DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

 

5. - La tattica dell'antifascismo e del fronte popolare (1934-38)  

 

L'avvento di Hitler al potere (30 gennaio 1933) non determina immediatamente un mutamento radicale nella tattica del Comintern che continua a concentrarsi nella formula dell'antifascismo che abbiamo esaminato nel 4° Capitolo.

 

La Seconda Internazionale lancia la proposta del boicottaggio dei prodotti tedeschi ed invita il Comintern a partecipare ad una campagna internazionale destinata a sollevare l'indignazione del “mondo civile contro la tirannia nazista”. Il Comintern rifiuta, ma non presenta nessuna obiezione di principio, ciò che d'altronde avrebbe potuto difficilmente fare poiché nel 1929 all'epoca in cui non era ancora abbandonata la tattica dell'alleanza con la socialdemocrazia - fu esso a proporre una vasta azione internazionale per il boicottaggio dell'Italia fascista. Ed a quell'epoca fu la Seconda Internazionale che impiegò l'espediente delle tergiversazioni, fornendo così il pretesto all'impiego dello stesso metodo da parte del Comintern dopo l'avvento di Hitler al potere.

 

Il “boicottaggio” dei prodotti tedeschi, poiché comporta l'incorporazione del movimento proletario nel seno del capitalismo “antifascista”, resta pienamente nella logica della politica socialdemocratica, la quale sin dal 1914 aveva fatto appello alle masse lavoratrici perché si gettassero nella guerra fra gli stati capitalisti facendo causa comune con quella costellazione imperialista che dichiarasse di lottare “per la libertà e la civiltà”. La classe che, sia nel campo della produzione, come in quello degli scambi internazionali, poteva decidere di boicottare o no un dato settore dell'economia mondiale, era evidentemente la classe borghese. L'appello a questa classe da parte della socialdemocrazia non rappresentava nulla di inedito, ma la confusione che regnava già nelle file dell'avanguardia proletaria doveva manifestarsi evidente nell'adesione che a questa campagna del boicottaggio diedero il movimento trotzkista, il quale si avvia verso la tattica che fu qualificata di “entrista” - cioè di adesione ai partiti socialisti per rinforzarvi l'ala sinistra -, ed il S.A.P. (Sozialistische Arbeiter Partei), nato dalla congiunzione delle correnti di sinistra dei partiti Comunista e Socialista tedeschi.

 

Abbiamo già detto che il Comintern non aveva preso una posizione frontale e di classe contro la proposta della Seconda Internazionale. E ciò è del tutto naturale se si tien conto che tutta la tattica del “social-fascismo” era stata in definitiva di affiancamento al movimento nazista, e che l'avvento di Hitler comportava una migliore organizzazione degli scambi economici russo-tedeschi. In corrispondenza all'accrescersi dell'intervento dello Stato anche nel campo economico, disposizioni particolari furono prese da Hitler per una garanzia dello Stato a favore dei gruppi industriali che ricevevano ordinazioni da parte della Russia e che dovevano attendere una scadenza assai lontana per il pagamento.

 

Sul piano internazionale la diplomazia russa agiva su una linea convergente e Litvinov si incontrava con le delegazioni italiana e tedesca alla Conferenza del Disarmo di Ginevra, per sostenere la tesi “pacifista” del disarmo per piani, di realizzazione immediata, contro la tesi francese, altrettanto “pacifista” e impostata sulla formula della preminenza della nozione della sicurezza (cioè della garanzia del predominio dei vincitori di Versailles) sulle nozioni dell'arbitrato e del disarmo.

 

Fu in questo momento che Mussolini concepì l'idea del Patto a Quattro (Francia, Germania, Inghilterra ed Italia); idea dei Quattro Grandi, che sarà ripresa dall'arcidemocratico Byrnes nel 1946 ed appoggiata dal laburista Bevin, pur essendo mutati gli attori.Il Patto a Quattro firmato a Roma il 7 giugno 1933 sancisce: “Le Alte Parti contraenti s'impegnano a concertarsi su tutte le loro questioni e a fare tutti gli sforzi per praticare, nel quadro della Società delle Nazioni, una politica di collaborazione effettiva fra tutte le potenze, in vista del mantenimento della pace”. Il Patto è firmato per dieci anni e contiene l'ipotesi di una revisione dei trattati. Quest'ipotesi era di già diventata una realtà, poiché, dopo la moratoria proclamata nel 1931 da Hoover, alla Conferenza di Losanna nel 1932, - e quando ancora vi era un governo “democratico” in Germania - la Germania era stata esplicitamente liberata dal pagamento delle riparazioni.

 

È noto che non attraverso la via delle consultazioni a tipo parlamentare, ma attraverso i grandi colpi di scena Hitler smantellò una ad una le clausole del Trattato di Versailles. Quattro mesi dopo la firma del Patto a Quattro Hitler esce dalla Società delle Nazioni ed indice un plebiscito spettacolare. Questo sistema del “fatto compiuto”, del “pugno sulla tavola” rispondeva pienamente alle necessità della accentuata preparazione delle masse alla guerra ed Hitler era costretto a farvi ricorso dal fatto che l'economia tedesca non poteva trovare altra uscita alla situazione al di fuori di un'immediata intensificazione dell'industria di guerra. E, per questo, occorreva una contemporanea e plebiscitaria adesione delle masse. Le potenze “democratiche” lasciavano provvisoriamente fare, in attesa che la situazione internazionale raggiungesse il punto di saturazione voluto per lo scatenamento della seconda guerra mondiale.

 

Ma l'essenza del Patto a Quattro consisteva soprattutto in una manovra di allontanamento della Russia dall'Europa e contemporaneamente in un orientamento di appoggio alla Germania affinché questa straripasse non verso l'Ovest franco-inglese, ma verso l'Est russo e particolarmente verso l'Ucraina.

 

È in queste particolari contingenze internazionali che matura la nuova tattica del Comintern dell'antifascismo e del Fronte Popolare: la Russia si orienta verso le potenze “democratiche”. Nell'autunno del 1933 gli Stati Uniti riconoscono “de jure” la Russia, e la Rundschau scrive un articolo così intitolato: Una vittoria dell'U.R.S.S. - Una vittoria della rivoluzione mondiale.

 

Sul piano politico il primo sintomo del mutamento di tattica si ha nel processo di Lipsia nel dicembre 1933. Si doveva qui giudicare l'anarchico olandese Van der Lubbe il quale aveva appiccato il fuoco al palazzo del Reichstag il 27 febbraio 1933, un mese dopo che Hitler aveva preso il potere. Comintern e Seconda Internazionale danno immediatamente sfogo ad una campagna oscena di demagogia: è il fascismo, il nazismo che ha distrutto il luogo sacro della democrazia tedesca; un contro-processo sarà organizzato nell'epicentro del capitalismo più conservatore, a Londra; un “Libro Bruno” sarà pubblicato dagli antifascisti ed Hitler, che ha magnificamente afferrato il senso reale di questa immonda farsa mondiale, aggiunge note supplementari alla sacrosanta indignazione universale contro l'attentato portato alla sede della democrazia borghese: la stampa estera sarà ammessa al processo di Lipsia dove uno degli imputati, il centrista Dimitrov, concluderà dicendo: “Domando, in conseguenza, che Van der Lubbe sia condannato in quanto ha agito contro il proletariato”. Ed i giudici nazisti “vendicano” il proletariato, poiché Van der Lubbe è condannato a morte e quindi giustiziato, mentre gli altri imputati centristi saranno assolti e lavati dall'“infame accusa”.

 

All'ombra di tutta questa cagnara internazionale si sviluppa intanto la repressione feroce di Hitler contro il proletariato tedesco. Mentre la campagna intorno al processo di Lipsia raggiunge il massimo della réclame solo poche righe sono dedicate al contemporaneo processo di Dessau (28 novembre 1933), ridotto ad un episodio insignificante di cronaca: “Dieci condanne a morte sono state pronunziate dal Tribunale di Dessau contro i comunisti accusati di avere ucciso un milite hitleriano”.

 

Abbiamo visto, nel 4° Capitolo destinato alla tattica del “social-fascismo”, che Hitler, contrariamente alla tattica seguita dal fascismo in Italia nel 1921-22, aveva impostata la sua azione sul piano prevalentemente legalitario dello smantellamento progressivo dalle istituzioni democratiche tedesche dei suoi complici socialdemocratici. Quale occasione magnifica si presentava dunque ai rivoluzionari marxisti per impostare un'azione internazionale intesa ad arrestare la mano del carnefice nazista che si abbatteva sull'anarchico Van der Lubbe responsabile di aver mandato alle fiamme una delle istituzioni fondamentali del capitalismo, che d'altronde aveva così bene servito a favorire l'ascesa di Hitler al potere! Ma i rivoluzionari marxisti erano ridotti alla ristretta cerchia della corrente della sinistra italiana che impostava la lotta su basi di classe sia contro il nazismo vincitore, sia contro la democrazia soccombente in Germania, mentre gli stessi trotzkisti correvano in sostegno della socialdemocrazia decidendo la loro entrata nei partiti socialisti.

 

Come abbiamo detto, è sul piano internazionale e degli interessi particolari e specifici dello Stato russo che si enuclea la nuova tattica del Comintern. Alla formula del “social-fascismo” succederà la formula opposta dell'antifascismo, del blocco democratico, della difesa della democrazia, della lotta contro i faziosi (i fascisti), tattica che passa attraverso la difesa del Negus di Abissinia, della lotta anti-franchista, e cade infine nell'istituzione del volontariato attraverso i movimenti della “Resistenza” nel corso della seconda guerra imperialista mondiale. 

 

                                                                                          *  *  *

 

 

In Russia, nel 1932, il primo Piano Quinquennale aveva ottenuto un successo completo. Realizzatosi in quattro anni invece di cinque, esso aveva, nell'industria pesante, sorpassato gli obiettivi stabiliti all'inizio. Nel 1° capitolo di questo esame della tattica del Comintern abbiamo messo in evidenza che se non si può immaginare una qualsiasi opposizione fra i primi piani concepiti da Lenin nel 1918 e le considerazioni di principio che indussero Lenin ad operare la ritirata che va sotto il nome di Nep, per contro un opposizione di principio esiste fra i primi piani economici di Lenin, la Nep e i piani quinquennali di Stalin. Sulle tracce di Marx e dei suoi schemi sull'economia capitalista, l'idea di Lenin sull'indispensabile pianificazione dell'economia era imperniata sullo sviluppo dell'industria di consumo alla quale doveva adeguarsi lo sviluppo dell'industria di produzione. La stessa Nep si muove su questa considerazione di principio e nessuna necessità vi sarebbe stata di realizzarla se l'obiettivo fosse stato non quello dell'elevazione delle condizioni di vita dei lavoratori, ma l'altro di tipo schiettamente capitalista - di una intensa accumulazione per lo sviluppo dell'industria pesante. Lenin non avrebbe avuto alcun bisogno di fare concessioni ai contadini ed alla piccola borghesia - elementi economici e politici non utili ma nocivi alle colossali realizzazioni industriali - ma queste concessioni egli doveva fare per mantenere l'orientamento dell'economia sovietica sulla linea di un costante miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. Stalin rompe con i principi marxisti di Lenin sia sul terreno economico interno in Russia, quando istituisce i piani quinquennali i quali non possono raggiungere le vette dell'industrializzazione che grazie ad un intensificato sfruttamento dei lavoratori, sia sul terreno politico con l'espulsione dal Comintern di ogni tendenza che resti sul piano internazionale ed internazionalista e si opponga alla teoria ed alla politica nazionale e nazionalista del “socialismo in un solo paese”.

 

Il 1° Piano quinquennale conosce un successo totale. Seguendo le orme dei suoi compari capitalisti di tutti i paesi, Stalin abborda il secondo Piano quinquennale (1932-1936) affermando che si tratta ora di realizzare obiettivi che in realtà saranno del tutto opposti a quelli dichiarati. Fin dalla sua ascesa al potere il capitalismo ha sempre detto che il miglioramento della condizione generale di vita dei lavoratori dipende dallo sviluppo dell'economia e che quanto più grande sarà il montante della produzione tanto maggiore sarà la parte riservata ai lavoratori. Quando si prepara il secondo Piano quinquennale, Stalin dirà la stessa cosa: l'industria pesante è ricostituita, si tratta ora di ricostituire le altre branche dell'economia sovietica e conseguentemente di migliorare il tenore di vita dei lavoratori È nel corso del secondo Piano quinquennale che sorge la nuova divinità: Stakhanov; l'essenza del socialismo viene a consistere in una gara al massimo rendimento del lavoro ed al contemporaneo rafforzamento delle possibilità economiche e militari dello Stato sovietico, sull'altare del quale ogni rivendicazione salariale deve essere sacrificata.

 

Questo indirizzo economico non trova alcuna possibilità di reazione marxista nel seno del Partito russo e quando, sulla fine del 1934, Nicolaiev fa ricorso ad un attentato uccidendo il segretario del Partito di Leningrado, una repressione feroce si abbatte sul “Centro di Leningrado”. Stalin, anticipando i procedimenti che nazisti e democratici applicheranno durante la seconda guerra imperialista mondiale, passa alle rappresaglie. Nessun processo e 117 persone fucilate. Frattanto Litvinov si associa, a Ginevra, ad una mozione che condanna il terrorismo e sostiene argomenti “marxisti” secondo i quali marxismo e terrorismo si oppongono irrimediabilmente. La Russia, per finanziare il secondo piano e ottenere le materie prime indispensabili deve esportare grano. In forza delle invocate prospettive di miglioramento delle condizioni dei lavoratori, il C. C. del Partito russo abolisce il 1° gennaio 1935 la carta del pane ed il razionamento dei prodotti agricoli. Così i lavoratori sono costretti ad accentuare il loro sforzo di lavoro affinché i salari permettano di approvvigionarsi al mercato libero, giacche lo Stato “proletario” non garantisce più - attraverso i magazzini statali - il controllo dei generi di prima necessità.

 

È dunque in forza di considerazioni inerenti allo Stato sovietico sul piano internazionale, ed in crescente opposizione con gli interessi dei lavoratori russi, che matura il cambiamento della tattica del Comintern.

 

La crudele disfatta cinese del 1927 aveva definitivamente trascinato nel vortice del tradimento l'Internazionale Comunista: di quella che fu l'Internazionale della Rivoluzione non potevano oramai fare parte che coloro i quali volevano battersi per il programma nazionale e nazionalista del “socialismo in un solo paese”. Gli altri, gli internazionalisti, sono dapprima espulsi e successivamente, in Russia e in Spagna, massacrati; negli altri paesi sono messi all'indice e nella misura in cui si accentua la connivenza dei Partiti Comunisti con l'apparato dello Stato borghese - si domanda a questo “Stato democratico” di provare con i fatti le sue virtù “antifasciste” nell'abbandono di ogni tergiversazione e nell'impiego della violenza repressiva contro i “trotzkisti”. Tutti. sono qualificati di trotzkisti quando si oppongono all'indirizzo controrivoluzionario dell'Internazionale. Come nell'epoca che succedette alla liquidazione della Prima Internazionale, la scena politica viene ora occupata da un contrassegno che non solamente moltiplica la dispersione e la confusione ideologica ma tende a polarizzare l'attenzione dei rari proletari rivoluzionari sopravvissuti a questa tragica ecatombe intorno ad un'insegna assolutamente inoffensiva.

 

Nel 1866-70 tutti erano chiamati anarchici, Marx compreso; ed è noto che la proposta di Marx del trasferimento della sede della Prima Internazionale dall'Europa in America rispondeva al suo convincimento che la nuova situazione storica determinatasi con la disfatta della Comune non conteneva la possibilità del mantenimento di un'organizzazione internazionale del proletariato. Il suo mantenimento non poteva che favorire la vittoria delle tendenze anarchiche contro quelle schiettamente proletarie e rivoluzionarie. Dopo il 1927 l'epiteto in voga era quello di “trotzkista”. Il peggio fu che Trotzky stesso cadde in questo tranello e lasciò che l'organizzazione internazionale dell'Opposizione si qualificasse “trotzkista”. Quando Marx aveva detto che egli non era un marxista, aveva voluto indicare che la teoria e la politica del proletariato si enucleano nel corso della lotta di classe, che esse costituiscono un metodo della conoscenza e della interpretazione della storia, non un insieme di versetti biblici da recitare dopo avere impiegato tutti i sacramenti necessari per stabilire le volontà del creatore. E Trotzky - rompendo definitivamente con quella che era stata la divisa dl Marx, Engels e Lenin, sul problema fondamentale della costruzione del Partito della classe proletaria - constatò che la vittoria di Hitler annullava la possibilità di “raddrizzare” l'Internazionale Comunista e dopo una analisi della situazione dove la forma smagliante dell'esposizione prende il posto di una comprensione marxista della realtà, si lancia nell'avventura dell'entrata dell'Opposizione nei Partiti Socialisti. Sul piano politico egli si impunta nell'ipotesi storica che non Stalin ma Hitler è il super-Wrangel che concentrerà l'attacco del capitalismo internazionale contro la Russia portata allo sfacelo dall'impossibilità della realizzazione dei piani quinquennali. Mentre tale schema politico doveva essere pienamente smentito dagli avvenimenti, la concentrazione dell'avanguardia proletaria sul piano della difesa dello Stato russo, portato al disastro da Stalin, rendeva completamente inoffensivo il chiasso politico che Trotzky e la sua organizzazione facevano in ogni paese: non solamente Stalin, dal momento in cui aveva potuto piegare il proletariato russo a subire un intenso sfruttamento, poteva realizzare i piani quinquennali, ma lo Stato sovietico, incorporato nel sistema del capitalismo mondiale, doveva conoscere non già il disastro bensì la vittoria nel corso della guerra del 1939-45. Per il fatto di vedere dappertutto - anche quando Mussolini attaccò il Negus - un episodio della lotta del capitalismo mondiale contro la Russia, quando questo Stato russo era ormai - allo stesso titolo degli stati democratico e fascista - uno strumento della controrivoluzione mondiale, Trotzky, che era stato uno dei più grandi capi della Rivoluzione d'Ottobre, era diventato completamente inoffensivo per il capitalismo; e l'epiteto di trotzkista appioppato a tutti era un elemento supplementare della confusione ideologica in cui giaceva il proletariato; e tanto più lo era poiché Trotzky e la sua organizzazione vedevano un crescente successo rivoluzionario nel fatto che la loro merce politica conosceva i successi della grande pubblicità giornalistica.

 

Dopo lo scoppio della crisi economica mondiale del 1929, il Comintern aveva capovolto i termini di una manovra politica che aveva portato all'immobilizzazione della classe proletaria: prima alleanza con i tradunionisti e Chang-Kai-Shek, poi lotta contro il “social-fascismo”. Se i termini cambiano, la sostanza è la stessa. E, nel corso di queste due fasi della tattica dello smantellamento progressivo della classe proletaria sia in Russia che negli altri paesi, il Comintern si appoggia su una molteplicità di organismi sussidiari che favoriscono la dispersione ideologica e politica del proletariato. Nel corso del primo periodo questi organismi periferici sono polarizzati intorno alla parola dell'antifascismo, nel corso del secondo periodo - quello del social-fascismo - la polarizzazione si fa intorno alla formula della lotta contro la guerra e della difesa dell'U.R.S.S. 

 

                                                                                           *  *  *

 

 

Dopo la vittoria di Hitler ci si avvia verso la tattica del Fronte Popolare ed i social-fascisti di ieri diventano “democratici progressisti”. Ma l'evolversi della situazione economica e politica impone un corrispondente avanzamento sulla via dell'inquadramento delle masse lavoratrici nelle maglie dello Stato capitalista. Fino al 1934 il Comintern trovava in tutti gli organismi periferici un veicolo sufficiente per fare avanzare le sue posizioni controrivoluzionarie; a partire dal 1934, quando il mondo capitalista non può trovare altra via d'uscita alla formidabile crisi economica che lo devasta che quella della preparazione del secondo conflitto imperialista mondiale, si deve andare oltre e fare accettare dalle masse come un obiettivo loro quello della modificazione della forma di governo della classe borghese. Il movimento delle masse deve essere ricongiunto e saldato intorno allo Stato capitalista ed è in questo che consiste la nuova tattica del Fronte Popolare il cui centro sperimentale si trova in Francia prima, in Spagna poi. E non deve affatto stupire che lo Stato Sovietico, il quale aveva decisamente e definitivamente rotto con gli interessi del proletariato russo ed internazionale nel 1927, possa con tanta disinvoltura operare cosi radicali e contraddittori mutamenti e che sulla stessa linea si svolga la politica del Comintern. Di già Mussolini, quando nel 1923 si vantava di essere stato il primo a riconoscere “de jure” lo Stato russo, metteva in evidenza che questo non lo impegnava ad operare la minima modifica alla sua politica ferocemente anticomunista. Hitler ribadì la stessa cosa dopo avere preso il potere.

 

In effetti, il punto di saldatura fra la politica degli Stati borghesi si trova su basi di classe ed a questo proposito la congiunzione è perfetta fra la politica anticomunista di Stalin e quella di tutti gli altri governi capitalisti che ristabiliscono le relazioni “normali” con lo Stato russo divenuto uno Stato “normale” della classe capitalistica internazionale. Il riflesso nel campo internazionale di questa politica anticomunista, che è comune sia agli stati democratici che a quelli fascisti ed al sovietico, solo formalmente si esprime in modo contraddittorio, mentre sostanzialmente la linea è unitaria e tende verso lo sbocco del conflitto imperialista dove tutte le “idealità” saranno magnificamente commercializzate per imbottire i crani e gettare gli uni contro gli altri i proletari dei differenti paesi.

 

Marx, nella “Critica del programma di Gotha”, confuta l'idea lassalliana dell'esistenza di una sola classe borghese reazionaria, perché il semplicismo di Lassalle conduceva non solamente all'impossibilità di comprendere l'intricato processo sociale che il capitalismo riesce a polarizzare a suo vantaggio, ma anche a congiungere il movimento proletario con quelle forze schiettamente capitaliste che non appartengono alla categoria qualificata “conservatrice”. Quelle che si spostano dunque sulla linea di Lassalle, che concepiva un socialismo statalista appoggiantesi su Bismarck, sono le forze politiche le quali affettano di volere “correggere” gli abusi del capitalismo quando invece assicurano il successo di queste forme abusive, le sole che hanno diritto di cittadinanza nella fase storica della decadenza del capitalismo imperialista e monopolista.

 

Che in Germania ed in Italia queste forze si chiamino fasciste, mentre in Francia esse si chiamano socialiste e comuniste, il programma politico è lo stesso, e se Blum non lo realizza, mentre Hitler soprattutto ottiene indiscutibili successi nell'interventismo statale, questo dipende dalle differenti particolarità dei due stati capitalisti e dal posto che essi occupano nel processo, del divenire del capitalismo nella sua espressione internazionale.

 

Quanto alla contrastante espressione formale di un processo che è internazionale ed unitario, quanto al fatto che uno stato si chiami fascista e l'altro democratico, che la dominazione borghese si eserciti in un paese sotto una forma determinata, in un altro paese sotto un'altra forma, la cosa non presenta alcuna difficoltà di comprensione per i marxisti. La classe borghese che è un tutto di cui - a meno di non uscire dal dritto cammino del marxismo - nessuna forza può essere avulsa dall'insieme e condannata o presentata in opposizione al tutto, ha visto, nel periodo di sviluppo coincidente con lo scorcio del secolo scorso, un urto fra le sue forze politiche e sociali di destra e di sinistra (le conservatrici e le democratiche), ma nella fase storica della sua decadenza non potrà servirsi dell'antica divisione in destra e sinistra che ai fini della propaganda e degli interessi del suo dominio sul proletariato.

 

Sia la Francia del Fronte Popolare che la Germania nazista sono sullo stesso piano imposto dalla storia al capitalismo e se l'una fa ricorso all'ideologia antifascista, l'altra a quella nazista, il fine è unico: inquadrare le masse sotto la ferma disciplina dello Stato per poi lanciarle nel massacro della guerra. I rapporti fra i differenti stati borghesi non hanno alcun carattere di fissità giacché essi dipendono dalla loro evoluzione nel campo internazionale e dall'impossibilità dell'intervento di un elemento di guida cosciente e volontaria delle differenti borghesie. Churchill è un esempio del come si possa restare coerentemente e ferocemente anticomunista passando con grande disinvoltura dalla lotta all'alleanza con la Russia o con la Germania.

 

In questo divenire del processo unitario dello Stato nella fase imperialista del capitalismo, si assiste al fatto che determinati Stati trovano negli Stati, che ad essi si oppongono per la difesa dei loro interessi, il materiale politico che facilita la mobilitazione delle masse per aggiogarle al loro carro e sganciarle dalle loro basi di classe. Nel gennaio 1933, in corrispondenza con l'ascesa al potere di Hitler, si assiste alla realizzazione in Francia della formula di governo che sembrava la più a sinistra, tenuto conto delle contingenze del momento, mentre Daladier è chiamato al Governo da un Parlamento che aveva conosciuto, nel 1932, una vittoria elettorale della sinistra.

 

Quanto alla politica dello Stato russo ed alla corrispondente tattica del Comintern essa è dovunque controrivoluzionaria ma prende espressioni contraddittorie nel tempo. È quella del “social-fascismo” nel l930-33, perché l'obiettivo del capitalismo internazionale si concentra allora nella vittoria di Hitler. Una volta che questa terribile disfatta fu inferta al proletariato tedesco e mondiale, e che questa vittoria fu solidamente stabilita, l'obiettivo si sposta verso altri paesi e particolarmente la Francia. Ne risulta la politica che si preciserà nella formula del Fronte Popolare, politica che farà gli affari sia del capitalismo francese, sia di quello tedesco e di quello di tutti gli altri paesi. E l'idea di patria sarà dagli uni e dagli altri validamente invocata giacché è manifesto che dall'una e dall'altra parte della barricata non si persegue oramai che un solo fine: quello di minacciare “l'integrità nazionale” con la guerra.

 

L'essenza della nuova tattica consiste dunque nell'inquadramento del proletariato negli apparati statali rispettivi, mentre l'alternarsi degli obiettivi internazionali del capitalismo determinerà l'antifascismo od il filo-fascismo dello Stato sovietico e l'espressione formale della tattica del Comintern: alleanza con la socialdemocrazia, social-fascismo, Fronte Popolare. 

 

                                                                                            *  *  *

 

Abbiamo visto nelle prime parti di questo capitolo, in che cosa consistesse l'essenza del nuovo capitombolo del Comintern dal “social-fascismo” all'“antifascismo”. La crisi economica apertasi nel 1929 a New York e successivamente propagatasi a tutti i paesi non aveva, dopo il 1934, trovato altra soluzione che la preparazione della seconda guerra imperialistica. In corrispondenza con la realtà economica che imponeva al capitalismo l'estrema soluzione della guerra, estremo doveva anche diventare l'obiettivo dei partiti comunisti, divenuti strumenti della controrivoluzione e complici delle altre forze borghesi, fasciste, socialiste e democratiche. Se precedentemente i partiti comunisti orientavano le mosse verso una disfatta immancabile, ora essi le incanalano nell'alveo dei rispettivi stati capitalisti.

 

Come la teoria del social-fascismo non aveva alcuna portata diretta nei paesi non minacciati da un attacco fascista e il suo carattere internazionale risultava dal fatto che la Germania - dove questa tattica ebbe un'importanza decisiva - si trovava ad essere in quel momento il perno dell'evoluzione capitalistica mondiale, così la nuova tattica antifascista non ha alcuna portata diretta nei paesi dove il fascismo è saldamente impiantato (Germania, Italia), ma ha grande importanza in Francia dapprima, in Spagna poi, cioè nei due paesi in cui non si scontrano soltanto classi e partiti indigeni, ma si elabora un congegno d'ordine internazionale che doveva funzionare a pieno rendimento durante la guerra 1939-45.

 

Nel corso di questo periodo (1934-38) si manifesta per la prima volta il carattere particolare di un'evoluzione politica nella quale siamo ancora tuffati. Contrariamente a quanto avvenne in generale in tutti i paesi e particolarmente nel 1898-1905 in Russia, quando gli impetuosi scioperi generarono l'affermazione del partito di classe, i possenti movimenti austriaci, francesi, belgi e spagnoli non solo non determinano l'affermazione di un'avanguardia proletaria e marxista, ma lasciano in un fatale isolamento la sinistra italiana, rimasta fedele ai postulati rivoluzionari dell'internazionalismo contro la guerra antifascista e della distruzione dello stato capitalista e della fondazione della dittatura proletaria contro la partecipazione o l'influenzamento dello Stato a direzione antifascista.

 

Parallelamente al successo della manovra che doveva condurre lo stato capitalista a stringere i suoi tentacoli sulle masse e sui loro movimenti, si assiste al distacco fra questi movimenti e l'avanguardia, se non addirittura all'inesistenza totale di quest'ultima. Gli avvenimenti confermano così in modo inequivocabile la tesi magistralmente sviluppata da Lenin nel “Che fare?”, che la coscienza socialista non può essere il portato spontaneo delle masse e dei loro movimenti, ma è il frutto dell'importazione nel loro seno della coscienza di classe elaborata dall'avanguardia marxista. Il fatto che quest'avanguardia non si trovi nella possibilità di influire su situazioni di grande tensione sociale in cui masse imponenti scendono nella lotta armata, come in Spagna, non altera in nulla la dottrina marxista la quale non considera che la classe proletaria esiste perché una costellazione sociale e politica passa alla lotta armata contro quella che è al potere, ma parla di classe proletaria solo se i suoi obiettivi ed i suoi postulati sono quelli dell'agitazione sociale in via di sviluppo. Nel caso in cui le masse scendono in lotta per obiettivi che, non essendo i loro, non possono essere che quelli del nemico capitalista, questa convulsione sociale non è che un momento del confuso ed antagonico sviluppo del ciclo storico capitalista il quale - per riprendere le parole di Marx - non ha ancora maturato le condizioni materiali della sua negazione.

 

L'analisi marxista permette di comprendere che se il social-fascismo fu una tattica che doveva inevitabilmente facilitare ed affiancare la vittoria di Hitler nel gennaio 1933, la tattica dell'antifascismo fu ancora più grave, in quanto il suo obiettivo andò ben oltre e da un falso allineamento delle masse nella lotta che restava però sempre diretta contro lo stato capitalista, si passa, con la tattica dell'antifascismo, a preconizzare l'inquadramento delle masse nel seno dello stato capitalista antifascista.Nulla di strano che, di fronte ad una così possente e formidabile organizzazione capitalistica che comprende democratici, socialdemocratici, fascisti e partiti comunisti, la resistenza che oppone il proletariato austriaco nel febbraio 1934 e che prende a volta aspetti eroici non sia tuttavia suscettibile di portare la minima incrinatura ad un'evoluzione degli avvenimenti mondiali che era stata definitivamente consacrata dalla violenta involuzione prodottasi nello stato sovietico divenuto, sotto la guida di Stalin, uno strumento efficace della controrivoluzione mondiale.

 

Il 12 febbraio, quando i proletari di Vienna insorgono, è il cristianissimo Dolfuss che fa puntare i cannoni contro la città operaia di Vienna, il rione “Carlo Marx”, ma dietro questi cannoni si trovava la Seconda e la Terza Internazionale. la prima aveva costantemente trattenuto le reazioni proletarie contro il piano di organizzazione corporativista di Dolfuss, la seconda, che precedentemente eccelleva nel montaggio di manifestazioni internazionali impostate sempre su basi artificiose, lascia scannare i proletari e si guarda bene dal lanciare un appello ai proletari di tutti i paesi perché manifestino la loro solidarietà in favore del proletariato austriaco.

 

Nei primi giorni gli organi dei partiti socialisti belga e francese cercano di appropriassi l'eroismo degli insorti di Vienna, ma qualche giorno dopo la sincronizzazione è perfetta.

 

Bauer e Deutsch, i dirigenti dello Schutzbund (organizzazione di difesa della socialdemocrazia austriaca) in un'intervista del 18 febbraio all'organo della socialdemocrazia belga, “Le Peuple”, affermano: “Da molti mesi i nostri compagni avevano sopportato provocazioni di ogni specie, sperando sempre che il governo non avrebbe spinto le cose all'estremo e che un urto finale avrebbe potuto essere evitato. Ma l'ultima provocazione, quella di Linz, portò al colmo l'esasperazione dei nostri compagni. Si sa, in effetti, che le Heimwehren avevano minacciato il governatorato di Linz di dimettersi dalle loro funzioni e di decapitare tutte le municipalità a maggioranza socialista. Si capisce che lunedì mattina, quando le Heimwehren attaccarono a mano armata la Casa del Popolo di Linz, i nostri compagni rifiutarono di lasciarsi disarmare e si difesero con energia. In conseguenza, la Direzione Centrale del Partito non poteva che obbedire a questo segnale di lotta. È per questo che lanciò l'ordine dello sciopero generale e della mobilitazione dello “Schutzbund”. Quest'esplosione schiettamente proletaria non era affatto nella linea politica della socialdemocrazia austriaca ed internazionale. Queste erano perfettamente allineate sul fronte di un'azione diplomatica del Governo francese di sinistra, il cui ministro degli Esteri Paul Boncour voleva far servire il movimento degli operai austriaci ai fini della difesa degli interessi dello Stato francese: questo voleva ostacolare l'espansionismo di Hitler e si appoggiava - in quel momento - persino su Mussolini che, nel luglio del 1934, quando Dolfuss fu assassinato dal nazista Pianezza, fece la smargiassata senza conseguenze, nei confronti di Hitler, dell'invio delle divisioni italiane sul Brennero.

 

 

Qualche giorno prima della rivolta di Vienna, il 6 Febbraio 1934, Parigi è il teatro di avvenimenti importanti. La scena politica era da tempo imbrattata da tutta la pornografia scandalistica fatta intorno alle collusioni fra gli avventurieri della finanza, gli alti funzionari statali ed il personale di governo, particolarmente quello dei partiti di sinistra. Non vi sarebbe neanche bisogno di rimarcarlo: i partiti cosiddetti proletari - il partito socialista e comunista - si gettano in questa mischia scandalistica ed i proletari saranno sradicati dalla lotta rivoluzionaria contro il regime capitalista, per essere trascinati nella lotta contro alcuni avventurieri della finanza e principalmente contro Stavisky. La destra di Maurras e dell'Action Française prende la testa di una lotta contro il governo presieduto dal radicale Chautemps il quale, il 27 gennaio, cede il posto ad un più accentuato governo di sinistra diretto da Daladier e dove Frot, che aveva fino a poco tempo prima militato nella S.F.I.O. (Partito Socialista Francese, Sezione francese dell'Internazionale Operaia), occupa il posto di Ministro dell'Interno. Il prefetto di Polizia Chiappe, anche egli compromesso nello scandalo Stavisky, è scelto da socialisti e comunisti come capro espiatorio, viene defenestrato dalla Prefettura di Polizia e trasferito alla “Comédie Française”. È questa l'occasione scelta dalla destra per una manifestazione di fronte al Parlamento dove saranno reclamate le dimissioni del governo Daladier.

 

Daladier cede, si dimette, malgrado il consiglio a resistere di Leon Blum, ed il 9 febbraio due manifestazioni di protesta hanno luogo: quella indetta dal Partito Comunista nel centro di Parigi dove sono reclamati l'arresto di Chiappe e lo scioglimento delle Leghe fasciste, l'altra indetta dal Partito Socialista e che si svolge a Vincennes dove si innalza la bandiera della “difesa della repubblica minacciata dalla sommossa fascista”. Non era ancora definitivamente spento il ricordo della lotta contro il “social-fascismo” ma se vi sono due manifestazioni distinte, vi è tuttavia un'unica divisa: non si tratta più di affermare delle posizioni autonome di classe delle masse, ma di indirizzare queste verso quella modificazione della forma dello Stato borghese che si realizzerà solamente due anni dopo quando, in seguito alle elezioni del 1936, avremo il governo del Fronte Popolare sotto la direzione del capo della S.F.I.O., Leon Blum.

 

Ma immediatamente dopo queste due manifestazioni distinte, un'altra manifestazione unitaria ha luogo, quella della C.G.T. con parole d'ordine analoghe a quelle dei due cortei che l'avevano preceduta. Si reclamerà in effetti, attraverso lo sciopero generale, che siano respinti “i faziosi, provocatori di sommosse” perché “l'offensiva che si proietta da qualche mese contro le libertà politiche e la democrazia, è scoppiata”.

 

Il Partito Comunista, il quale manteneva ancora una posizione di predominio nel centro industriale di Parigi, non se ne serve per dirigere le operazioni e lascia piuttosto l'iniziativa ai socialisti ed alla C.G.T. Quanto alla C.G.T.U. che aveva da tempo cessato di essere un'organizzazione sindacale suscettibile di inquadrare le masse per la difesa delle loro rivendicazioni parziali ed era diventata un'appendice del Partito Comunista, essa non si mette in evidenza in modo aperto nemmeno quando si prepara lo sciopero generale che ottiene un successo completo.

 

Frattanto si precisa il raggruppamento socialcomunista e un'evoluzione governativa che si accentua sempre più a sinistra.Il 27 luglio 1934 un patto d'unità è firmato fra il Partito Comunista ed il Partito Socialista, sulla base dei punti seguenti: a) difesa delle istituzioni democratiche; b) abbandono dei movimenti di sciopero nella lotta contro i pieni poteri del governo; c) autodifesa operaia su un fronte che comprenderà anche i radicali socialisti.

 

                                                                                             *  *  *

 

 

E in campo internazionale si accentua il nuovo orientamento della politica estera dello Stato russo, il quale entra trionfalmente nella Società delle Nazioni.

 

Ecco cosa dicono le tesi di Ossinsky del I° Congresso dell'Internazionale Comunista nel marzo 1919: I proletari rivoluzionari di tutti i paesi del mondo devono condurre una guerra implacabile contro l'idea della Lega delle Nazioni di Wilson e protestare contro l'entrata dei loro paesi in questa Lega di saccheggio, di sfruttamento e di controrivoluzione.

 

Ecco quanto quindici anni dopo, il 2-6-1934, scrive l'organo del Partito russo, la “Pravda”: “La dialettica dello sviluppo delle contraddizioni imperialiste ha condotto al risultato che la vecchia Società delle Nazioni, che doveva servire di strumento per la subordinazione imperialista dei piccoli Stati indipendenti e dei paesi coloniali, e per la preparazione dell'intervento anti-sovietico, è apparsa, nel processo della lotta dei gruppi imperialisti, come l'arena dove - Litvinov lo ha spiegato alla recente sessione del Comitato Centrale Esecutivo dell'Unione Sovietica - sembra trionfare la corrente interessata al mantenimento della pace. Il che spiega forse i cambiamenti profondi che si sono prodotti nella composizione della Società delle Nazioni”.

 

Lenin, quando parlava della Società delle Nazioni come “Società dei briganti”, ci aveva di già insegnato che questa istituzione doveva servire a mantenere “in pace” il predominio degli stati vincitori sancito a Versailles.

 

Ma le frasi della Pravda non erano che retorica. Difatti Litvinov cambia immediatamente e radicalmente posizione. Dall'appoggio alle tesi tedesca ed italiana per il disarmo progressivo, egli passa all'aperta dichiarazione che non è possibile trovare una garanzia di sicurezza, e appoggia la tesi francese la quale, facendo dipendere la realizzazione del disarmo dalla sicurezza proclamata impossibile, sanziona la politica di sviluppo degli armamenti.

 

Contemporaneamente un altro mutamento radicale di rotta si verifica nel problema della Sarre. Il Partito Comunista, che aveva precedentemente lottato con la parola della “Sarre rossa nel seno della Germania Sovietista”, preconizza, in occasione del plebiscito, lo status quo e cioè il mantenimento del controllo francese su questa regione.

 

Laval, il ministro degli esteri del Gabinetto Flandin, concepisce il piano dell'isolamento della Germania. Egli non ha potuto rivendicare questo titolo nazionalista in occasione del suo processo dove è stato condannato a morte: ma è certo che egli, mille volte di più e meglio dei suoi compari nazionalisti e sciovinisti della Resistenza francese, ha tentato la realizzazione della difesa della “patria francese” contro Hitler. Se la Francia è definitivamente degradata al ruolo di una potenza vassalla e di secondo ordine, questo dipende dai caratteri dell'evoluzione internazionale attuale, mentre tutto il baccano fatto intorno alla difesa della “terra della libertà e della rivoluzione” non poteva avere che un solo obiettivo pienamente raggiunto d'altronde: quello di massacrare il proletariato francese ed internazionale. La Terza Repubblica democratica francese, sorta sotto il battesimo dell'alleanza con Bismarck e dello sterminio dei 60.000 comunardi a Père la Chaise, trova il suo degno e macabro epilogo nel Fronte Popolare solidamente assiso sul trinomio radicalsocialisti-socialisti-comunisti.

 

I punti essenziali della manovra di Laval per isolare la Germania sono:

1) L'incontro con Mussolini a Roma il 7 gennaio 1935.

2) L'incontro con Stalin a Mosca il 1° maggio 1935.

 

Nel primo si cerca di risolvere per via di compromesso, che doveva essere accettato poi dal ministro inglese Hoare, le rivendicazioni italiane in Abissinia. Nel secondo il gesto di Poincaré, che doveva condurre all'alleanza franco-russa nella guerra del l9l4-17, sarà rinnovato, ed in occasione del nuovo patto franco-russo Stalin dichiara che si rende perfettamente conto della necessità della politica degli armamenti per la difesa della Francia.

 

Il 14 luglio 1935, alla manifestazione della Bastiglia per onorare la nascita della repubblica borghese, i capi comunisti, accanto a Daladier ed ai capi socialisti, portano una sciarpa tricolore; la bandiera rossa è accomunata al tricolore, mentre contro il “pericolo fascista” sono evocati Giovanna D'Arco e Victor Hugo, Jules Guesde e Vaillant e si giunge fino a riparlare del “sole di Austerlitz” delle vittime napoleoniche. Abbiamo già detto perché tutta questa sbornia sciovinista era inconcludente e senza portata giacché la Francia doveva, come l'Italia, la Spagna e tutte le altre ex-potenze al di fuori degli attuali Tre Grandi, scendere al ruolo di una concessione che è occupata ora dagli uni, ora dagli altri; soggiungiamo ora che quando la guerra scoppiò nel settembre 1939 tra la Francia e la Germania, il patto del Maggio 1935 non fu applicato dalla Russia.

 

Ma tutte queste sono questioni secondarie di fronte all'essenziale che è la lotta fra le classi su scala nazionale ed internazionale. E su questo fronte classista, la Manifestazione della Bastiglia, i suoi precedenti e gli avvenimenti che ne risultarono ebbero un'importanza capitale non solo per il proletariato francese ma per quello spagnolo ed internazionale.

 

Quando, nel marzo 1935, Mussolini passa all'attacco contro il Negus, tutto è pronto per scatenare una campagna internazionale impostata sull'applicazione delle sanzioni contro “l'Italia fascista”. Un'azione simultanea contro Mussolini ed il Negus non doveva essere nemmeno considerata dai partiti socialista e comunista. Entrambi partono in lizza in difesa del regime schiavista del Negus: il che è, nel contempo, una magnifica difesa dello stesso regime fascista di Mussolini. In effetti, questi non poteva trovare migliore alimento alla formazione di quell'atmosfera di unità nazionale favorevole alla sua campagna di Abissinia che nell'applicazione di sanzioni d'altronde volutamente innocue.

 

Leon Blum propone alla Società delle Nazioni, supremo baluardo “della pace e del socialismo”, l'arbitraggio del conflitto e vuole incaricarne Litvinov che, in quel momento, è Presidente in esercizio; dopo che il tentativo di compromesso Laval-Hoare fallisce, la Società delle Nazioni si schiera, nella sua stragrande maggioranza, contro Mussolini. Inutile dire che l'“emigrazione” italiana si allinea a questa azione in difesa del Negus e dell'imperialismo inglese: al Congresso di Bruxelles del Settembre 1935 è votata una mozione i cui termini sciatti e servili mostrano fino a qual punto - ad un anno di distanza dalla guerra di Spagna e a quattro dalla guerra mondiale - si era già arrivati nel saldare le masse al carro borghese.

 

 

Eccone il testo:

“Al Signor Benes, Presidente della S. d. N. Il Congresso degli italiani che, nelle circostanze attuali, ha dovuto riunirsi all'estero per proclamare il suo attaccamento alla pace e alla libertà, raggruppando in una comune volontà di lotta contro la guerra centinaia di delegati delle masse popolari d'Italia e dell'emigrazione italiana, dai cattolici ai liberali, dai repubblicani ai socialisti ed ai comunisti, constata con la più grande soddisfazione che il Consiglio della S. d. N. ha nettamente separato, per la condanna dell'aggressore, le responsabilità del governo fascista da quelle del popolo italiano; afferma che la guerra d'Africa è la guerra del fascismo e non quella dell'Italia, che essa è stata scatenata contro l'Europa e l'Etiopia senza alcuna consultazione del paese e in violazione non solo degli impegni solenni presi nei confronti della S. d. N. e dell'Abissinia, ma in violazione anche dei sentimenti e dei veri interessi del popolo italiano; sicuro d'interpretare il pensiero autentico del popolo italiano il Congresso dichiara che è nel dovere della S. d. N., nell'interesse tanto dell'Italia che dell'Europa di ergere una diga infrangibile alla guerra e si impegna a sostenere le misure che saranno prese dalla S. d. N. e dalle organizzazioni operaie per imporre l'arresto immediato delle ostilità”

 

 

Il Comintern disciplinato alle decisioni della S. d. N. ecco un risultato di cui Mussolini aveva tutte le ragioni di gloriarsi.

 

Frattanto si prepara l'atmosfera che doveva condurre alla dispersione dei formidabili scioperi di Francia, del Belgio ed alla caduta nella guerra imperialista e antifascista del poderoso sussulto dei proletari spagnoli nel luglio 1936.

 

Sul finire del 1935 il Parlamento francese, in una seduta qualificata “storica” da Blum, è unanime nella constatazione della sconfitta del fascismo e della “riconciliazione” dei francesi. Nello stesso tempo gli scioperi di Brest e di Toulon sono attribuiti, dallo stesso fronte unico dei “riconciliati”, all'azione di “provocatori”; e nel Gennaio 1936 Sarraut - lo stesso che nel 1927 aveva proclamato “il comunismo, ecco il nemico” - beneficerà del fatto che, per la prima volta, il gruppo parlamentare comunista si astiene dal voto sulla dichiarazione ministeriale. L'attentato contro Blum del Marzo 1936 spinge il Partito Comunista a lanciare la formula della lotta “contro gli hitleriani di Francia”, formula che gli sarà poi rinfacciata, dopo la firma del trattato russo-tedesco dell'agosto 1939.

 

Il 7 Marzo 1936 Hitler denuncia il Trattato di Locarno e rimilitarizza la Renania. Per contraccolpo, alla Camera francese, la foga sciovinista è altrettanto clamorosa per quanto innocua nei suoi riflessi internazionali.

 

Gli avvenimenti impongono al capitalismo francese di utilizzare la reazione al fatto compiuto di Hitler solamente nel campo della politica interna ed il Partito Comunista eccelle in questa azione: rievocando l'epoca in cui i legittimisti francesi fuggivano dalla Francia durante la rivoluzione, esso parla degli “emigrati di Coblentz, di Valmy”, rievoca ancora “il sole di Austerlitz di Napoleone” e va fino a servirsi delle parole di Göthe e Nietzsche sulla “Germania ancora sommersa nello stato di barbarie”, senza esitare a falsificare lo stesso Marx la cui frase “il gallo francese portatore della rivoluzione in Germania” è trasferita dal campo sociale e di classe del proletariato francese a quello nazionale e nazionalista della Francia e della sua borghesia.

 

La diplomazia russa rafforza la posizione patriottarda del Partito Comunista francese nello stesso tempo in cui resta però prudentissima - come d'altronde anche l'Inghilterra - quanto alla replica da dare al colpo di Hitler. Litvinov si limita a dichiarare che “l'U.R.S.S. si assocerebbe alle misure più efficaci contro la violazione degli impegni internazionali” ed a spiegare che “quest'atteggiamento dell'Unione Sovietica è determinato dalla politica generale di lotta per la pace, per l'organizzazione collettiva della sicurezza e del mantenimento di uno degli strumenti della pace: la S. d. N”. Molotov è ancora più prudente, e, in un'intervista al “Temps”, dice: “Noi conosciamo il desiderio della Francia di mantenere la pace. Se il governo tedesco giungesse anch'esso a testimoniare il suo desiderio di pace e di rispetto dei Trattati, particolarmente in ciò che concerne la S. d. N., noi considereremmo che, su questa base della difesa degli interessi della pace, un riavvicinamento franco-tedesco sarebbe augurabile”.

 

I capi del Partito Comunista Francese ragionavano in questo modo: la Russia è in pericolo; per salvarla blocchiamo con il nostro capitalismo.

 

E con il consueto spudorato spirito demagogico non esitavano a suffragare questa teoria col richiamarsi all'azione di Lenin; proprio di Lenin che nel 1918 per salvare la Russia dall'attacco di tutte le potenze capitalistiche spingeva i proletari di ogni paese contro il capitalismo del paese rispettivo ed in un attacco rivoluzionario volto alla sua distruzione. L'opposizione fra le due posizioni è altrettanto violenta per quanto lo è quella che esiste fra rivoluzione e contro-rivoluzione.

 

È in quest'atmosfera di unione nazionale, di riconciliazione di tutti i francesi, di lotta contro gli “hitleriani di Francia” che matura l'ondata di scioperi che comincia l'11 maggio al porto di Le Havre e nelle officine d'aviazione di Tolosa. La vittoria di questi due primi movimenti si incrocia con l'immediata estensione dello sciopero alla regione parigina, a Courbevoie ed a Renault (32.000 operai), il 14 Maggio, a tutta la metallurgia parigina il 29 ed il 30. Le rivendicazioni sono: l'aumento dei salari, il pagamento dei giorni di sciopero, vacanze operaie, contratto collettivo. Gli scioperi durano, si estendono al Nord minerario dapprima ed a tutto il paese in seguito, e prendono un aspetto nuovo: gli operai occupano le officine malgrado l'appello della Confederazione del Lavoro, dei Partiti Socialista e Comunista. Si legge in un appello: “risolute a mantenere il movimento nel quadro della disciplina e della tranquillità, le organizzazioni sindacali si dichiarano pronte a mettere un termine al conflitto dovunque le giuste rivendicazioni operaie siano soddisfatte”.

 

Ma quale differenza dall'occupazione delle fabbriche in Italia, nel Settembre 1920! A Parigi bandiera rossa e tricolore sventolano assieme e nelle officine non si pensa che a danzare: l'atmosfera non ha nulla di un movimento rivoluzionario Fra lo spirito di unità nazionale che anima gli scioperanti e l'arma estrema dell'occupazione delle officine vi è un contrasto stridente. Tuttavia nessuna possibilità di equivoco: tanto la Confederazione del Lavoro che aveva già riassorbito la C.G.T.U., quanto i Partiti Socialista e Comunista non hanno nessuna iniziativa in questi grandiosi scioperi. Vi si sarebbero opposti se questo fosse stato possibile ed è unicamente il fatto che essi si sono estesi a tutto il paese che impone loro delle dichiarazioni di ipocrita simpatia per gli scioperanti.

 

Il fatto che il padronato sia arcidisposto ad accettare le rivendicazioni degli operai non determina la fine dei movimenti. Un gran colpo di scena è necessario. Le elezioni di maggio avevano dato una maggioranza ai partiti di sinistra e fra questi al Partito Socialista.

 

                                                                                       * * *

 

 

Eccoci così al Fronte Popolare: ben prima del termine fissato dalla procedura parlamentare, il Governo di Blum è formato il 4 Giugno. La Delegazione delle sinistre, l'organo parlamentare del Fronte Popolare, in un o.d.g. “constata che gli operai difendono il loro pane nell'ordine e nella disciplina e vogliono conservare al loro movimento un carattere rivendicativo dal quale non riusciranno a staccarli le “Croci di Fuoco” (movimento combattentistico del Colonnello La Roque - n.d.r.) e gli altri agenti della reazione”. L'“Humanité” dal canto suo pubblica a titoli di scatola che l'“ordine assicurerà il successo” e che “chi esce dalla legalità sono i padroni, gli agenti di Hitler che non vogliono la riconciliazione dei francesi e spingono gli operai a fare lo sciopero”.

 

Nella notte dal 7 all'8 Giugno è firmato quello che sarà poi chiamato l'“accordo di Matignon” (la residenza del Presidente del Consiglio Blum) ed esso consacra: a) il contratto collettivo;b) il riconoscimento del diritto di sindacato; c) l'istituzione dei delegati sindacali nelle officine; d) l'aumento dei salari dal 7 al 15% (che è poi il 35% essendo stata ridotta la settimana di lavoro da 48 a 40 ore);e) le vacanze pagate. Quest'accordo sarebbe stato firmato anche prima se in alcune fabbriche quelli che venivano qualificati “reazionari” non avessero proceduto all'arresto di alcuni direttori.

 

Il 14 Giugno Thorez, il capo del Partito Comunista francese, lancia la formula che lo renderà celebre: “Bisogna sapere terminare uno sciopero dal momento in cui le rivendicazioni essenziali sono state raggiunte. Bisogna anche addivenire al compromesso al fine di non perdere alcuna forza e soprattutto per non facilitare la campagna di panico della reazione”.

 

Dopo due settimane il capitalismo francese riesce a spegnare questo potente movimento, potente non per il suo significato di classe, ma per la sua estensione, l'importanza delle rivendicazioni professionali, l'ampiezza e il grado dei mezzi impiegati dai lavoratori per conseguire il successo.

 

Le organizzazioni pseudo-operaie che non avevano avuto nessuna responsabilità nello scatenamento del movimento, sono le stesse che si incaricheranno di mettervi un termine. Il Partito Comunista francese doveva giuocare un ruolo di primo ordine nel soffocamento di ogni possibilità rivoluzionaria che dovesse sorgere ed esso vi riuscì a meraviglia indicando al disprezzo dei lavoratori, e in quanto “hitleriani”, i rari operai francesi che cercavano di far convergere l'occupazione delle fabbriche con un'impostazione rivoluzionaria della lotta. Ed in questo unicamente consisteva il problema tattico che il Partito francese doveva risolvere.

 

Quasi contemporaneamente scoppiano gli scioperi in Belgio. Essi iniziano al Porto d'Anversa e dilagano successivamente in tutto il paese. Il manifesto che lancia immediatamente il Partito Operaio Belga è significativo: “Operai del porto, nessun suicidio. Vi sono delle persone che vi incitano ad arrestare il lavoro. Perché? Esse esigono un aumento di salario. Noi non diciamo nulla di diverso a questo proposito nel momento in cui l'Unione Belga degli Operai del Trasporto si occupa di discutere la sua politica di aumento dei salari. E noi non ci lasceremo sorprendere da gente senza responsabilità. Non vogliamo conoscere ad Anversa le stesse conseguenze disastrose che si produssero dopo lo sciopero di Dunkerque. Abbiamo un regolamento che deve essere rispettato. Quelli che vi incitano allo sciopero non si preoccupano delle conseguenze. Operai del porto, ascoltate i vostri dirigenti. Noi sappiamo quali sono i vostri desideri. Avanti per l'unione! nessuno sciopero irragionevole. Noi discuteremo ancora oggi con i padroni”.Malgrado un appello analogo della Commissione Sindacale (l'equivalente della Confederazione del Lavoro), il 14 Giugno il Congresso dei Minatori è costretto a subire la situazione e dare l'ordine di sciopero. Il giorno precedente l'organo del Partito Socialista comunicava il suo accordo con le decisioni governative per evitare l'occupazione delle officine.

 

Il 22 Giugno, nel Gabinetto del Primo Ministro Van Zeeland, che presiede una coalizione con la partecipazione dei socialisti, si firma un accordo dove è stabilito:a) un aumento di salari del 10%;b) la settimana di 40 ore per le industrie insalubri;c) 6 giorni di vacanze annue.

 

Il Partito Comunista belga mette la scarsa influenza di cui dispone fra le masse a profitto di una tattica analoga a quella seguita dal Partito francese: esso blocca con il Partito Operaio e la Commissione Sindacale che monopolizzano la direzione dei movimenti. Non ha nessuna iniziativa nello scatenarsi degli scioperi e tutta la sua attività consiste nel reclamare l'intervento del Governo in favore degli scioperanti.

 

Quanto ai risultati, questi furono molto inferiori a quelli ottenuti dai lavoratori francesi. Ma, nei due paesi, questi successi sindacali, d'altronde effimeri, lungi dal significare una ripresa della lotta autonoma e classista del proletariato, favoriscono lo sviluppo della manovra dello Stato capitalista che, grazie all'arbitraggio dei conflitti, riesce a guadagnarsi la fiducia delle masse e di questa fiducia esso si servirà per stringere la rete del suo controllo egemonico su di esse.

 

La sanzione dell'autorità statale al contratto di lavoro rappresenta non una vittoria ma la disfatta dei lavoratori. In realtà questo contratto non è che un armistizio nella lotta di classe e la sua applicazione dipende dai rapporti di forza fra le due classi. Il solo fatto che sia accettato l'intervento statale inverte radicalmente i termini del problema giacché i lavoratori incaricano così della loro difesa l'istituto fondamentale del dominio capitalista: il posto dei sindacati di classe è ora occupato dal sindacato di collaborazione di classe intrecciantesi con i funzionari del Ministero del Lavoro che controllano l'applicazione della legge.

 

Gli scioperi francese e belga precedono di un mese appena lo scoppio delle agitazioni sociali in Spagna e l'apertura della guerra imperialista in quel paese. Di questo parleremo nel corso dell'ultimo nostro capitolo. 

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
ARTICOLI GUERRA UCRAINA
RECENT PUBLICATIONS
  • Il proletariato nella seconda guerra mondiale e nella
    Il proletariato nella seconda guerra mondiale e nella "Resistenza" antifascista
      PDF   Quaderno n°4 (nuova edizione 2021)
  • Storia della Sinistra Comunista V
    Storia della Sinistra Comunista V
  • Perchè la Russia non era comunista
    Perchè la Russia non era comunista
      PDF   Quaderno n°10
  • 1917-2017 Ieri Oggi Domani
    1917-2017 Ieri Oggi Domani
      PDF   Quaderno n°9
  • Per la difesa intransigente ...
    Per la difesa intransigente
NOSTRI TESTI SULLA "QUESTIONE ISRAELE-PALESTINA"
  • Israele: In Palestina, il conflitto arabo-ebreo ( Prometeo, n°96,1933)
  • Israele: Note internazionali: Uno sciopero in Palestina, il problema "nazionale" ebreo ( Prometeo, n°105, 1934)
  • I conflitti in Palestina ( Prometeo, n°131,1935)
  • Gli avvenimenti in Palestina (Prometeo, n°132,1935)
  • Israele: Fraternità pelosa ( Il programma comunista, n°21, 1960)
  • Israele: Il conflitto nel Medioriente alla riunione emiliano-romagnola (Il programma comunista, n°17, 1967)
  • Israele: Nel baraccone nazional-comunista: vie nazionali, blocco con la borghesia ( Il programma comunista, n°20, 1967)
  • Israele: Detto in poche righe ( Il programma comunista, n°18, 1968)
  • Israele: Spigolature ( Il programma comunista, n°20, 1968)
  • Israele: Un grosso affare ( Il programma comunista, n°18, 1969)
  • Incrinature nel blocco delle classi in Israele(Il Programma comunista, n°17, 1971)
  • Curdi palestinesi(Il Programma comunista, n°7, 1975 )
  • Dove va la resistenza palestinese? (I)(Il Programma comunista, n°17, 1977)
  • Dove va la resistenza palestinese? (II)(Il Programma comunista, n°18, 1977)
  • Dove va la resistenza palestinese? (III)(Il Programma comunista, n°19, 1977)
  • Il lungo calvario della trasformazione dei contadini palestinesi in proletari(Il Programma comunista, n°20-21-22, 1979).
  • In rivolta le indomabili masse sfruttate palestinesi ( E' nuovamente l'ora di Gaza e della Cisgiordania)(Il Programma comunista, n°8, 1982)
  • Cannibalismo dello Stato colonialmercenario di Israele(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • Le masse oppresse palestinesi e libanesi sole di fronte ai cannibali dell'ordine borghese internazionale(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • La lotta delle masse oppresse palestinesi e libanesi è anche la nostra lotta- volantino(Il Programma comunista, n°13, 1982)
  • Per lo sbocco proletario e classista della lotta delle masse oppresse palestinesi e di tutto il Medioriente(Il Programma comunista, n°14, 1982)
  • La lotta nazionale dei proletari palestinesi(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • Sull'oppressione e la discriminazione dei proletari palestinesi(Il Programma comunista, n°19, 1982)
  • La lotta nazionale delle masse palerstinesi nel quadro del movimento sociale in Medioriente(Il Programma comunista, n°20, 1982)
  • Il ginepraio del Libano e la sorte delle masse palestinesi ( Il programma comunista, n°2, 1984)
  • La questione palestinese al bivio ( Il programma comunista, n°1, 1988)
  • Il nostro messaggio ai proletari palestinesi ( Il programma comunista, n°2, 1989)
  • Una diversa prospettiva per le masse proletarie (Il programma comunista, n°5, 1993)
  • La questione palestinese e il movimento operaio internazionale ( Il programma comunista, n°9, 2000)
  • Gaza, o delle patrie galere (Il programma comunista, n. 2, 2008)
  • Israele e Palestina: terrorismo di Stato e disfattismo proletario ( Il programma comunista, n°1, 2009)
  • A Gaza, macelleria imperialista contro il proletariato ( Il programma comunista, n°1, 2009)
  • Il nemico dei proletari palestinesi è a Gaza City ( Il programma comunista, n°1, 2013)
  • Per uscire dall’insanguinato vicolo cieco mediorientale (Il programma comunista, n° 5, 2014)
  • Guerre e trafficanti d’armi in Medioriente (Il programma comunista, n°5, 2014)
  • Gaza: un ennesimo macello insanguina il Medioriente-Volantino (Il programma comunista, n°5, 2014)
  • L’alleanza delle borghesie israeliana e palestinese contro il proletariato (Il programma comunista, n°6, 2014)
  • Israele e Palestina: terrorismo di Stato e disfattismo proletario  ( Il programma comunista, n°3, 2021)
  • A fianco dei proletari e delle proletarie palestinesi! ( Il programma comunista, n°5-6, 2023)
  • Il proletariato palestinese nella tagliola infame dei nazionalismi ( Il programma comunista, n°2, 2024)
We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.