altro « strato reazionario » o « gruppo monopolistico » da affiancare alla immaginaria consorteria terriera feudale, ed invocare da riforme di questa repubblica borghese (e peggio che mai da azioni proletarie) la loro dispersione, perché lascino il campo ad una non meno mitologica borghesia progressiva e democratica. Tale frequente frot­tola socialcomunista inverte due punti essenziali. non si tratta di limitati cer­chi d'interessi che si siano incrostati alle miserie del Mezzogiorno per un ul­teriore dissanguamento, ignoto alle province più evolute, ma si tratta di una parte integrante del sistema di sfruttamento unitario della borghesia italiana, di un ingranaggio della stessa macchina di estorsione capitalistica che gira a Roma, a Milano, o nel triangolo industriale.

 

Quei signori operano, in banca, in borsa e nei pubblici uffici, di perfetta intesa col grande capitalismo del nord, cui tengono bordone soprattutto nei casi in cui a quello conviene sviluppare organismi produttivi nel resto d'Italia, e nel sud occuparsi soltanto delle prebende innestate a sovvenzioni, conces­sioni e lavori statali.

 

Non esiste urto tra borghesi del sud e del nord, nemmeno in potenza, poiché la tresca dalle radici economiche si dirama al campo politico ed elettorale, con lo scambio e il flusso organico di personale borghese di servizio, dal po­liziotto al ministro, dal prete all'agente delle tasse.

 

L'altro punto capovolto, è che tutto il sistema capitalista italiano è oggi parassitario: grano e vino, zucchero ed alcool, società tessili, chimiche e meccaniche; e nel suo parassitismo si aggioga alla grande rete supercapitalista occidentale. Si tratta di forme moderne e non arretrate, di borghesi avanzati e progrediti e non di «ceti retrivi». I ceti possidenti di cento anni fa face­vano ancora qualcosa dì utile e davano qualcosa da mangiare ai popoli di zo­ne povere: Lenin ha insegnato che proprio «il più recente» capitalismo pre­senta il carattere parassitario. Questa fase comporta la sua impossibilità a mi­gliorarsi, la necessità che perisca. E, prima di allora, la impossibilità a col­mare il divario tra paesi prosperi e zone depresse.  

 

                                                                                               *  * 

 

De Gasperi nei suoi discorsi non solo ha confermato che i mille miliardi in dieci anni per il Mezzogiorno saranno erogati dallo Stato, ma -ha detto: se tra dieci anni vi troverete senza le opere progettate nel Grande Piano, non potrete dare la colpa al Governo, poiché i fondi ve li amministrerete da voi, in quanto versati a vostre mani nell'apposita Cassa del Mezzogiorno!

 

La formula è aggiornatissima: per nulla retriva e codina, per nulla risul­tante, come teorizzano le riviste staliniane, da « compromesso con l'antico», da sopravvivenza (ma che chiodo! deve essere uno di quelli della Croce) di «vec­chie strutture semifeudali arretrate ». Ad elaborare la formula lavorò Giolitti,, lavorò Mussolini, lavora De Gasperi. E' formula modernissima di preda del ca­pitalismo imprenditore; i capi politici italiani anziché allievi di Metternich e di Torquemada (datemi voi un grande nome feudale italiano: Barbarossa? Bor­bone? Radetski?) sono i professori di Roosevelt e di Truman. Paese di capi­talismo meno sviluppato che fa la strada a paesi di capitalismo sviluppa­tissimo? Ciò sarebbe antimarxista per i dogmatici e i talmudici delle lettere di Stalin! Sta di fatto che se fosse antimarxista la nostra po­sizione sull'anticipo e l'aggiornamento dei metodi sociali e governamentali borghesi in Italia, in omaggio alla solita pretesa che vi si respiri aria feudale, più sballata ancora sarebbe la tesi che si possa dare lezione di avanzato me­todo proletario e socialista dalla Russia, tesi per noi verissima alle date 1917, 1918, 1919 e poche altre, dunque verissima in principio, non applicabile in fatto alla Russia di oggi, per quanto proprio gli stalinisti la rivendichino fieramen­te, in principio ed in fatto.

 

La formula della Cassa è semplice e geniale. I mille miliardi si scrivono al passivo contro il bilancio di tutte le famiglie italiane; secondo il (principio di giustizia economica che trionfa in aria di democrazia, più misero è il bi­lancio, più forte la quota del « caro-Stato ». più forte quindi, in media, al sud che al nord.

Come attivo il fondo è a disposizione di tutte le intraprese che riescano ad organizzarsi per il suo sfruttamento, per quello che con elegante termine di affari   si chiama « utilizzo »

I  piani di utilizzo sono studiati e formati dai gruppi filibustieri molto pri­ma che la legge sia articolata e varata. Domande, progetti, pratiche e dossiers sono già pronti, prima che le modalità per inoltrarli siano consacrate dal voto parlamentare; e le modalità sono studiate in modo che abbiano la precedenza i piatti più grossi e già cucinati. Attivo di ciascun piano: l'anticipo della Cassa; passivo, tutto il resto, senza omettere le partite di compenso a esponenti po­litici e funzionari statali.La formula del vecchio capitalismo comportava l'anticipo di una spesa di impianti, materiali e salari per fondare l'azienda, ed il ricavo, dalla vendita dei prodotti, di un premio o utile annuo tra il cinque e il dieci per cento.

 

La formula moderna, all'italiana, consiste — fermi restando i caratteri tipi­ci dell'impresa e dell'accumulazione capitalistica alla scala sociale — nel pre­levare tutto l'anticipo alla cassa mutuante, e nel realizzare (sotto il pretesto di fare ponti, che per la degenerazione della tecnica borghese talvolta crolla­no, o strade la cui pavimentazione dura poche settimane, e così via) un mar­gine di profitto che nel calcolo ufficiale è ritenuto giusto ed onesto fino al quindici o venti per cento, ma nella realtà raggiunge e qualche volta supera il cinquanta per cento non del « capitale della ditta» ma del « volume dell'affare ».

 

Quale la banda che si alimenta su un così vasto succhionismo? non si de­ve neanche dire che è la banda industriale del nord, sfruttatrice del sud, con­siderato come informe complesso di possidenti e di miserabili. Le posizioni re­gionali non valgono ad uscire da tali imbrogli, come non valgono quelle na­zionali.

 

La banda è la classe capitalistica organizzata nello stato di Roma, unitario e costituzionale, ormai sezione saldamente affiliata al grande trust imperiale della potenza mondiale. Pur nella speranza di frodare perfino sulle sovvenzioni avute con la formula del mutuo, non restituendo neppure i prelievi come avvie­ne per i fondi internazionali destinati a placare il passivo di taluni settori della produzione, questa banda nazionale convoglia ai suoi padroni e mantenitori stra­nieri la gran parte di quanto estorce ai lavoratori affamati sia del sud che del nord.

 

Il  problema del Mezzogiorno è un problema di classe, un problema di ab­battimento dello Stato italiano, un problema di inquadramento di tutte le forze lavoratrici in Italia sul piano anticostituzionale, di fronte e contro la repubblica, fondata il 2 giugno 1946 dagli inviati speciali della borghesia occidentale e del tradimento proletario orientale, salvando la continuità dello Stato borghese su­balpino 1861 .

 

Napoli non deve essere liberata da Milano. Napoli e Milano devono libe­rarsi da Roma, agglomerato parassitario di locali notturni per il jazz e di lo­cali diurni per lo spaccio di Cristo, di ministeri cellulari e anchilosati e di botteghe oscure —• nuovissimi ed antichi arrivi barbari, da Chambery o da Stalingrado, da Gerusalemme o da Hollywood.

 

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