DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

La miseria che cresce

La forma di produzione capitalistica rappresenta nella storia la massima capacità creativa di ricchezza che sia mai stata raggiunta. Con essa, le risorse naturali hanno cessato di essere forze malamente dominabili e sfruttabili solo con estrema fatica, per divenire elementi trasformabili a piacere con sempre minor sacrificio di lavoro umano e maggior potenza meccanica, e riducibili in beni di consumo a volontà. Ciò non significa che si sia giunti all'estremo limite della capacità produttiva, ché anzi il regime capitalista é oggi di ostacolo allo sviluppo completo delle forze economiche e la sua produzione sarà di gran lunga superata da un'organizzazione sociale su base collettiva e internazionale, che porterà ad un'ancor più grande perfezione la suddivisione del lavoro e l'utilizzazione delle energie motrici naturali, segreto di tutta la tecnica moderna. Resta pertanto il fatto che la produzione odierna è stata raggiunta sulla base di una moltiplicazione enorme delle passate possibilità, moltiplicazione che, lungi dell'esaurirsi, si sviluppa di giorno in giorno costituendo una delle caratteristiche più spiccate della dinamica capitalista. Sennonché lo sviluppo della produzione o della capacità di produzione non solo non é accompagnato da un corrispondente miglioramento della situazione economica delle masse, ma é contraddistinto da una riduzione, non sempre omogenea e costante, ma comunque certa, delle condizioni di vita e del reddito medio dei lavoratori.

 

 

Infatti, nella società capitalistica, il lavoratore, il proletario, colui che non possiede altra ricchezza all'infuori della propria forza di lavoro, si trova costretto, nella pratica corrente della vita quotidiana, ad accettare le condizioni che lo pongono ai margini della stessa società e gli impediscono in ogni caso di godere dei benefici che la naturale evoluzione della tecnica e le maggiori ricchezze disponibili potrebbero senza fatica assicurargli. Non é il caso di cercare le ragioni di questo diseredamento nella perversità o iniquità di questo o quel datore di lavoro; basta soffermarsi a considerare la natura del contratto di lavoro e il modo in cui l'operaio é costretto ad accettarlo. Il lavoratore offre la propria forza di lavoro come una merce qualsiasi, ed essa, come tutte le altre merci, costa esclusivamente il proprio prezzo di riproduzione. Questo prezzo di riproduzione corrisponde evidentemente al costo di mantenimento del lavoratore e della sua famiglia, maggiorato delle eventuali spese necessarie a far acquisire a questa forza-lavoro determinate capacità tecniche attraverso l'istruzione professionale, la cultura generale ecc. Tali esigenze possono richiedere la concessione di determinate agevolazioni ai lavoratori, e queste agevolazioni si é soliti portare a dimostrazione di una pretesa capacità di miglioramento del tenore di vita delle masse da parte del capitalismo. Ma la diminuzione del costo degli articoli di prima necessità e il generalizzarsi dell'istruzione tecnica determinano ben presto una riduzione reale del salario che viene così ad adeguarsi al nuovo stato di cose sulla base della vecchia formula “salario = costo minimo della vita”.

 

 

 

Nel contempo é invece aumentata la capacità sociale di produrre ricchezze e tale capacità si traduce in una maggiore accumulazione di plusvalore da parte del capitalista. D'altra parte il capitalista non consuma tutte le ricchezze di cui dispone e il capitale accumulato viene destinato a nuovi investimenti tecnici e produttivi, con la conseguenza di ripetere il suaccennato fenomeno, anzi di approfondirlo, a spese, come sempre, delle masse lavoratrici. Nessun aumento della capacità di produzione in regime capitalista può dunque andare disgiunto da una riduzione del reddito medio del lavoratore, riduzione spesso sanzionata dagli stessi organismi che dovrebbero sindacalmente difendere i lavoratori.

 

 

 

Questo processo di graduale impoverimento non si limita ai soli strati proletari ma é accompagnato dall'immiserimento dei ceti medi e dalla distruzione degli strati di piccoli proprietari e benestanti, che sono la naturale conseguenza del sempre maggior accentramento produttivo richiesto dallo sviluppo della tecnica moderna e dalla potenza del capitale monopolistico. Senza dilungarci di più basti qui constatare come, oltre alla tendenza generale al ribasso del reddito effettivo dei salari, vi siano nella società borghese altri fattori che contribuiscono ad accelerarlo e ad aggravarlo. Tali fattori sono essenzialmente rappresentati dalle crisi da cui é travagliato ormai insanabilmente il regime capitalista nella sua fase di decadenza, crisi che si esprimono in periodi di grave disoccupazione, di svalutazione o di guerra che assestano continui colpi alle condizioni di vita delle masse lavoratrici depauperandole anche dei pochi risparmi accumulati, lesinando sul vitto, e determinando tracolli nel tenore di vita in genere, da cui non si riesce a risalire prima che una nuova crisi, e quindi un nuovo tracollo, non si manifestino. 

 

 

 

     
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