DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

 

 

 6. - La guerra di Spagna, premessa alla seconda guerra imperialistica mondiale (1936-1940)

 

La fase della degenerazione progressiva dello stato sovietico e dei partiti comunisti doveva inevitabilmente concludersi con una partecipazione di prima linea al massacro imperialista, localizzatosi dapprima in Spagna (1936-39), estesosi in seguito al mondo intero (1939-45). Questo processo degenerativo ha inizio, come abbiamo visto, nel 1926 con la costituzione del Comitato anglo-russo, e fu Bukharin ad esprimere chiaramente il sostanziale e radicale cambiamento intervenuto nei termini programmatici della politica dello stato russo e dell'Internazionale.

 

Tra fronte unico e Comitato anglo-russo la soluzione di continuità è inequivocabile, brutale. Il primo è inquadrato nei termini classici dell'antagonismo capitalismo-proletariato (il proletariato agendo attraverso il partito di classe e lo stato rivoluzionario), e la divergenza fra le opposizioni francese, austriaca, tedesca, ma particolarmente fra la sinistra italiana e la direzione dell'Internazionale resta nei quadri del problema della tattica da seguire per favorire lo sviluppo dell'azione di classe e del Partito. Il secondo, il Comitato anglo-russo, è inquadrato nella formula di Bukharin il quale dichiara che la sua giustificazione si trova nella difesa degli interessi diplomatici dello stato russo. Diplomatici, giacché non si tratta di una battaglia militare limitata ad avvenimenti determinati, ma di tutto un processo politico. L'impostazione programmatica non è più nel quadro “capitalismo-proletariato”, ma nel quadro “stato capitalista-stato sovietico” Questa nuova contrapposizione non è evidentemente, né poteva essere, una semplice modificazione di formulazioni che esprimano tuttavia una sostanza analoga alla precedente. I criteri stessi della definizione dello stato capitalista e dello stato proletario non sono più quelli marxisti, ma gli altri, positivisti e razionalisti, imposti dall'evolvere della situazione.

 

Precedentemente le nozioni di classe e di stato capitalista erano unitarie, sintetiche e discendevano dall'analisi dei rapporti di produzione. A partire dal 1926 il Comintern procede ad una dissociazione della nozione della classe ed il problema non consiste più in un azione tendente alla distruzione dello stato che ne impersona il dominio, ma in un'azione tendente ad appoggiare od a scalzare una determinata forza capitalista (qualificata capitalismo per antonomasia). E quale forza capitalista? Quella che entra in conflitto con gli interessi “diplomatici” dello stato sovietico nel momento particolare dell'evoluzione internazionale.

 

All'epoca del Comitato anglo-russo i contorni di questa politica radicalmente opposta alla precedente non sono ancora bene definiti, ma il problema è già chiaro: abbiamo una divergenza fra la difesa degli interessi del proletariato inglese, impegnato in una grande battaglia di classe, e gli interessi dello stato russo che punta sull'Inghilterra per rafforzare le sue deboli posizioni nell'evoluzione antagonica degli stati sul campo internazionale. Se l'avallo dato ai tradunionisti, presentati ai proletari inglesi come i capi del loro sciopero ed i difensori dei loro interessi, si risolve poi in un risultato opposto a quello previsto, giacché il Governo inglese passa alla lotta contro il Governo russo, ciò non modifica in nulla l'alterazione fondamentale intervenuta nella politica del Comintern e che si precisa nel periodo del “social-fascismo” quando si passa alla lotta contro la socialdemocrazia come forza a sé stante. Non si muove più dagli obiettivi di classe del proletariato tedesco per dedurne una tattica di lotta simultanea contro socialdemocrazia e fascismo, ma poiché la prima è elevata al rango di nemico numero uno, si scivola in una posizione di fiancheggiamento della manovra di Hitler per il legalitario smantellamento delle posizioni detenute nello stato capitalista tedesco da democratici e socialdemocratici. In questo caso i benefici “diplomatici” non mancarono allo stato russo e la crudele disfatta del proletariato tedesco si accompagnò con un netto miglioramento dei rapporti economici fra Russia e Germania.

 

Dopo il social-fascismo, il Fronte Popolare e la guerra di Spagna prima, la guerra mondiale in seguito. Il processo di inversione subito dai partiti comunisti e dallo stato sovietico va ancora oltre i limiti raggiunti con la tattica del social-fascismo, giacché si tratta ora di ricollegare i lavoratori con l'apparato dello stato capitalista, pacificamente in Francia, con le armi in Spagna prima, in tutti i paesi poi.

 

La nuova politica si presenta non sotto l'aspetto coerente di lotta contro la forza politica capitalista, espressione della classe borghese nel suo insieme, ma sulla linea contraddittoria che solleva, volta a volta, al rango di nemico numero uno la socialdemocrazia od il fascismo, secondo le necessità dell'evoluzione dello stato sovietico nelle determinate situazioni internazionali.

 

Modificazione dapprima, falsificazione ed inversione in seguito, non si limitano alla caratterizzazione della classe capitalista ma investono anche quella dello stato proletario nel nuovo binomio, cui abbiamo accennato, di stato capitalista-stato proletario, e che, a partire dal 1926, sostituisce quello di capitalismo-proletariato. Lo stato proletario non è più quello che identifica la sua sorte con quella del proletariato mondiale, ma quello in cui si personifica la difesa dei lavoratori di tutti i paesi. Fino al 1939 i proletari di ogni paese vedono i loro interessi accomunarsi con i successi diplomatici dello stato russo, dal 1939 al 1945 i proletari dànno la loro vita per i successi militari di questo stato. Quanto alla situazione dei proletari russi essa è altrettanto tragica: prima l'intensivo sfruttamento in nome del socialismo, poi il loro massacro sotto la stessa bandiera. In definitiva quindi il bilancio degli avvenimenti di cui abbiamo trattato deve sollevarsi ad un piano ben più alto di quello limitato alla tattica dei partiti comunisti, e deve vertere non sull'aspetto formale ed organizzativo dei rapporti fra stato proletario e partito di classe, ma sul tipo concreto di questi rapporti che la storia ha presentato, per la prima volta, con la vittoria dell'ottobre 1917 in Russia. Stato proletario e partito di classe sono strumenti convergenti della lotta del proletariato rivoluzionario ed è da respingere come reazionaria l'ipotesi della loro separazione. Solamente è necessario trarre dalla formidabile esperienza russa gli insegnamenti per stabilire la loro organica convergenza in vista della futura rivoluzione. Questo è il problema centrale cui pensiamo dovrà dedicarsi la nostra rivista prendendo le mosse dalla politica seguita dallo stato russo anche nel periodo eroico, quando Lenin si trovava al suo timone, giacché la nostra illuminata ammirazione per il grande rivoluzionario non ci impedisce di affermare categoricamente che la sorgente della degenerazione ed inversione della rivoluzione russa si trova nell'insufficiente soluzione data al problema dei rapporti organici fra stato rivoluzionario e partito di classe in altri termini al problema della politica dello stato proletario su scala nazionale ed internazionale, insufficienza legata a sua volta in modo ineluttabile al fatto che la questione sorgeva per la prima volta nell'ottobre 1917.

 

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Per comprendere gli avvenimenti spagnoli occorre rifarsi innanzi tutto all'elemento fondamentale della concezione marxista, al punto vitale di quella che i francesi chiamano “démarche” del pensiero. Sceverare l'essenziale dall'accessorio.

 

È forse perché nel campo repubblicano ed antifascista si ciancia di socialismo perché centinaia di migliaia di proletari impugnano le armi in nome del socialismo, che si può affermare la esistenza delle condizioni reali per questa lotta? Nella nostra premessa abbiamo indicato che la lotta fra le classi fondamentali, fra il capitalismo ed il proletariato, si svolge, a partire dall'ottobre 1917, su un piano più elevato del precedente ed impone al proletariato di impiegare il suo stato rivoluzionario: questo è portato ad accentrare sul fronte proletario i movimenti sociali che si svolgono anche al di fuori delle sue frontiere geografiche; ma nella fase della sua degenerazione può procedere ad un analogo accentramento solo grazie ad una radicale modificazione che lo riporti alla sua posizione originaria. In caso contrario essa diventa il polo della politica della controrivoluzione, come avvenne prima nella zona antifascista della Spagna, poi nei paesi democratici quando sorse il movimento dei partigiani nel corso della seconda guerra imperialista.

 

Il ruolo essenziale nel settore antifascista della Spagna è stato giocato dallo stato russo, non dal quasi inesistente partito comunista spagnolo.

 

La nostra analisi degli avvenimenti dimostrerà che unicamente sul fatto centrale imposto dagli avvenimenti - la guerra - era possibile procedere alla discriminazione di classe e determinare in conseguenza la posizione del proletariato rivoluzionario, mentre questa discriminazione era impossibile sul fronte dei fenomeni accessori, quali quelli della eliminazione del padrone dalle fabbriche, dei partiti classici della borghesia dal governo e persino, nei giorni del più acceso tumulto sociale, dell'eliminazione dello stesso governo.

 

Se noi presentiamo succintamente il film degli avvenimenti spagnoli, con questo non intendiamo ammettere l'ipotesi che una diversa tattica del Partito Comunista o di qualsiasi altra formazione politica avrebbe potuto determinare un differente sbocco delle situazioni, ma lo facciamo unicamente per dimostrare in primo luogo che tutte le “iniziative operaie” erano in definitiva la sola forma attraverso la quale poteva sussistere - in quelle determinate circostanze - la classe capitalista (ed essa sussisteva politicamente e storicamente anche se fisicamente assente nelle fabbriche od abilmente dissimulata nel governo antifascista, perché raggiungeva il suo obiettivo fondamentale di impedire l'affermazione della classe proletaria sul problema della guerra e dello stato), in secondo luogo per mettere in evidenza gli elementi di un'evoluzione che - sia pure in forme meno accentuate - si è estesa negli altri paesi dopo la guerra mondiale e che si è espressa nella liquidazione del padronato dalle industrie nazionalizzate, provvisoriamente o definitivamente.

 

Il fatto che la sinistra italiana sia la sola corrente restata superstite dopo la crudele ecatombe che, dopo la prova generale della Spagna nel 1936-39, si estese poi al mondo intero nel 1939-45 non è dovuto a circostanze fortuite. Partiti socialisti e comunisti non potevano che esercitare un ruolo ferocemente controrivoluzionario man mano che le situazioni giungevano al punto termine della loro evoluzione. Ma la Spagna ha anche rappresentato la tomba del trotzkismo e delle variopinte scuole dell'anarchismo e del sindacalismo.

 

Trotzky, il gigante del “manovrismo”, aveva dato perfino una giustificazione teorica della possibilità per il proletariato di incunearsi nell'antagonismo democrazia-fascismo, affermando che dall'inettitudine storica della democrazia a difendersi dal fascismo e dalla necessità sempre storica di opporsi ad esso, poteva nascere la condizione per un intervento del proletariato, sola classe capace di portare alla sua conclusione rivoluzionaria la lotta antifascista. Era perciò inevitabile che Trotzky prendesse un posto di prima linea nella difesa e nell'incremento delle “realizzazioni rivoluzionarie”, ottenute nelle fabbriche e nei campi o nell'organizzazione dell'esercito combattente.

 

Gli anarchici, dal canto loro, se nei primi giorni poterono evitare di compromettere la loro “purezza antistatale”, dovevano trovare in questi avvenimenti la terra di elezione per i loro esperimenti di “comuni liberi”, di “cooperative libere”, di “esercito libero”. Tutte queste “libertà” si concludevano nell'altra “libertà”, la fondamentale: quella di fare la guerra antifascista.

 

La fondazione del Partito in Italia si accompagno con una chiara presa di posizione non solamente sui problemi fondamentali dell'epoca, ma anche su quello che sorgeva come riflesso dello sviluppo dell'offensiva fascista: il dilemma democrazia-fascismo - disse il Partito - cade nei quadri della classe borghese e l'opposizione della classe proletaria non può svilupparsi che in funzione dei suoi obiettivi specifici. La lotta per questi obiettivi, anche nel momento dell'attacco legalitario od extra-legalitario del fascismo, impone la simultaneità della lotta contro la democrazia e contro il fascismo. La ferma posizione della nostra corrente fu confermata da tutto lo sviluppo degli avvenimenti spagnoli i quali videro nella lunga ed estenuante guerra di circa tre anni l'opposizione di due eserciti inquadrati nei rispettivi apparati statali entrambi capitalisti: quello di Franco appoggiantesi sulla struttura classica dello stato borghese, l'altro madrileno e catalano le cui ardite iniziative periferiche nel campo economico e sociale non potevano che incastrarsi in un'evoluzione contro-rivoluzionaria perché in nessun momento era stato posto il problema della creazione di una dittatura rivoluzionaria. Non poche furono le occasioni presentate dagli avvenimenti spagnoli per smentire le posizioni difese da Trotzky: dalle stesse battaglie militari vinte dal Governo antifascista risultava infatti non una situazione favorevole all'affermazione autonoma del proletariato ma una condizione per rafforzare il suo legame allo stato capitalista antifascista, giacché solo dalla efficienza di questo poteva esser garantito il successo contro Franco; argomento inconfutabile, dal momento che si ammette la partecipazione alla guerra.

 

La conferma della posizione marxista contro tutte le scuole anarchiche e sindacaliste non poteva essere più luminosa. In effetti, soprattutto nel primo periodo degli avvenimenti successivi allo stabilimento dei fronti militari, dall'agosto 1936 al maggio 1937, le condizioni erano le più favorevoli alla realizzazione dei postulati anarchici. Di fronte al disfacimento dell'apparato statale, particolarmente in Catalogna, alla fuga ed all'eliminazione dei padroni, tutte le iniziative spontanee ebbero libero corso. E gli anarchici erano in grande maggioranza alla testa dell'esercito, dei sindacati, delle cooperative agricole ed industriali, della stessa rete statale embrionale di Barcellona. Il fallimento non può quindi essere imputato ad un'incompiutezza delle condizioni obiettive, mentre il pretesto sempre invocato per giustificare l'insuccesso, e cioè l'appoggio dato a Franco da Mussolini ed Hitler, non può essere invocato dagli anarchici, giacché essi chiedevano, in replica all'intervento fascista in Spagna, non una lotta del proletariato degli altri paesi contro i loro rispettivi governi democratici, ma una pressione di questi proletariati per determinare l'intervento armato dei governi capitalisti in favore della Spagna repubblicana od almeno l'invio di armi per il successo della guerra antifascista.

 

Come abbiamo detto, la discriminazione di classe non poteva farsi che in funzione del problema centrale: quello della guerra. Questo fece la nostra corrente e quando, nell'agosto 1936, ad una riunione del Comitato Centrale del P.O.U.M. (Partito Operalo di Unificazione Marxista) - partito dell'estrema sinistra di Catalogna - il nostro delegato, che era presente in qualità di osservatore, espresse la sua opinione che si dovesse propagare non l'idea del massacro dei lavoratori irregimentati da Franco, ma l'opposta idea della fraternizzazione, i dirigenti di quest'organismo “marxista” affermarono categoricamente che simile propaganda meritava la pena di morte.

 

Come qualificare imperialista la guerra antifascista di Spagna, quando per sovrappiù era non solamente impossibile, ma inconcepibile determinare gli interessi imperialistici in antagonismo poiché si trattava di due eserciti dello stesso paese? È indiscutibile che gli avvenimenti spagnoli ponevano, per quanto concerne la caratterizzazione della guerra che vi si sviluppava, un problema inedito ai marxisti. Ma se precedenti storici calzanti non potevano essere trovati, il metodo di analisi marxista permetteva tuttavia di affermare che, per quanto fosse vero che contrastanti interessi specifici ed imperialistici non potevano essere individuati nel duello Franco-Frente Popular, il carattere imperialista sia della guerra di Franco, sia di quella del Frente Popular risultava in modo indiscutibile dal fatto che né l'una né l'altra si appoggiava sull'organizzazione dittatoriale e rivoluzionaria dello stato proletario. La cosa era analoga per quanto concerne la Catalogna dell'autunno 1936: il deperimento dello stato catalano precedente, non essendo superato dall'istituzione dello stato proletario, non poteva che conoscere una fase (d'altronde transitoria) nel corso della quale la persistenza della classe borghese al potere si affermava non fisicamente e direttamente, ma grazie all'inesistenza di una lotta proletaria diretta alla fondazione dello stato proletario.

 

Nei due casi, della caratterizzazione della guerra e dello stato catalano, la natura imperialista della prima, capitalista del secondo non risulta dagli elementi esteriori (la posta della guerra, l'apparato di costrizione dello stato), ma dagli elementi sostanziali che si condensano nell'inesistenza dell'affermazione della classe proletaria, la quale in Spagna non è in grado - nemmeno attraverso una sua sparuta minoranza - di porre il problema del potere. Si è già detto che il proletariato deriva dalla negazione della negazione del capitalismo, da una negazione che contiene cioè implicitamente l'affermazione dell'opposto.Il Frente Popular resta allo stato di semplice negazione di Franco ed occorreva impostare la negazione dello stesso Frente Popular perché potesse affermarsi la classe proletaria. Questo processo di negazioni non si imposta evidentemente sul piano formale e formalista, razionale e razionalista, ma risulta dialetticamente dalla precisazione teorica e politica della classe proletaria. Solo la fissazione degli obiettivi di questa classe pone il corso della lotta rivoluzionaria contro lo stato di Franco, contro quello di Barcellona e Madrid e contro il capitalismo mondiale. È d'altronde su questo piano che si situa lo sciopero generale scoppiato in replica all'attacco di Franco.

 

Passiamo ora ad una succinta esposizione dei fatti più importanti. 

 

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A differenza degli altri paesi la Spagna non conosce la rivoluzione borghese. L'organizzazione feudale della società spagnola si annette importantissimi territori d'oltre mare fornendo così la possibilità al clero ed alla nobiltà di accumulare ricchezze enormi. Il modo capitalista di produzione che si stabilisce nei centri minerari ed industriali del paese non determina la caduta delle caste feudali dominanti ma - contrariamente alla Russia dove lo stato czarista e la borghesia non si confondono e restano distinti anche se non in opposizione - nella Spagna tali caste e lo stato si adattano alle esigenze dell'economia industrializzata, localizzata solamente in alcuni centri. Quando poi, sulla fine del secolo scorso, scocca l'ora dell'avviamento verso l'industrializzazione delle vecchie colonie spagnole, i legami si spezzano e l'impero si sfascia.

 

D'altra parte, a differenza dell'Inghilterra, la Spagna non procede ad una intensa industrializzazione del paese in connessione con le possibilità offerte dal possesso delle colonie sicché, quando in Europa abbiamo la formazione dei possenti stati capitalisti, la borghesia spagnola è privata di ogni possibilità di affermazione nel campo delle competizioni internazionali.

 

Nobiltà e clero non solo restano i detentori delle proprietà terriere ma diventano anche proprietari di compagnie minerarie, di banche e di imprese industriali e commerciali, mentre i settori a più alto sviluppo industriale, la Catalogna e le Asturie, passano in gran parte sotto il controllo del capitale estero prevalentemente inglese.

 

Questi precedenti storici determinano un congegno particolare della società borghese spagnola in cui lo sviluppo dell'industrializzazione è arrestato dalla persistenza dei legami feudali. Il movimento operaio, in cui tanto all'epoca della Prima Internazionale, quanto ai nostri giorni, predominano gli anarchici, ne risente al punto che fino ad oggi non si sono presentate le condizioni per la costituzione di un partito fondato sulle concezioni marxiste. I sussulti sociali che vi si sono verificati trovano nelle dette condizioni obiettive la premessa per attingere un alto clima di lotta, ma l'impossibilità di una radicale modificazione dell'arcaica struttura sociale della borghesia condanna il proletariato a rimanere al di qua di un'affermazione specifica della sua classe. Marx già nel 1845 notava che una rivoluzione che richiedesse tre giorni in un altro paese d'Europa, domanderebbe nove anni in Spagna. Trotzky dal canto suo spiegava l'intervento dell'esercito nel campo sociale come risultante dal fatto che esso - al pari del clero e della nobiltà - tendeva a conquistare, senza mai, d'altronde, potervi giungere, una posizione di predominio sociale a lato delle altre due caste esistenti. In una parola dunque l'inesistenza delle condizioni storiche per la lotta borghesia-feudalesimo determina l'inesistenza storica delle condizioni per una lotta autonoma e specifica della classe proletaria ed esclude l'ipotesi che la Spagna possa giocare il ruolo di epicentro degli sconvolgimenti rivoluzionari internazionali.

 

Nel 1923, in relazione ai disastri della campagna del Marocco, Primo de Rivera prende il potere ed il regime che egli instaura è erroneamente qualificato fascista. Nessuna minaccia rivoluzionaria giustificava l'istituzione di una dittatura a tipo fascista e, in effetti, l'inquadramento corporativista comporta la partecipazione dei socialisti agli organi consultivi, alle Commissioni paritarie istituite per il regolamento dei conflitti di lavoro, e Largo Caballero, segretario dell'Unione Generale dei Lavoratori sotto controllo socialista, è persino nominato Consigliere di Stato. Sotto De Rivera la borghesia spagnola cerca invano di procedere ad una riorganizzazione dello stato su basi centralizzate del tipo degli altri stati borghesi. Questo tentativo fallisce e, nel folto della grande crisi economica mondiale scoppiata nel 1929, il capitalismo si trova a dovere fronteggiare una situazione sociale difficile e complessa. Lo stato del tipo De Rivera non conviene più giacché la situazione non consente la soluzione arbitrale dei conflitti del lavoro, e possenti movimenti di massa sono inevitabili. La conversione che allora si opera e che risponde agli interessi di dominio del capitalismo, è giudicata da tutte le formazioni politiche, ad eccezione della nostra, come l'avvento di un nuovo regime imposto dalla maturazione rivoluzionaria delle masse.

 

Nel gennaio 1930 De Rivera è liquidato. Un altro generale, Bérenguer, ne prende il posto per assicurare il trapasso verso il nuovo governo. A S. Sebastiano, nell'agosto del 1930, è concluso il patto fra i successori e, dopo le elezioni municipali che danno la maggioranza ai repubblicani in 46 capoluoghi su 50, quando si presenta la prima minaccia di un movimento operaio (lo sciopero dei ferrovieri), nel febbraio 1931, il monarchico Guerra prende l'iniziativa di organizzare la partenza del re Alfonso XII.

 

È, come abbiamo detto, un periodo di intensi conflitti sociali che si apre. Questi conflitti sono inevitabili a causa dell'estrema debolezza della borghesia spagnola allo scoppio della crisi economica mondiale. Ma la borghesia, incapace di evitare questi conflitti, dimostra una grande sagacia nell'impedirne gli sviluppi rivoluzionari. La proclamazione della repubblica non è sufficiente ad evitare l'immediato scoppio dello sciopero telefonico in Andalusia, a Barcellona, a Valenza. Il movimento dei contadini di Siviglia prende forme violente: il governo di sinistra massacra trenta contadini ed il reazionario Maura, ministro degli Interni, felicita i socialisti per il contegno assunto in difesa dell'ordine e della repubblica. Accanto all'U.G.T. (l'organizzazione sindacale controllata dai socialisti), la C.N.T. (Confederazione Nazionale Lavoratori controllata in forma monopolistica dagli anarchici) circoscrive nel campo strettamente salariale e rivendicativo questi movimenti i quali non avrebbero potuto trovare uno sbocco che sul piano politico della lotta contro lo stato repubblicano.

 

Nel giugno 1931 le elezioni danno una stragrande maggioranza ai partiti di sinistra e Zamora cede li posto ad Azaña, il quale esclude la destra dal governo. Parallelamente ad un aggravarsi della tensione sociale si ha da una parte lo spostamento sempre più a sinistra del Governo, dall'altra l'accentuarsi della repressione dei movimenti. Il 20 ottobre 1931 il?Ministero Azaña-Caballero sentenzia che la giovane repubblica è in pericolo e fa votare la legge di difesa che, nel capitolo consacrato all'arbitraggio obbligatorio, contiene la messa fuori legge di quei sindacati che non diano due giorni di preavviso prima di proclamare lo sciopero. La U.G.T., che è al governo, prende posizione aperta contro gli scioperi “anti-repubblicani”, la C.N.T. mantiene il suo agnosticismo di fronte all'azione violenta e terrorista del Governo di sinistra e i due giorni di cui parla la legge non bastano ai dirigenti sindacali per evitare lo scoppio dei moti di rivolta. La C.N.T. riesce però a mantenere sotto il suo controllo tutti gli scioperi e si limita a non assumere la paternità di quelli che escono dai quadri della legalità repubblicana.

 

Dopo che, all'inizio del 1932, il governo a partecipazione socialista ottiene alle Cortès la unanime fiducia per il modo come combatte gli scioperi, si assiste nell'agosto 1932 al primo raggrupparsi delle forze di destra. Ma il momento non è ancora propizio, l'atmosfera è ancora troppo carica di esplosivi sociali e il colpo di mano di Sanjurjo per impadronirsi del potere fallisce.

 

Nel settembre 1932 è infine votata la riforma agraria. Le condizioni fatte ai contadini che diventano “proprietari” sono tali che essi dovranno attendere 17 secoli prima di liberarsi dagli impegni contenuti nell'atto di acquisto. Nel gennaio 1933 l'azione repressiva del governo raggiunge l'apice: gli operai scioperanti sono massacrati a Malaga, Bilbao, Saragozza. Dopo queste imprese, e quando una certa stanchezza si manifesta fra le masse, si presentano le condizioni per un nuovo cambio del personale di governo: l'8 settembre 1933 Azaña dà le dimissioni, le nuove elezioni del 19 novembre 1933 danno la maggioranza ai partiti di destra, e si forma il governo Lerroux-Gil Roblès sotto influenza dei ceti agrari. Quando, nell'ottobre 1934, scoppia l'insurrezione delle Asturie, il governo di destra non fa che seguire le orme dei predecessori di sinistra e il movimento è soffocato nel sangue. I socialisti avevano declinato ogni responsabilità per questa forma “selvaggia” di lotta e gli stessi anarchici avevano ordinato la ripresa del lavoro.

 

Nel corso della pausa di tensione sociale (tragicamente interrotta dall'insurrezione delle Asturie) che va dal settembre 1934 al febbraio 1936 sono i governi di destra al timone dello stato borghese e la repressione si esercita soprattutto sul piano legalitario: al momento delle elezioni del 16 febbraio 1936, 30.000 sono i prigionieri politici.

 

In connessione con l'atmosfera internazionale che conoscerà ben presto i grandiosi movimenti di Francia e del Belgio, si apre in Spagna un periodo di tensione sociale ancor più alta di quella del 1931-33, e di conseguenza la borghesia spagnola richiama al potere i suoi servi di sinistra. In questo clima sociale più arroventato, gli stessi anarchici si allineano alle necessità della nuova situazione: i feroci astensionisti di ieri, in un comizio a Saragozza, dopo aver solennemente riaffermato l'apoliticità della C.N.T., lasciano liberi di votare i loro membri mentre il Comitato regionale di Barcellona, due giorni prima delle elezioni, fa aperta propaganda a favore delle liste del Frente Popular sotto il pretesto che propugna l'amnistia.

 

Le elezioni del 16 febbraio 1936 segnano un successo schiacciante per il Frente Popular che ottiene la maggioranza assoluta alle Cortès. Esso è composto della sinistra repubblicana di Azaña, dei radicali dissidenti di Martinez Barrios, del Partito Socialista, del Partito Comunista, del Partito sindacalista, di Pestaña e del Partito di unificazione marxista (il Poum, risultante dalla fusione del vecchio blocco “operaio e contadino” di Barcellona diretto da Maurin, che aveva sempre occupato una posizione di destra nell'Internazionale, e della tendenza trotzkista diretta in quel momento da Andrea Nin). Il programma elettorale contiene: amnistia generale, abrogazione delle leggi regressive, diminuzione delle imposte, politica di crediti agrari.

 

Dopo le elezioni si forma il governo di Azaña con soli rappresentanti della sinistra. Ma nella indicata situazione di aggravamento della tensione sociale, la borghesia non può limitarsi alla concentrazione in un solo governo; le altre sue forze restano in attesa e già nell'aprile del 1936, in occasione della commemorazione della fondazione della Repubblica, i partiti di destra organizzano una contro-manifestazione che viene qualificata di “rivolta”. Alla seduta delle Cortès, Azaña dichiara:
“il governo ha preso una serie di misure, ha allontanato o trasferito i fascisti che si trovavano nell'amministrazione. Le destre sono prese dal panico, ma non oseranno più rialzare la testa”. Si è a meno di tre mesi dall'“insurrezione del fazioso Franco”: il Partito Comunista, entusiasta delle dichiarazioni di Azaña, vota la fiducia al Governo.

 

Nei primi giorni del luglio 1936, è assassinato il luogotenente Castillo aderente al Frente Popular e, per rappresaglia, il capo monarchico Sotelo è a sua volta ucciso. Il Frente Popular e tutti i partiti che lo compongono esprimono un sacro sdegno per l'accusa lanciata dalla destra di esserne responsabile, il Presidente del Consiglio Quiroga deve dar le dimissioni perché una frase del suo discorso aveva potuto essere interpretata come di incoraggiamento agli autori dell'assassinio.

 

Dal Marocco Franco lancia la sua offensiva, i cui obiettivi iniziali sono Siviglia e Burgos: due centri agrari, il primo dei quali, per avere conosciuto le più violente ma inconcludenti sommosse contadine, offre le condizioni migliori per il successo del colpo di mano.

 

È dunque nel seno stesso di un apparato statale sotto il controllo completo del Frente Popular che può essere minuziosamente organizzata l'impresa di Franco, i cui preparativi non potevano sfuggire agli stessi ministri di sinistra e di estrema sinistra. Di più, la prima reazione di questi partiti è manifestamente conciliante. Il radicale Barrios, che aveva già presieduto nel 1933 alla conversione del governo dalla sinistra alla destra, cerca di ripetere l'operazione in senso inverso e se essa non riesce non è perché il compromesso sia escluso in linea di principio, ma perché l'atmosfera sociale non lo consente.

 

In risposta all'attacco di Franco si scatena il 16 luglio lo sciopero generale che ha un successo completo soprattutto a Barcellona, Madrid, Valenza, nelle Asturie, mentre i due punti di appoggio di Franco, Siviglia e Burgos, sono saldamente tenuti dai rivoltosi.

 

Un nostro contraddittore non ha avuto torto di chiederci: ma infine, per voi tutti gli avvenimenti precedenti e successivi allo sciopero generale non contano nulla, mentre lo stesso sciopero generale non sarebbe stato che un'infezione momentanea di morbillo? In realtà, per quanto concerne il movimento proletario, lo sciopero generale non rappresentò che un'esplosione fulminea della coscienza di classe del proletariato spagnolo: solo in quei pochi giorni si assisté non ad una lotta armata fra due eserciti borghesi ma ad una fraternizzazione degli scioperanti coi proletari irregimentati nell'esercito, i quali, facendo causa comune coi proletari insorti, disarmano immobilizzano od eliminano il corpo dirigente dell'esercito stesso.

 

Immediatamente lo stato democratico e antifascista riprende in mano la situazione: a Madrid la gerarchia si stabilisce attraverso gli “Uffici di arruolamento” controllati dallo stato, a Barcellona in modo meno immediato: Companys (capo della sinistra catalana) dichiara, d'accordo coi dirigenti della C.N.T., che “la macchina statale non deve essere toccata perché può essere di una certa utilità per la classe operaia” e sono immediatamente creati i due organismi destinati ad assicurare il primo controllo statale; nel campo militare il “Comitato Centrale delle Milizie”, nel campo economico il “Consiglio Centrale dell'Economia”. Il C. C. delle Milizie comprende 3 delegati della C.N.T., 2 delegati della F.A.I. (Federazione Anarchica Iberica), 1 delegato della sinistra repubblicana, 2 socialisti, 1 delegato della Lega dei “Rabasseres” (piccoli affittuari sotto il controllo della sinistra catalana), 1 della coalizione dei Partiti repubblicani, 1 del Poum e 4 rappresentanti della Generalidad di Barcellona (il consigliere della difesa il commissario generale dell'ordine pubblico e due delegati della Generalidad senza incarico statale fisso). Tutte le menzionate formazioni politiche assicurano la continuità dello stato capitalista in Catalogna dal luglio 1936 al maggio 1937 ed è superfluo aggiungere che la schiacciante maggioranza detenuta dalle organizzazioni operaie viene presentata come garanzia di assoggettamento della classe borghese alle esigenze del movimento proletario.

 

Frattanto, fin dal principio degli avvenimenti, Saragozza cade nelle mani di Franco e la prossimità di questo centro militare permette a Barcellona di presentare la necessità della vittoria militare contro il “fascismo” come comandamento supremo dell'ora, cui tutto deve essere perciò subordinato.

 

Il Partito Comunista spagnolo, il quale prende una posizione di prima linea nella guerra antifascista, non può tollerare equivoci, ed è a Mosca che la sua funzione di punta controrivoluzionaria è brutalmente svelata. Ecco che cosa dice il seguente infame comunicato: “L'Ufficio del Comitato Esecutivo dell'U.R.S.S. ha respinto il ricorso di grazia dei condannati alla pena capitale in data 24 agosto dal Collegio militare dell'U.R.S.S., nel processo del centro trockista-zinovievista unificato. Il verdetto nei confronti dei sedici condannati è stato eseguito”. L'“Humanité”, nel suo numero del 28-8-36, commenta: “Quando gli accusati approvarono la requisitoria di Viscinsky domandando di essere fucilati, non fecero che esprimere la loro convinzione di non potersi più attendere nessuna pietà. Essi ragionarono freddamente: noi volevamo assassinarvi, voi ci uccidete: è giusto. Questi sedici assassini sono dunque rimasti fino all'ultimo nemici accaniti del partito comunista, dello Stato e del popolo sovietico, e la loro morte ha epurato l'atmosfera del paese del socialismo che appestavano con la loro presenza”. Dal canto suo il procuratore Viscinsky concludeva così la sua requisitoria: “domando che questi cani arrabbiati siano fucilati fino all'ultimo”.

 

Sono questi stessi assassini dei proletari russi che si mettono all'avanguardia della guerra antifascista e scatenano l'offensiva per rispondere all'intervento di Hitler e Mussolini in favore di Franco con un analogo intervento degli altri paesi a favore del governo “legale repubblicano”.

 

Nel pieno degli avvenimenti spagnoli, quando ancora non era cessato lo sciopero generale, e d'altra parte si sviluppava lo sciopero in Francia, il capo del governo del Fronte Popolare francese, Leon Blum, considerando che l'apertura della frontiera dei Pirenei può stabilire un pericoloso contatto fra gli scioperanti dei due paesi, decide di chiuderla. Nell'agosto 1936, è lo stesso Blum che prende l'iniziativa della costituzione del “Comitato di non intervento in Spagna”, con sede a Londra e rappresentanti dei governi di tutti i paesi, fascisti e democratici, non esclusa la stessa Russia.

 

Il ruolo di questo “Comitato di non intervento” fu quello di evitare complicazioni internazionali, mentre ogni “Alta Parte Contraente” industrializzava i cadaveri dei proletari caduti in Spagna per farli servire al successo della controrivoluzione mondiale: in Russia per massacrare gli artefici della rivoluzione d'ottobre, nei paesi fascisti per preparare il clima alla guerra mondiale, in Francia per far divergere i movimenti operai dai loro obiettivi di classe. È noto infatti che la parola d'ordine centrale lanciata dai Partiti comunisti e dalla sinistra socialista fu: “aeroplani per la Spagna”.

 

Le vicende militari conoscono in Spagna alterne vicende. Tanto le sconfitte quanto le vittorie militari nella guerra antifascista sono utilizzate sul piano della progressiva eliminazione di tutte le iniziative extra-legali e della ricostruzione della gerarchia classica dello stato antifascista. Le sconfitte perché presentate come derivanti dalla mancanza di una stretta disciplina militare intorno al centro dirigente, le vittorie perché presentate come conferma dell'utilità di una ferma centralizzazione intorno allo stato maggiore militare.

 

Quanto agli anarchici, essi abbandonano, brandello per brandello, il loro programma. Dapprincipio, immediatamente dopo la conclusione dello sciopero generale del luglio 1936, essi rispondono ai primi tentativi di incorporazione dei lavoratori in forma organica nelle Milizie controllate dalla Generalidad con la parola “militi si, soldati no”, ma abbandonano bentosto questa posizione, di fronte alle necessità della lotta militare, per sloggiare i fascisti da Saragozza. Rinunciano poi all'opposizione al programma essenziale del Governo di estrema sinistra presieduto da Caballero: la costituzione del Comando unico esteso a tutto il territorio del settore antifascista coi capoluoghi di Madrid, Valenza e Barcellona. Le esigenze della lotta militare giustificavano pienamente sul piano strategico la necessità della centralizzazione nel comando unico, e gli anarchici giunsero fino alla partecipazione, attraverso i loro rappresentanti divenuti ministri, al governo Caballero. Questi - le parole tollerano ogni ingiuria - viene presentato come il Lenin spagnolo: lo stesso Caballero rimasto nel 1936-37 perfettamente coerente alla posizione che gli aveva valso la nomina a Consigliere di Stato sotto il regime di De Rivera!

 

Come abbiamo detto, nel periodo che va dalla liquidazione dello sciopero generale del luglio 1936 fino al maggio 1937, mentre lo stato madrileno può permettersi di mantenere persino il precedente apparato poliziesco delle “Guardie Civili”, in Catalogna l'apparato statale classico della borghesia conosce una fase di “vacanza” nel corso della quale il controllo sulle masse si stabilisce indirettamente attraverso il “Comitato Centrale delle Milizie” ed il “Consiglio dell'economia”. A questa fase di transizione succede l'altra dell'eliminazione di ogni elemento anche periferico che disturbi il regolare funzionamento dello stato capitalista antifascista. Nell'ottobre 1936, Caballero lancia il decreto per la militarizzazione delle milizie e la C.N.T., nella sua deliberazione del 14 ottobre, prescrive che non si potrà esigere il rispetto delle condizioni di lavoro né per quanto concerne il tempo di lavoro, né per i salari, né per le ore supplementari, in tutte le industrie collegate direttamente o indirettamente con la guerra antifascista, il che praticamente significa in tutte le imprese industriali.

 

Ci si avvia così al maggio 1937. Il 4 di questo mese, sotto pressione dello staliniano Comorera capo del P.S.U.C. (Partito Socialista Unificazione Catalana), la Generalidad di Barcellona decide di riprendere il controllo diretto della Compagnia dei Telefoni: è il segnale di un'azione generale tendente alla eliminazione di tutte le gestioni non direttamente inquadrate nello stato antifascista. Uno sciopero generale scoppia spontaneamente: tutte le formazioni politiche proclamano la loro innocenza da questo “delitto”, ed è col piombo e con la mitraglia che si reprime nel sangue il movimento. È suggestivo il fatto che Franco, benché gruppi importanti di proletari abbiano abbandonato il fronte e siano scesi a Barcellona, non approfitti dell'occasione per scatenare un'offensiva militare: lascia fare i suoi compari antifascisti perché dal loro successo dipende anche il suo. L'operazione riesce in pieno: tutte le iniziative periferiche sono eliminate dopo la violenta repressione del movimento di sciopero del maggio 1937. Si costituisce poi il Governo Negrin della resistenza “jusqu'au bout” nel quale sono riposte le ultime speranze di tutti i settori dell'antifascismo, ed è questo Governo che, dopo avere abbandonato Madrid, e dopo la tappa intermedia di Valenza, si trasferisce prima a Barcellona poi a Parigi, lasciando al socialista Besteiro il compito di trattare con Franco per la conclusione della guerra nel corso della primavera del 1939.

 

È da notare che, con la sua abilità ed il suo consueto cinismo, la borghesia spagnola procede, dopo lo sciopero del maggio 1937, alla liquidazione di alcuni degli elementi che erano stati al suo servizio nel momento critico del luglio 1936. È il caso di Andrea Nin, Ministro della Giustizia nel primo governo antifascista di Barcellona. Questi, trasferito a Madrid, è poi prelevato da elementi “irregolari” (leggi staliniani) per essere assassinato in circostanze che non sono mai più state chiarite. È anche il caso dell'anarchico Berneri, arrestato dalla polizia di Barcellona, la quale seguendo la tecnica delle spedizioni punitive fasciste aveva precedentemente fatto una visita domiciliare per assicurarsi che la vittima era disarmata. Invece di essere condotto in prigione, Berneri è assassinato; gli anarchici protestano ma non sognano nemmeno di rompere la solidarietà che li lega al governo antifascista.Abbiamo parlato del Comitato Internazionale di non-intervento. Esso era pienamente riuscito ad evitare sia le possibili complicazioni internazionali derivanti dalla guerra spagnola, sia l'eventualità di un intervento autonomo del proletariato internazionale e spagnolo nel corso di questi avvenimenti. Vogliamo osservare che la Russia, la quale lasciava ai partiti comunisti il compito di protestare contro la politica di quello stesso comitato al quale partecipava, non prese un'iniziativa di aperto intervento armato in Spagna se non dopo che la caduta di Irun, il 1 settembre 1936, e le sue conseguenze (costituzione del governo a tendenza centralizzata presieduto dal “sinistro” Caballero) le ebbero dato le necessarie garanzie. Il decreto sulla militarizzazione delle milizie e le “consegne sindacali” della C.N.T. per la totale e totalitaria disciplina alla guerra antifascista sono del 14 ottobre 1936, ed è alla stessa data che la nave sovietica “Zanianine” approda a Barcellona. Inutile dire che, da un lato tutte le misure per assicurare lo stroncamento del successivo sciopero del maggio 1937, erano già realizzate e, dall'altro, l'intervento aperto della Russia nella guerra spagnola era ancora più interessato di quello di Hitler e Mussolini, poiché tutte le armi dovevano essere pagate in oro dal Governo antifascista di Caballero prima, di Negrin poi.

 

La tragedia spagnola si conclude nella primavera del 1939 con la vittoria totale di Franco. Qualche mese dopo, il 3 settembre, scoppia la seconda guerra imperialista mondiale.

 

Gli avvenimenti che la precedono sono:

il compromesso di Monaco del settembre 1938;

il patto russo-tedesco dell'agosto 1939.

 

Dopo la rimilitarizzazione della riva occidentale del Reno di cui abbiamo parlato nel capitolo 5° e l'assorbimento dell'Austria nell'inverno del 1938, era venuta la volta dello smembramento della Cecoslovacchia. Hitler prende la difesa e la direzione del movimento irredentista dei Sudeti che occupano la zona tedesca della Cecoslovacchia. L'Inghilterra invia un suo delegato, Runciman, per l'esame della questione ed il rapporto che questi stende è favorevole alle rivendicazioni dei Sudeti. La Francia, legata da un patto di mutua assistenza con la Cecoslovacchia, prende dapprima una posizione ostile al movimento dei Sudeti, ma si rassegna poi a partecipare alle Conferenze di Godesberg e di Monaco, dove i quattro Grandi dell'epoca (Germania, Italia, Francia, Inghilterra) sanciscono il compromesso che dà soddisfazione a Hitler.

 

Non sono ancora spente oggi le polemiche intorno a “Monaco”. La Russia, e con essa i Partiti comunisti, sostengono che Monaco rappresentò la conclusione della politica degli stati imperialisti dell'isolamento del “paese del socialismo”. Le personalità politiche francesi ed inglesi partecipanti all'accordo di Monaco, Daladier e Chamberlain, sostengono invece che questo compromesso permise di guadagnare un anno e di preparare così la guerra contro Hitler. Questi, dal canto suo, proclama che l'accordo rientrava nel piano della sua politica di riparazione “pacifica” e non bellica delle ingiustizie consacrate dal Trattato di Versailles.

 

Se si tiene conto degli avvenimenti ulteriori è indiscutibile che la tesi della messa a profitto di un anno per la migliore preparazione della guerra franco-inglese non regge, poiché nel 1940, quando, dopo la campagna di Polonia, Hitler lanciò il Blitz-Krieg contro l'Ovest, nessun ostacolo si oppose alla sua clamorosa vittoria. Analogamente non è confermata la tesi della Russia e dei Partiti Comunisti giacché il compromesso di Monaco non determinò affatto l'isolamento della Russia. Questa mantiene rapporti diplomatici in vista di un'alleanza militare con Francia e Inghilterra fino all'agosto 1939; in questo stesso agosto è essa che rompe di sua iniziativa tali trattative e, quando ancora i delegati alleati sono a Mosca, stabilisce l'accordo economico e militare con la Germania. Nel giugno 1941 si stringe l'alleanza militare con Francia, Inghilterra ed America che resta in vigore fino alla fine delle operazioni militari nel luglio 1945.

 

Il compromesso di Monaco va spiegato in forza di considerazioni diverse da quelle sostenute dagl'imperialismi che dovevano poi passare allo scatenamento della guerra. Sul piano europeo è certo che esso risponde alle esigenze dell'inevitabile predominio tedesco nel quadro dell'incrocio dei due bacini industriale ed agrario (quello germanico, questo balcanico) corrispondenti a loro volta all'allacciamento delle due grandi vie fluviali del Reno e del Danubio. Sul piano di un'eventuale costruzione dell'economia europea il compromesso di Monaco rappresenta una soluzione razionale che il capitalismo tende a dare alle esigenze naturali della struttura di questo continente. Sul piano poi dell'antagonico sviluppo degli stati borghesi di Europa e dei suoi riflessi sullo scacchiere internazionale, il compromesso doveva urtare contro ostacoli insormontabili perché né la Russia poteva adattarsi ad essere definitivamente eliminata dall'Europa, né gli Stati Uniti potevano tollerare l'istituzione di un'egemonia tedesca la quale avrebbe così potuto minacciare le sue posizioni non solo in Europa ma anche negli altri continenti.

 

Dopo avere realizzato a Monaco la soluzione del problema danubiano, la Germania si orienta verso un'analoga soluzione del problema polacco. Nel frattempo, Francia ed Inghilterra inviano in Russia le loro missioni militari in vista di concludere un'alleanza militare. Come abbiamo detto, queste missioni sono ancora a Mosca quando scoppia la bomba del trattato russo-tedesco.

 

Fino a questo momento, il 23 agosto 1939, la Russia preconizza in campo diplomatico misure punitive contro “l'aggressore” ed è Litvinov che definisce l'aggressore come quegli che, violando gli impegni contrattuali, invada un altro paese. L'aggredito - specifica Litvinov - deve beneficiare dell'appoggio economico e militare automatico della Società delle Nazioni. Ed è evidente che Hitler, col suo attacco contro la Polonia, si trovava nelle condizioni specifiche contemplate dalla diplomazia sovietica.

 

Ma, di colpo, la dottrina dell'aggressore è completamente abbandonata, la Russia si impegna a non fornire alcun appoggio alla Polonia, che sarà invasa qualche giorno dopo, e riceve in contropartita non solo una parte della Polonia, che si affretterà ad occupare alla fine di settembre, ma anche i paesi baltici e la Bessarabia.

 

L'accordo russo-tedesco ha la stessa sorte del compromesso di Monaco. Circa due anni dopo, il 21 giugno 1941, esso è lacerato dagli avvenimenti: Hitler invade la Russia. Ancora una volta, per spiegare questo avvenimento, non bastano le interpretazioni dei contendenti. Non quella dei Russi di avere così guadagnato due anni per prepararsi alla guerra, giacché il Blitz-Krieg fu altrettanto violento e rapido in Russia quanto lo era stato nel maggio-giugno 1940 nella campagna dell'Ovest, e d'altra parte meglio sarebbe valso affrontare la Germania nel 1939 quando esisteva ancora la minaccia franco-inglese e la Polonia non era ancora stata eliminata. Nemmeno regge la tesi tedesca giacché era manifesto - e gli avvenimenti attuali lo confermano - che se un compromesso era possibile con Francia e Inghilterra per uno straripamento della potenza tedesca verso l'est, questo compromesso era assolutamente impossibile con la Russia a causa dei suoi secolari interessi nell'Est europeo.

 

Su un altro piano il trattato russo-tedesco ha i suoi pieni effetti: nei paesi dell'Asse, in Germania ed in Italia, esso rafforza il fronte dell'inganno fascista per la guerra contro la plutocrazia internazionale, nei paesi democratici e soprattutto in Francia determina la frattura politica che doveva facilitare dapprima le vittorie militari tedesche, in seguito l'istituzione del regime d'occupazione militare.

 

Il Partito Comunista francese, che fino al settembre 1938 aveva bloccato col Governo per la difesa della patria in nome della lotta contro hitlerismo e fascismo, che era passato poi ad una opposizione violenta contro il compromesso di Monaco presentato come il “premio all'aggressore”, cambia radicalmente di tono, mette in evidenza gli obiettivi imperialistici della Francia e dell'Inghilterra, ma non parla né degli obiettivi altrettanto imperialistici della Germania e dell'Italia, né del significato imperialista della guerra che frattanto si sviluppa.

 

Il capo del Partito Comunista francese, Maurice Thorez, diserta, e può raggiungere la Russia grazie all'appoggio delle autorità tedesche che facilitano il suo passaggio, ed i Partiti Comunisti francese e belga domandano alle autorità tedesche di occupazione la autorizzazione di pubblicare i loro giornali. Gli avvenimenti precipitano, Hitler invade la Russia il 21 giugno 1941 e si assiste di conseguenza a un nuovo radicale mutamento della politica dei partiti comunisti. Questi passano oramai all'organizzazione dei movimenti della Resistenza e del partigianismo.

 

                                                                                          *  *  *

 

La borghesia italiana dette il fascismo al proletariato in compenso della sua rinuncia alla lotta rivoluzionaria durante la prima guerra mondiale. Questa stessa borghesia, in compenso della frenetica partecipazione degli operai al secondo conflitto imperialista, ha dato al proletariato italiano un regime che aggrava le condizioni di sfruttamento imposte dallo stesso fascismo.

 

L'aperto tradimento dei partiti comunisti, che hanno partecipato alla guerra antifascista, può oggi valersi dell'appoggio di uno dei più potenti stati imperialisti del mondo per ostacolare la rinascita del movimento proletario, ma questo tradimento non ha potuto eliminare gli antagonismi su cui è basata la società capitalista. Questi antagonismi non solo sussistono ma tendono ad aggravarsi e la Sinistra Italiana può serenamente guardare al suo passato di lotta contro il capitalismo e contro l'opportunismo: essa che ha levato per prima la voce contro le deviazioni dell'Internazionale, che ha seguito tutta la tormenta degli avvenimenti senza mai deflettere, riprende la bandiera dell'internazionalismo e della lotta di classe per proseguire la sua lotta, quali che siano le difficoltà da superare e il cammino che dovrà essere percorso per giungere alla vittoria finale. 

 

 

Notes: 

1.         Questo documento sotto il titolo “La lettre de Shanghai” fu pubblicato da “L'opposition léniniste” francese, e la sua autenticità non è mai stata smentita.  

2.         Nenni, il “fascista della prima ora” è restato coerente al suo programma del 1919. Egli fu guerrafondaio nel 1914-18, lo resterà nel corso della guerra di Spagna ed in quella mondiale del 1939-45. Togliatti ed i suoi congeneri hanno raggiunto Nenni diventando, se possibile, più guerrafondai di lui per il successo della guerra imperialista in Spagna prima, e nel mondo intero in seguito.    

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