DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

 

2. - La questione russa 

 

Nel 1926-27 la Russia attraversa una grave crisi economica. Sin dal 1923-24, due opposte posizioni erano state difese nel seno del Partito Russo: quella della destra Bukharin-Rikov che, rompendo con le condizioni pregiudiziali poste da Lenin nella Nep (vedere “L'imposta in natura”), preconizzava l'appoggio all'espansione degli strati capitalisti soprattutto nelle campagne; l'altra della sinistra trotzkista che, sulla base delle formulazioni di Lenin, tendeva alla istituzione di un piano economico centrato sul rafforzamento del settore statale e socialista a detrimento del settore privato e capitalista.

 

Il partito russo passa alla lotta contro Trotzky; ma il blocco dirigente che va da Bukharin-Rikov a Stalin-Zinoviev-Kamenev se procedeva unito nella lotta contro il preteso “trotzkismo”, non raggiunge tuttavia un'unità di vedute sul piano positivo delle soluzioni da adottare nei confronti dei gravi problemi economici cui aveva dato luogo l'instaurazione della Nep. La destra lancia la parola “contadini arricchitevi” che minaccia apertamente il monopolio del commercio estero, ma né giunge ad impostare un piano economico e politico chiaramente orientato verso l'annientamento delle condizioni pregiudiziali poste da Lenin nella Nep, né si differenzia nettamente dal centro allora impersonato da Stalin-Zinoviev-Kamenev (per limitarsi ai più importanti capi russi). Come sempre, la destra non ha alcun bisogno di precisarsi in posizioni chiare e si affida soprattutto all'impulso diretto degli avvenimenti, i quali, in circostanze sfavorevoli al movimento rivoluzionario, non possono d'altronde che esserle propizi. L'essenziale è per essa la lotta contro la tendenza proletaria, e a questo scopo si serve del centro, che meglio di lei potrà svolgere questo compito contro-rivoluzionario.

 

Gli anni 1926 e 1927 che vedono una situazione in cui le diverse correnti in seno al Partito Russo non ci affrontano in vista di soluzioni particolari da adottare di fronte ai gravi problemi economici in cui si dibatte la Russia, ma i dibattiti vertono soprattutto sulle questioni generali e teoriche. Le soluzioni pratiche interverranno dopo, alla XVI Conferenza del Partito Russo (1929) in cui sarà deciso il primo piano quinquennale. Nel 1926-27 la lotta è circoscritta al compito essenziale dell'ora: disperdere ogni reazione proletaria nel seno del Partito Russo. Secondo la relazione della riunione plenaria del Comitato Centrale e della Commissione Centrale di Controllo del Partito Russo (vedi Stato Operaio del Settembre 1927) e “l'opposizione si divide in tre gruppi: 1° un gruppo di estrema sinistra che fa capo ai compagni Sapronov e Smirnov; 2° il gruppo che accetta l'egemonia di Trotzky e di cui fanno parte, fra i più noti, Zinoviev, Kamenev, ecc. 3° un gruppo che si sforza di prendere una posizione intermedia tra le correnti di opposizione e il Comitato Centrale (Kasparova, Bielincaia, ecc.)”.

 

Quanto al primo gruppo il documento ufficiale caratterizza nei seguenti punti la sua analisi della situazione: a) la lotta nell'interno del partito ha un carattere di lotta di classe, tra la parte operaia del partito e l'esercito dei funzionari; b) questa lotta non può limitarsi all'interno del partito, ma deve interessare le grandi masse senza partito di cui l'opposizione deve conquistare l'appoggio;c) è possibile che l'opposizione sia sconfitta; essa deve perciò costituire un quadro attivo, che difenda anche nell'avvenire la causa della rivoluzione proletaria; d) il blocco Trotzky-Zinoviev non comprende questa necessità, tende al compromesso col gruppo Stalin, non ha una chiara linea tattica; avendo errato nel firmare la dichiarazione del 16 ottobre 1926 di ubbidienza al Partito deve calpestarne gl'impegni; le esitazioni di Trotzky e Zinoviev devono essere denunziate e smascherate come quelle del gruppo Stalin; e) negli ultimi anni gli elementi capitalisti della produzione si sono sviluppati più rapidamente degli elementi socialisti; data l'arretratezza tecnica del paese e il basso livello della produttività del lavoro non è possibile passare ad una vera organizzazione socialista della produzione senza l'aiuto dei paesi tecnicamente progrediti o senza l'intervento della rivoluzione mondiale; f) L'errore principale della politica economica del partito consiste nella riduzione dei prezzi, che va a vantaggio non della classe operaia, ma di tutti i consumatori, e quindi anche della borghesia e della piccola borghesia;g) la liquidazione della democrazia di partito e h) per modificare questo stato di cose, bisogna passare all'organizzazione di grandi aziende di stato con una perfetta tecnica di produzione per la trasformazione dei prodotti dell'agricoltura; i) la Ghepeu, invece di lottare contro la contro-rivoluzione, lotta contro il giustificato malcontento degli operai; l'esercito rosso minaccia di trasformarsi in uno strumento di avventure bonapartiste; il C. C. è una frazione “stalinista” che, iniziando la liquidazione del partito porterà alla fine della dittatura del proletariato; bisogna “restaurare” il sistema dei Soviet.

 

 

Questa corrente è considerata dal C. C. “un gruppo di nemici del partito e della rivoluzione proletaria”. Lo stesso C. C. afferma che esso “è costituito solidamente in frazione illegale non solo nel senso del Partito, ma nel senso stesso della frazione Trotzky-Zinoviev. Risulta che uno dei gruppi di questa frazione, il gruppo di Omsk, si era posto come programma la preparazione di uno sciopero generale in tutta la Siberia e l'arresto dell'attività delle grandi aziende elettriche della regione”.

 

Quanto al gruppo Trotzky-Zinoviev, lo stesso documento del C. C. del Partito russo scrive: “Il gruppo Trotzky-Zinoviev è responsabile dei più violenti attacchi contro il C. C. e contro la sua linea politica, e della più sfacciata attività di frazione sviluppata nel corso del 1927, infrangendo apertamente i solenni impegni presi con la dichiarazione del 16 ottobre 1926. Negli ultimi tempi questo gruppo ha concentrato i suoi attacchi contro la linea del partito nella politica internazionale (Cina, Inghilterra) speculando sulle difficoltà sorte in questo campo. Esso ha risposto alla preparazione della guerra contro l'U.R.S.S. con dichiarazioni le quali rappresentano un sabotaggio dell'azione che il Partito svolge per la mobilitazione delle masse contro la guerra e per la resistenza. Di questo genere è l'affermazione che il C.C. del Partito è su un piano di degenerazione termidoriana, che il corso della politica del partito è “nazional-conservatore”, che la linea del partito è una linea da “contadini vecchi”, che il più grande pericolo che minaccia la Russia non è la guerra, ma il regime interno del partito ecc. Queste affermazioni furono accompagnate da atti di violazione della disciplina e di aperto frazionismo: edizione di documenti di frazione, organizzazione di frazione, di circoli, di conferenze ecc., discorso di Zinoviev contro il C.C. in un'assemblea di senza partito, atteggiamento di Trotzky alla riunione dell'Esecutivo, accusa di “termidorismo” portata da Trotzky contro il Partito in una riunione della C.C. di controllo, dimostrazione pubblica contro il Partito alla partenza di Smilga da una stazione di Mosca. Da ultimo venne organizzata una campagna di petizioni contro il C.C. facendo circolare un documento firmato dagli 83 principali esponenti dell'opposizione. Inoltre il gruppo Trotzky-Zinoviev si e mantenuto in rapporto col gruppo di estrema sinistra escluso dal Partito tedesco (Maslov-Fischer).

 

Tutto ciò mostra che il gruppo Trotzky-Zinoviev non solo ha violato tutti gl'impegni assunti con la dichiarazione del 16 ottobre 1926 ma: 1) si è posto su una via che porta ad essere contro la difesa incondizionata dell'U.R.S.S. nella lotta contro l'imperialismo; le accuse di termidorismo lanciate contro il C.C. hanno come conseguenza logica di proclamare la necessità della difesa dell'U.R.S.S. solo dopo che questo C.C. sia stato rovesciato; 2) si è posto sulla via che porta alla scissione del Comintern; 3) si è posto sulla via che porta alla scissione del Partito russo ed alla organizzazione in Russia di un nuovo partito”.

 

Quanto al gruppo intermedio, il C.C. del Partito russo lo considera “un gruppo di larvata opposizione, indice probabilmente di un certo smarrimento sorto in alcuni elementi meno sicuri di sé di fronte alle gravi difficoltà del momento”.

 

Tutta questa citazione permette di rendersi conto della gravità della situazione esistente in Russia, in questo periodo. Benché vi siano evidenti esagerazioni nel modo di presentare i punti di vista della frazione di estrema sinistra e della frazione Trotzky-Zinoviev è chiaro che neppure quanto scrive il C.C. accusatore autorizza la conclusione che i due gruppi oppositori potessero essere assimilati ai menscevichi e ai controrivoluzionari.

 

Quanto alle posizioni difese dalla destra, esse rappresentavano indubbiamente il veicolo per una restaurazione della classe borghese in Russia secondo il tipo classico della ricostituzione di un'economia basata sull'iniziativa e sulla proprietà privata. Ma la storia doveva escludere quest'eventualità. Nella fase dell'imperialismo monopolista e del totalitarismo statale, il capovolgimento della politica russa si svolgerà lungo l'altra via dei piani quinquennali, di cui parleremo in seguito, e del capitalismo di stato.

 

Ma, come dicevamo, prima di giungere a questo passo decisivo occorreva vincere definitivamente la battaglia contro i diversi gruppi di opposizione, battaglia che era in realtà diretta contro il Partito stesso e contro l'Internazionale, giacché verteva sul punto fondamentale della dottrina marxista: sulla nozione internazionale ed internazionalista del comunismo.

 

La citata risoluzione del C.C. rappresentava una “mezza misura” poiché le questioni non erano definitivamente risolte. È nel dicembre 1927, al XV Congresso del Partito russo, dopo l'insuccesso della prova di forza tentata dall'opposizione con la manifestazione di Leningrado, che i problemi saranno affrontati in pieno.

 

La grande battaglia del XV Congresso si svolse intorno alla nuova teoria del “socialismo in un solo paese” e all'incompatibilità fra l'appartenenza al Partito e all'Internazionale e la mancata accettazione di questa tesi.

 

Su questo punto fondamentale il VII Esecutivo Allargato (novembre-dicembre 1926) si era espresso in questi termini: “Il Partito parte dal punto di vista che la nostra rivoluzione è una rivoluzione socialista, che la rivoluzione d'ottobre non rappresenta solo il segnale per un balzo in avanti e il punto di partenza della rivoluzione socialista in Occidente, ma: 1) rappresenta una base per lo sviluppo futuro della rivoluzione mondiale; 2) apre il periodo di transizione dal capitalismo al socialismo nell'Unione dei Soviet (la dittatura del proletariato), nel quale il proletariato ha la possibilità di edificare con successo, mediante una giusta politica verso la classe dei contadini, la società socialista completa. Questa edificazione verrà ad ogni modo realizzata solo se la forza del movimento operaio internazionale da una parte, e la forza del proletariato dell'Unione Sovietica dall'altra, saranno così grandi da proteggere lo Stato dei Soviet da un intervento militare”.

 

Si osservi come la realizzazione della “società socialista completa” non dipenda più, come ai tempi di Lenin, dal trionfo della rivoluzione negli altri paesi, ma dalla capacità del movimento operaio internazionale di “proteggere lo Stato dei Soviet da un intervento militare”. Gli avvenimenti hanno provato che a “proteggere” la Russia dei Soviet saranno invece i due più potenti stati imperialisti: la Gran Bretagna e gli Stati Uniti.

 

Sia al VII Esecutivo Allargato, che alle altre numerose riunioni del Partito Russo e dell'Esecutivo dell'Internazionale, il proletariato russo e internazionale perdette la sua battaglia. La consacrazione di questa disfatta si ebbe al XV Congresso del Partito Russo (dicembre 1927) quando fu proclamata l'incompatibilità fra l'appartenenza al Partito e la negazione della “possibilità della costruzione del socialismo in un solo paese”.

 

Ma tale disfatta doveva avere conseguenze decisive sia nel seno della Russia, sia nel movimento comunista mondiale. La battaglia delle classi non ammette vie intermedie, soprattutto nei momenti culminanti, come quelli della nostra epoca. La proclamazione della teoria del socialismo in un solo paese, poiché praticamente non poteva risolversi nell'estrazione della Russia da un mondo in cui - dopo la sconfitta della rivoluzione cinese - il capitalismo passava ovunque al contrattacco e, per il fatto stesso di spezzare il legame necessario fra la lotta della classe lavoratrice di ogni paese contro il rispettivo capitalismo e la lotta per il socialismo nel seno della Russia, negava il fattore di classe proletario, doveva inevitabilmente ammetterne un altro, su cui la Russia sempre più andava basandosi: il capitalismo mondiale. Evidentemente, questo trapasso dello stato russo non era possibile che a due condizioni: 1) che i partiti comunisti cessassero di rappresentare una minaccia per il capitalismo; 2) che nell'interno della Russia il principio della economia capitalistica - lo sfruttamento dei lavoratori - fosse reistituito. In questo capitolo tratteremo del secondo punto; nei capitoli successivi del primo. 

 

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Sulla base di una logica che vorremmo chiamare “cronologica”, si è formata l'opinione che la linea della degenerazione dello stato russo parta dall'adozione della Nep nel marzo 1921 e giunga inevitabilmente al nuovo corso introdotto dopo il 1927. Questa opinione è superficiale e non corrisponde ad un'analisi degli avvenimenti condotta secondo i principi marxisti.

 

Occorre mettere in chiaro che la manovra economica era necessariamente richiesta dagli avvenimenti, dalle difficoltà insormontabili in cui la dittatura proletaria si trovava, ed era possibile proprio perché si attuava in regime di dittatura proletaria. Questo evidentemente non vuol dire che le forze economiche borghesi non si accrescessero e che il rapporto di forze politico non tendesse a mutare: tuttavia questo mutare di rapporti a vantaggio delle forze borghesi, portato dalla Nep, poteva divenire pericoloso e letale per la dittatura proletaria in Russia solo ove il rapporto di forza internazionale si fosse spostato, come avvenne, verso il prevalere della reazione borghese e il deflusso dell'ondata rivoluzionaria. In caso contrario la momentanea ripresa delle forze borghesi sarebbe stata travolta dalla dittatura proletaria che aveva mantenute le sue posizioni politiche.

 

La posizione di Lenin, sin dal 1917, è basata su queste considerazioni principali: 1) una intransigenza politica assoluta che porterà il Partito Bolscevico a prendere le posizioni della lotta più aperta contro tutte le formazioni politiche borghesi, compresevi quelle della estrema sinistra socialdemocratica. È noto che, nel gennaio 1918, Lenin, dopo avere analizzato i risultati delle elezioni per la Costituente non secondo i criteri banali della democrazia parlamentare, ma secondo gli opposti criteri classisti, e dopo di avere constatato che i bolscevichi erano minoranza dal punto di vista aritmetico e globale nel paese, erano però maggioranza nei centri industriali, passò alla dispersione violenta di questa Assemblea eletta sulla base dei principi democratici. 2) un'avveduta politica economica che delimitava le possibilità del proletariato - e per conseguenza del Partito di classe - in connessione con le possibilità concrete offerte dal modesto grado di sviluppo delle forze e della tecnica di produzione. Il programma di Lenin comportava il semplice “controllo della produzione”, ciò che significava la permanenza dei capitalisti alla testa delle industrie.

 

Questa apparente contraddizione fra una politica economica di concessioni ed una politica generale estremamente intransigente è inspiegabile se non ci si pone - come costantemente fece Lenin - sul piano internazionale e non si considera quindi la rivoluzione russa in connessione con lo sviluppo della rivoluzione mondiale. Se, dal punto di vista nazionale russo, le concessioni nel campo economico sono inevitabili a causa dell'arretratezza dello sviluppo industriale del paese, dal punto di vista politico invece - poiché l'esperimento della dittatura proletaria è funzione degli avvenimenti internazionali - la politica più intransigente diventa non solamente possibile ma necessaria, giacché si tratta in definitiva di un episodio della lotta mondiale del proletariato.

 

Lenin agiva in funzione di principi marxisti sia nel 1917 quando si limitava al “controllo delle industrie”, sia durante il comunismo di guerra fra il 1918 ed il 1920, sia quando preconizzò nel marzo 1921 la politica della Nep. Tutta la sua politica discende da un'impostazione internazionale del problema russo e la stessa Nep sarà considerata inevitabile a causa del ritardo della ascesa rivoluzionaria del proletariato mondiale, mentre d'altra parte si preciseranno le condizioni fondamentali nel quadro delle quali dovranno strettamente mantenersi le concessioni contenute nella politica della Nep.

 

È noto che Lenin, sostituendo l'imposta in natura (il contadino diventava libero di disporre del prodotto rimanente dopo la cessione della quota devoluta allo stato) al sistema delle requisizioni (che toglieva al contadino ogni possibilità di disporre del suo prodotto) ed autorizzando il ristabilimento del mercato e della piccola industria, suddivideva l'economia russa nei due settori socialista e privato. Il primo settore - quello statale - doveva ingaggiare una corsa di velocità nei confronti del secondo al fine di sconfiggerlo nel campo economico grazie alla superiorità del rendimento del lavoro e dell'aumento di produzione.

 

Tuttavia la qualifica di socialista data al settore statale non significava affatto che la forma statale fosse sufficiente a determinare la natura socialista di questo settore. A mille riprese Lenin insistette sul fatto che le possibilità di successo del settore statale non risultavano in alcun modo dal fatto che, invece del privato, fosse lo stato a gestire l'industria, ma dal fatto che questo era uno stato proletario strettamente collegato al corso della rivoluzione mondiale.

 

Lenin instaura la Nep nel marzo 1921. È nel 1923-24 che i primi risultati della Nep si manifestano e contemporaneamente la lotta nel seno del Partito Russo dimostra che le previsioni poggianti su uno sviluppo del settore socialista a detrimento di quello privato non erano confermate dagli avvenimenti. Mentre Trotzky preconizzerà provvidenze destinate allo sviluppo del settore socialista ed alla lotta contro la borghesia rinascente soprattutto nelle campagne, la destra di Bukharin non vedrà altra soluzione ai problemi economici che una più grande libertà in favore degli elementi capitalistici dell'economia sovietica.

 

Nel 1926-27 la battaglia prende, nel seno del Partito e dell'Internazionale, le proporzioni che abbiamo ricordate e la sconfitta sarà totale per gli elementi di sinistra che non potranno restare nel partito che alla condizione di abiurare il principio internazionale ed internazionalista della lotta per il socialismo.

 

L'evoluzione storica non obbedisce a criteri formalistici a tale punto che una restaurazione dei principi economici del capitalismo non potesse essere considerata possibile in Russia che attraverso il ristabilimento della forma classica della proprietà individuale. La Russia si troverà nel 1927 e successivamente sempre più in una situazione mondiale caratterizzata, come nel secolo scorso, non dal riflesso dei principi economici liberisti nella appropriazione privata dei mezzi di produzione e del plusvalore, ma in un'altra situazione che conosce il totalitarismo statale e la soggiogazione a questo di tutte le forme dell'iniziativa privata.

 

Dopo la sconfitta della sinistra nel seno del Partito russo, non assistiamo - a causa delle indicate caratteristiche dell'evoluzione storica generale - ad un trionfo della destra, ma al fatto che la soluzione dei problemi economici non potrà essere ottenuta che attraverso una lotta contro le stratificazioni capitalistiche sorte durante la Nep.

 

Ma fra la politica della Nep e quella che doveva poi trionfare, dei Piani quinquennali, esiste o no una soluzione di continuità? Per rispondere a questa questione vi è dapprima da considerare che, come dimostra Ch. Bettelheim nel suo libro “La Pianificazione sovietista”, la Nep non aveva raggiunto i suoi obiettivi né nel campo politico giacché essa aveva portato ad un'ipertrofia della burocrazia, né nel campo economico giacché invece di avere assicurato la vittoria del settore socialista, aveva condotto ad un rafforzarsi del settore privato, né infine nel campo più generale economico poiché il 1926-27 aveva conosciuto una grave crisi economica in Russia.

 

In presenza di quello che Bettelheim qualificherà “il fallimento della Nep” si pone la questione se il 1927 doveva ineluttabilmente segnare l'ora della resa dei conti e se, a causa delle sfavorevolissime circostanze internazionali, nessuna ulteriore possibilità esisteva di mantenere al proletariato lo stato russo. Ma non di questo problema dobbiamo occuparci, il nostro compito essendo prevalentemente informativo sul corso degli avvenimenti.

 

Il fatto indiscutibile è che la reistituzione del principio economico dello sfruttamento capitalista viene consacrata dai Piani Quinquennali, il primo dei quali sarà deciso alla XVI Conferenza del Partito Russo dell'Aprile 1929 ed approvato dal V Congresso dei Soviet del Maggio 1929; il punto fondamentale di questi Piani è quello del raggiungimento prima e del continuo superamento poi degli indici di produzione prendendo come punti di riferimento sia il periodo precedente al 1914, sia i risultati ottenuti negli altri paesi. In una parola, quale sarà la sostanza della nuova ricostruzione sovietica? I documenti ufficiali non ne fanno mistero: si tratta di ricostruire un'economia dello stesso tipo di quella capitalista ed essa sarà qualificata tanto più come “socialista” quanto più alti saranno i vertici raggiunti dalla produzione.

 

Il piano economico concepito da Lenin e approvato al IX Congresso del Partito Comunista Russo nell'aprile 1920 impostava tutto il problema sull'aumento dell'industria di consumo: ciò voleva dire che scopo essenziale dell'economia sovietica era il miglioramento delle condizioni di vita delle masse lavoratrici. Per contro, la teoria dei Piani quinquennali mira al più alto sviluppo dell'industria pesante a scapito di quella di consumo. Lo sbocco dei Piani quinquennali nell'economia di guerra e nella guerra era perciò altrettanto inevitabile quanto l'assetto corrispondente dell'economia nel resto del mondo capitalista.

 

Corrispondentemente alla modificazione sostanziale che si verificherà negli scopi della produzione, che saranno unicamente quelli di una costante accumulazione di capitali nell'industria pesante, un'altra modificazione si farà nella concezione dell'“industria socialista” il cui criterio distintivo sarà stabilito nella forma non privata e statale: lo Stato padrone diventerà il dio al quale saranno immolati non solamente i sacrifici dei milioni di lavoratori russi che dovranno rivalizzare di zelo nella quantità e nella qualità della produzione per non incorrere nell'accusa e condanna di “trotzkisti”, ma anche i cadaveri degli artefici della rivoluzione russa.

 

Il principio economico del crescente sfruttamento dei lavoratori proprio del capitalismo, sarà reistituito in Russia parallelamente alle leggi generali dell'evoluzione storica che portano ad un intervento crescente e totalitario dello stato. Anche il destro Bukharin ed il suo compagno Rykov saranno giustiziati. Chi trionfa in Russia è chi dovrà poi trionfare in tutti i paesi: il?totalitarismo statale; e la conseguenza non potrà essere che la stessa anche in Russia: la preparazione e la gigantesca partecipazione al secondo conflitto mondiale.

 

La sinistra italiana, scorgendo fin dall'inizio la sostanza dell'evoluzione politica in Russia, non si lasciò - come Trotzky - accalappiare dalla forma statale della proprietà in Russia e fin dal 1933 sollevò la necessità di assimilare la Russia Sovietica al mondo capitalista preconizzando la stessa tattica nel corso del conflitto imperialista, dove ineluttabilmente essa sarebbe stata condotta dalla teoria del “socialismo in un solo paese” e dalla teoria dei Piani quinquennali. 

 

 

3. - La questione cinese (1926 - 1927) 

 

“Se i sindacati reazionari inglesi sono disposti a formare con i sindacati rivoluzionari del nostro paese (la Russia. n.d.r.) una coalizione contro gli imperialisti contro-rivoluzionari del loro paese, perché non si approverebbe questo blocco?” (Stalin alla seduta comune del C.C. del Partito Russo e della Commissione Centrale di Controllo, Luglio 1926). Giustamente Trotzky replicava: “se i sindacati reazionari fossero capaci di lottare contro i loro imperialisti, essi non sarebbero reazionari”.

 

Se Chang-Kai-Shek ed il Kuomintang fossero disposti a lottare per la rivoluzione... Ma le cataste degli assassinati che conclusero l'epica lotta dei lavoratori cinesi dovevano lugubremente provare che Chang-Kai-Shek e Kuomintang non potevano essere altra cosa che i boia del proletariato e dei contadini di quel paese.

 

Nel suo libro “L'Internazionale Comunista dopo Lenin”, Trotzky caratterizza giustamente la situazione generale in Cina nei seguenti termini: “La proprietà fondiaria, grande e media, vi si intreccia nel modo più intimo con il capitalismo delle città, ivi compreso il capitalismo straniero” (pag. 277 dell'edizione francese Rieder), “Uno sviluppo interno estremamente rapido dell'industria basato sul ruolo del capitalismo commerciale e bancario che ha assoggettato il paese, la dipendenza completa dal mercato delle regioni contadine più importanti, il ruolo enorme e il continuo sviluppo del commercio estero, la subordinazione totale delle campagne cinesi alla città; tutto ciò conferma il predominio incondizionato, il dominio diretto dei rapporti capitalisti in Cina” (op. citata pag. 305).

 

Nello studio che sarà dedicato al trotzkismo, la rivista spiegherà le ragioni che dovevano portare Trotzky, malgrado un'analisi che metteva in luce i rapporti determinanti di tutto l'assetto economico cinese (ivi compresi i rapporti feudali e pre-feudali numericamente molto superiori a quelli capitalistici), a conclusioni tattiche assolutamente insufficienti quali quelle della partecipazione al Kuomintang e della sollevazione di quell'insieme di parole d'ordine democratiche che Trotzky difese contro Stalin dopo la definitiva sconfitta della rivoluzione cinese, dopo cioè il fallimento di quella che il Comintern qualificò: “l'insurrezione di Canton” (Dicembre 1927).

 

La nostra corrente, per contro, dipartendosi da un'analisi collimante con quella di Trotzky difese la tesi di principio della non adesione al Kuomintang e, mentre combatté la tattica del Comintern dell'“offensiva rivoluzionaria”, mantenne integrali le sue posizioni precedenti contro le “parole d'ordine democratiche”, restando ferma sulla tesi che la sola parola da sollevare nella questione del potere era quella della dittatura proletaria.

 

Gli avvenimenti dovevano infatti confermare che né una situazione rivoluzionaria si presentava più in Cina dopo il 1927, né un'era democratica di indipendenza borghese ed anti-imperialista della Cina poteva aprirsi dopo e malgrado la sconfitta rivoluzionaria del 1926-27.

 

È nel 1911 che la dinastia manciuriana abdica in favore della Repubblica. Ed è di quest'epoca la fondazione del “Partito del Popolo”, del Kuomintang. La politica di Sun-Yat-sen, il fondatore del Partito, seppure proclama delle rivendicazioni anti-imperialiste, per “l'indipendenza della Cina”, è costretto tuttavia a doversi limitare ad affermazioni verbali che non inquieteranno affatto gli imperialismi stranieri. La storia condannerà la Cina a non potere assurgere alla funzione di un grande stato nazionale e Sun-Yat-Sen ne è talmente convinto che, dopo che la Cina avrà preso posizione per l'Intesa nel corsa della guerra del 1914-18, nel 1918 si rivolge ai vincitori per essere aiutato nello sviluppo economico della Cina, e cerca di appoggiarsi sull'imperialismo più vicino ed allora meno invadente, il Giappone, per allentare la morsa dell'imperialismo inglese che deteneva le posizioni più importanti.

 

Nel predominio dei rapporti capitalistici nell'interno del paese e nel quadro storico dell'imperialismo finanziario del capitalismo, che non apre alcuna prospettiva all'elevazione a stati nazionali indipendenti dei paesi coloniali e semi coloniali, gli avvenimenti cinesi iniziano nel 1925, si sviluppano nel 1926, per conchiudersi nel soffocamento violento della cosiddetta “insurrezione di Canton”.

 

Questi avvenimenti, che prendono soprattutto l'aspetto militare di una marcia che parte dal Sud e va di vittoria in vittoria verso il Nord, fino a conquistare tutto il paese, possono essere caratterizzati come una “guerra democratico-rivoluzionaria, anti-imperialista della borghesia cinese”? Evidentemente, nel corso di questi tumultuosi eventi vi sono stati attacchi contro le concessioni straniere, ma, a parte il fatto che ogni volta questi attacchi non rispondevano mai a decisioni del centro del Kuomintang, ma erano il risultato di iniziative locali le quali d'altronde col decrescere degli avvenimenti venivano persino sconfessate dalla direzione centrale del Kuomintang, il problema è altro e si tratta di caratterizzare l'insieme per quello che esso si è realmente rivelato e non di addizionare gli episodi che non hanno avuto alcuna influenza decisiva sul corso generale degli avvenimenti.

 

Alla fine del 1927 la vittoria della controrivoluzione è decisiva, e questa vittoria non è disgraziatamente di corta durata poiché venti anni dopo ci troviamo nella stessa situazione e, malgrado la disfatta giapponese, non si assiste affatto ad un'affermazione in stato autonomo della borghesia cinese, la quale, se può disputare con la Francia il rango del IV o del V tra i cinque Grandi, non può però evitare che la Cina, dopo la sconfitta del movimento rivoluzionario del 1926-27 sia ridotta a diventare un immenso territorio dove l'urto si manifesta fra i grandi capitalismi esteri, ma non su un fronte che veda la borghesia cinese ergersi contro l'insieme di questi capitalismi. Contro Stalin ed anche contro Trotzky, la risposta della storia è assolutamente inequivocabile; non si trattò, nel 1926-27 di una guerra rivoluzionaria anti-imperialistica suscettibile di evolvere in un movimento schiettamente proletario e comunista, ma di una gigantesca sollevazione di centinaia di milioni di sfruttati i quali potevano trovare solamente nell'avanguardia proletaria la guida che, instaurando la dittatura proletaria in Cina, si sarebbe intrecciata con lo sviluppo della rivoluzione mondiale.

 

Il ruolo di Chang-Kai-Shek e del Kuomintang non poteva essere quello che spettò alla borghesia francese del 1793, ma quello stesso che avevano esercitato, nei paesi più avanzati, i Noske e compagnia. Sin dall'inizio essi rappresentarono l'argine di difesa contro la gigantesca rivolta degli sfruttati cinesi ed il Kuomintang fu lo strumento efficace di questa crudele e vittoriosa resistenza della controrivoluzione cinese e mondiale.

 

Quanto alla borghesia cinese, al pari d'altronde delle borghesie dell'India e degli altri paesi coloniali e semi-coloniali, la sua funzione si è rilevata non quella di tendere ad un'autonomia nazionale, ma di incastrarsi con l'organamento delle dominanti borghesie imperialiste ed estere. Chang-Kai-Shek doveva mostrare una brutalità terribile contro i proletari cinesi non appena le circostanze (la discesa del flusso rivoluzionario) glielo permisero, nello stesso tempo che una capacità di genuflessione angelica nei confronti dei più potenti imperialismi stranieri.

 

D'altronde, al VII Esecutivo Allargato della fine del 1926, il delegato cinese Tang-Ping-Sian dichiarava nel suo rapporto a proposito di Chang-Kai-Shek: “Egli ha nel campo della politica internazionale, un contegno passivo, nel senso completo della parola. Non è disposto a combattere contro l'imperialismo inglese; quanto agli imperialisti giapponesi, in certe condizioni, è disposto a stabilire un compromesso con essi”.

 

E Trotzky precisa suggestivamente: “Chang-Kai-Shek fece la guerra ai militaristi cinesi, agenti di uno degli stati imperialisti. Non è affatto la stessa cosa che fare la guerra all'imperialismo” (Trotzky, op. cit., p. 268).

 

Sul fondo della lotta fra le masse rivoluzionarie e la controrivoluzione, la guerra che si faranno i generali del Sud e del Nord non troverà, fondamentalmente, altra spiegazione che quella di attanagliare il proletariato insorto e in secondo luogo di tendere all'unificazione della Cina dispersa nelle mille provincie sotto un'autorità centrale. Autorità centrale, lo ripetiamo, senza alcuna prospettiva di ergere la Cina all'altezza di un grande stato nazionale ed indipendente.

 

Gli imperialismi d'altronde non fisseranno le loro preferenze in modo decisivo sull'uno o l'altro generale, ma, coscienti della realtà rivoluzionaria in Cina e del pericolo che essa rappresenta per il loro dominio di classe nel mondo, lasceranno svilupparsi in pieno l'intervento contro-rivoluzionario dell'Internazionale. Dopo l'interruzione causata dagli avvenimenti bellici si ristabilirà quell'intreccio di rapporti capitalistici che parte dalle metropoli, si annette la borghesia cinese e prolunga il sua dominio sull'immensità delle terre cinesi. 

                                                                                       

                                                                                    *  *  *

 

Dal punto di vista programmatico, l'Internazionale disponeva, quale documento fondamentale, le Tesi del secondo Congresso (settembre 1920). L'ultimo paragrafo della 6° Tesi “supplementare” dice: “Il dominio straniero ostacola il libero sviluppo delle forze economiche. Perciò la sua distruzione è il primo passo della rivoluzione nelle colonie. Ed è per questa che l'aiuto portato alla distruzione del dominio straniero nelle colonie non è, in realtà, un aiuto portato al movimento nazionalista della borghesia indigena, ma l'apertura del cammino per lo stesso proletariato indigeno”.

 

Lo si vede, la prospettiva che impregna molteplici documenti della fondazione dell'Internazionale, che è contenuta d'altronde nello stesso Manifesto (quando Marx parla della borghesia che apre la sua stessa fossa estendendo il suo dominio a tutti i paesi) questa prospettiva non è stata confermata dagli avvenimenti. In effetti di fronte ad un movimento della portata di quello della Cina del 1926-27, che vedrà delle centinaia di migliaia di operai e contadini armati, ad un movimento che ha i connotati indiscutibili delle indomabili forze storiche, se il presunto obiettivo della liberazione dal dominio straniero fosse stato suscettibile di determinare gli avvenimenti avremmo assistito ad una lotta di queste masse che, sotto la direzione della borghesia indigena, sarebbero giunte ad un urto decisivo contro gli imperialismi esteri, oppure a questo stesso movimento che, scavalcando la primitiva direzione borghese, avrebbe assunto la forza di una rivoluzione proletaria intercalantesi con la rivoluzione mondiale.

 

Ora non solamente l'urto contro gli imperialismi non si verificò, ma la funzione storica della borghesia cinese si è rivelata esclusivamente quella di un potente bastione contro-rivoluzionario per domare con una terribile violenza le masse insorte, e questa mentre gl'imperialismi stranieri non potevano che rallegrarsi dell'ottimo lavoro fatto dai loro commissionari: il Kuomintang e tutte le sue tendenze, la destra di Chang-Kai-Shek, il centro di Dai-Thi-Tao, come la sinistra sedicente comunista diretta dai delegati dell'Internazionale Comunista in Cina.

 

Le stesse Tesi non si limitano a formulare una prospettiva, ma, dopo avere formulato il criterio di guida per l'analisi delle situazioni storiche, determinano delle garanzie che, è superfluo sottolinealo, sono state vergognosamente tradite dall'Internazionale.

 

Quale criterio di guida, nel Punto 2 delle “Tesi” citate si legge: “Il Partito Comunista interprete cosciente del proletariato in lotta contro il giogo della borghesia, deve considerare come chiave di volta della questione nazionale, non dei principi astratti e formali ma: 1° una nozione chiara delle circostanze storiche ed economiche; 2° la dissociazione precisa degli interessi delle classi oppresse, dei lavoratori, degli sfruttati, contro la concezione generale dei sedicenti interessi nazionali, che significano in realtà quelli delle classi dominanti; 3° la distinzione altrettanto netta quanto precisa delle nazioni oppresse, dipendenti, protette, da quelle oppressive e sfruttatrici, godenti di tutti i diritti, contrariamente all'ipocrisia borghese e democratica che dissimula con cura l'asservimento (specifico del capitale finanziario dell'imperialismo), attraverso la potenza finanziaria e colonizzatrice, dell'immensa maggioranza delle popolazioni del globo ad una minoranza di ricchi paesi capitalistici”.

 

Quanto alle garanzie, la Tesi 5° dirà: “È necessario combattere energicamente i tentativi fatti da certi movimenti di emancipazione, che non sono in realtà né comunisti né rivoluzionari, per inalberare dei colori comunisti: l'Internazionale Comunista non deve sostenere i movimenti rivoluzionari nelle colonie e nei paesi arretrati che alla condizione che gli elementi dei più puri partiti comunisti - e comunisti di fatto - siano raggruppati ed educati per i loro compiti particolari, cioè per la loro missione di combattere il movimento borghese e democratico. L'Internazionale Comunista deve entrare in relazioni temporanee e formare così delle unioni con i movimenti rivoluzionari nelle colonie e nei paesi arretrati, senza tuttavia mai provocare la fusione con essi e conservando sempre il carattere indipendente del movimento proletario anche nella sua forma embrionale”.

 

L'applicazione di queste direttive fondamentali nel corso degli avvenimenti cinesi avrebbe certamente determinato una progressiva precisazione di alcuni degli elementi ipotetici contenuti nelle Tesi, ciò che era d'altronde nettamente previsto nel prima allinea della 2° Tesi che abbiamo riportato, laddove si parla della necessità di “una nozione chiara delle circostanze storiche ed economiche”. Questa nozione non poteva condurre ad altro che a riconoscere il carattere esclusivamente controrivoluzionario del Kuomintang e l'assenza di ogni possibilità storica di lotta anti-imperialista in funzione della sviluppo di quelle forze economiche (Tesi 6°).

 

La nostra corrente, in violenta opposizione can la direzione dell'Internazionale e contro lo stesso Trotzky, sostenne la tesi della non adesione al Kuomintang fin dal principio, qualificando questo “Partito del Popolo” per quello che esso era in realtà e per quello che esso doveva poi crudelmente rivelarsi dopo i massacri dei proletari e dei contadini del 1927. Essa si ricollegava così a quanto diceva Lenin, nel 1919, quando scriveva: “La forza del proletariato in qualunque paese capitalista è molto maggiore di quanto comporti la proporzione tra proletariato e popolazione totale. Questo perché il proletariato comanda economicamente il centro e i nervi di tutto il sistema dell'economia del capitalismo ed anche perché nel campo economico e politico il proletariato esprime sotto il dominio capitalista gli interessi reali dell'enorme maggioranza dei lavoratori” (“Opere Complete”, vol. XVI, pagine 458, citata da Trotzky ne “L'Internazionale dopo Lenin”). E quanto alla natura capitalista dei rapporti economici in Cina, si ricordi quanto abbiamo già detto marcando il nostro accordo con l'analisi fatta da Trotzky.

 

Vediamo ora, succintamente. l'impostazione tattica dell'Internazionale. Essa può essere sintetizzata nella formula del “blocco delle quattro classi” (borghesia, contadini, piccola borghesia urbana, proletariato), formula che fu d'altronde espressamente redatta nelle risoluzioni dell'Internazionale.

 

La rivista dell'Internazionale Comunista nel suo n. 5 del 10 marzo 1927 (si noti, un mese dopo soltanto Chang-Kai-Shek scatenerà il terrore contro i proletari di Shanghai), contiene un articolo particolarmente suggestivo di Martinov. Dopo avere premesso che “la liberazione nazionale della Cina deve necessariamente, in caso di successo, trasformarsi in rivoluzione socialista, che il movimento liberatore della Cina è anche parte integrante della rivoluzione proletaria mondiale, differendo in ciò dai movimenti liberatori anteriori che erano parte integrante del movimento democratico generale”, dopo avere dunque dato di questo movimento, che è di “liberazione nazionale” solamente nella testa dei dirigenti dell'Internazionale, una caratteristica ben più avanzata di quelli che lo precedettero nella storia della formazione degli stati nazionali borghesi in Europa. Martinov giunge alla confusione che mentre “in Russia, nel 1905, l'iniziativa della direzione emanava dal partito proletario” e “la borghesia liberale russa, durante un certo tempo, si trascinava al suo seguito sforzandosi ad ogni sosta temporanea del movimento di concludere un accordo con l'autocrazia czarista”, in Cina “l'iniziativa emana dalla borghesia industriale e dagli intellettuali borghesi” e dunque “il Partito Comunista cinese deve sforzarsi di non creare ostacoli (sottolineato da noi) all'armata rivoluzionaria contro i grandi signori feudali, contro i militaristi del Nord e contro l'imperialismo”.

 

Dal canto suo Stalin, in un articolo polemico contro l'opposizione russa (vedi Stato Operaio del maggio 1927) scriverà: “Nel primo periodo della rivoluzione cinese, nei periodo della prima marcia verso il Nord, quando l'esercito nazionale avvicinandosi allo Yang-Tze passava di vittoria in vittoria, non si era ancora sviluppato un potente movimento di operai e di contadini e la borghesia indigena (ad esclusione dei “compradori”) marciava insieme con la rivoluzione. Questa era dunque la rivoluzione di un fronte unico che si estendeva a tutta la nazione (sottolineato da noi). Questo non vuol dire che vi fossero dei contrasti fra la borghesia indigena e la rivoluzione. Questo significa soltanto che la borghesia indigena dando il suo appoggio alla rivoluzione si sforzava di sfruttarla per i suoi scopi dirigendo lo sviluppo di essa essenzialmente sulla linea delle conquiste territoriali e cercava di limitarne gli sviluppi in un'altra direzione”.

 

Gli avvenimenti dovevano crudelmente provare attraverso lo scatenamento del terrore, a partire dall'Aprile 1927, che la “rivoluzione del fronte unico di tutta la nazione” era in realtà l'incorporazione delle masse insorte che saranno sottoposte alla direzione dei generali, e che infine vi era opposizione netta, stridente, violenta, fra la “marcia militare verso il Nord sotto la direzione del Kuomintang” e le lotte di classe degli operai e dei contadini cinesi. Tutta la lattica del Comintern si riassumerà infine nella direttiva che Martinov aveva precisato: “non creare ostacoli all'armata rivoluzionaria” (vedi citazione più sopra).

 

Per terminare, quanto all'impostazione tattica dell'Internazionale, ricordiamo la dichiarazione di Tan-Pin-Sian al VII Esecutivo Allargato: “Appena sorse il trotzkismo, il Partito e la Gioventù Comunista cinesi adottarono immediatamente, all'unanimità, una risoluzione contro di esso”.

 

È noto che sotto l'etichetta di trotzkismo erano comprese tutte le tendenze che si opponevano alla direzione dell'Internazionale. Se abbiamo riportato questa citazione è per provare che il Partito cinese era stato energicamente “epurato” per potere svolgere, con pieno successo, la sua politica contro-rivoluzionaria.

 

                                                                                 *  *  *

Il secondo semestre del 1926 e il primo trimestre del 1927 conosceranno l'esplosione massima degli avvenimenti cinesi. Durante tutto questo periodo - che è schiettamente rivoluzionario - l'Internazionale si oppone violentemente alle tendenze che si manifestano nel seno dell'avanguardia proletaria verso la costituzione dei Soviet; essa è ferma sulla direttiva del blocco delle quattro classi.

 

La delegazione russa in Cina, che viveva al contatto diretto con gli avvenimenti, scriverà una lettera (1) diretta al Centro di Mosca, dove si fa la critica della politica del Partito cinese e dalla quale appare con quanta vigilanza controrivoluzionaria siano state eseguite le disposizioni tattiche che dovevano condurre allo sfacelo di questo grandioso movimento. Vi si legge: “Secondo il rapporto del Partito Comunista cinese del 13 dicembre 1926 sulle tendenze pericolose del movimento rivoluzionario, la dichiarazione afferma che 'il più grande pericolo consiste in questo: che il movimento delle masse progredisca verso la sinistra'” (corsivo dell'autore).

 

Sulla questione dei rapporti fra Partito e masse, si può dedurre quali essi fossero da questo passaggio:
“I rapporti fra la direzione del Partito, gli operai e i contadini furono formulati nel miglior modo possibile, dal compagno Petrov, membro del C.C., all'occasione dell'esame della questione del reclutamento degli studenti per il corso speciale (università comunista dei lavoratori dell'oriente). Sarebbe stato necessario ottenere la ripartizione seguente: 175 operai e 100 contadini. Il comp.. Petrov ci ha dichiarato che il Comitato Centrale decise di designare solamente degli studenti e degli intellettuali”.

 

Sulla questione contadina: “Al Plenum di dicembre (1926 n. d. r.) del C.C., con la partecipazione del rappresentante del C.E. dell'I.C., fu adottata una risoluzione relativa alla questione contadina. In questa risoluzione non figura alcuna parola relativa al programma ed alla lotta agraria. La risoluzione risponde solamente ad una delle questioni più irritanti, la questione del potere contadino, ed essa vi risponde negativamente: essa dice che non bisogna lanciare la parola del potere contadino al fine di non spaventare la piccola borghesia. Da questo proviene che gli organi del Partito hanno ignorato il contadiname armato”. (In effetti non lo ignoravano poiché spingevano i contadini armati nelle braccia dei generali del Kuomintang, n. d. r.).

 

Sulla questione del movimento operaio: “Più di un milione di operai organizzati sono privati di un centro dirigente. I sindacati sono staccati dalle masse e, in gran parte, restano delle organizzazioni di stati maggiori. Il lavoro politico e di organizzazione è rimpiazzato sempre e dovunque dalla costrizione ed il fatto principale è che le tendenze riformiste crescono all'interno come all'esterno del movimento sindacale rivoluzionario. Familiarità cordiale con gl'imprenditori, partecipazione ai benefici, partecipazione all'elevazione della produttività del lavoro, subordinazione dei sindacati agli imprenditori ed ai capi, tali sono i fenomeni abituali”.

 

D'altra parte, rifiuto di difendere le rivendicazioni economiche dei lavoratori. Avendo paura dello sviluppo elementare del movimento operaio, il Partito ha consentito all'arbitraggio obbligatorio a Canton ed in seguito a Hang-Kéou (l'idea stessa dell'arbitraggio appartiene a Borodine, delegato ufficiale dell'I.C.). Particolarmente grave è la paura dei dirigenti del Partito del movimento degli operai non industriali. D'altronde la maggioranza schiacciante degli operai organizzati in Cina è formata dagli operai non industriali.

 

Il rapporto del C.C. al Plenum di dicembre 1926 dice: “È estremamente difficile per noi di definire la tattica nei confronti della media e della piccola borghesia, perché gli scioperi degli operai che lavorano presso gli artigiani e gli scioperi degli impiegati non sono che dei conflitti all'interno della stessa classe. E l'una e l'altra delle parti in lotta (cioè gl'imprenditori e gli operai) essendo necessarie per il fronte unico nazionale (il fronte della rivoluzione, come dice Stalin, vedere citazione più sopra n. d. r.), noi non possiamo né sostenere l'uno dei due contendenti, né restare neutri”. Sull'esercito:
“La caratteristica del contegno del Partito verso l'esercito è stata data dal comp. Tchou-En-Lai nel suo rapporto. Egli dice ai membri del Partito: 'andate in quest'esercito nazional-rivoluzionario, rinforzatelo, elevate la sua capacità di combattimento, ma non conducetevi nessun lavorò indipendente'. Fino a questi ultimi tempi non vi erano cellule nell'esercito. I nostri compagni consiglieri politici si sono occupati esclusivamente del lavoro politico-militare del Kuomintang”.
E più oltre: “Il Plenum del C.C. di dicembre ha preso la decisione di creare delle cellule nell'esercito, cellule formate solamente di comandanti con l'interdizione di farvi entrare i soldati”.

 

Il laccio intorno alle masse dei lavoratori cinesi insorti è solido e, disgraziatamente, indistruttibile. L'insieme del movimento è incorporato nel quadro dell'unità di tutti, sfruttati e sfruttatori, per la insussistente guerra di “liberazione”. Nel seno del Partito “epurato” si rigettano i proletari all'ultimo rango, dopo gli intellettuali, nei sindacati si proclama che la lotta fra imprenditori capitalisti e proletari è un conflitto “all'interno della stessa classe”, i contadini armati devono essere disciplinatamente inquadrati nell'esercito “nazionale”, mentre le cellule “comuniste” sono riservate agli ufficiali.

 

Il nodo scorsoio era pronto. Esso sarà tirato a Shanghai il 12 aprile 1927 quando Chang-Kai-Shek scatenerà il terrore contro le masse. Prima di passare alla trattazione degli avvenimenti successivi occorre mettere in evidenza l'accoppiamento spontaneo, dovrebbe dirsi (per riprendere la terminologia impiegata da Engels nello studio sulla linea di svolgimento della lotta di classe) naturale tra il movimento delle masse e l'Internazionale Comunista. Questo per rispondere ai molteplici costruttori di rivoluzioni, di partiti e di Internazionali che pullulano un po' dappertutto negli altri paesi, e che in Italia non arrivano fortunatamente a manifestarsi, i quali vorrebbero dare ad intendere che la Sinistra avrebbe commesso l'errore di non separarsi prima dall'Internazionale e fondare un'altra organizzazione.

 

Il movimento rivoluzionario cinese fa parte dello stesso complesso storico che aveva avuto la sua origine e nell'Ottobre russo e nell'Internazionale Comunista. I precedenti (la disfatta tedesca del 1923 e gli avvenimenti nel seno del partito russo) spiegano perché questa direzione contro-rivoluzionaria era diventata una necessità storica ineluttabile. E questa stessa direzione contro-rivoluzionaria doveva non evocare direttamente la forza antagonista suscettibile di sobbalzarla, ma solamente determinare le premesse per una ben più lontana ricostruzione dell'organismo internazionale del proletariato, tanto lontana che ancor oggi le possibilità storiche non se ne presentano, né possono essere determinate dai militanti rivoluzionari.

 

L'azione violenta di Chang-Kai-Shek del 12 aprile 1927 chiude la fase della maggiore intensità rivoluzionaria in Cina. L'ottavo Esecutivo Allargato dell'Internazionale del maggio 1927 ed il Plenum del C.C. del Partito Cinese del 7 Agosto 1927 inaugureranno una svolta nella tattica dell'Internazionale.

 

Quando la situazione va a sinistra, come fino all'aprile 1927, blocco delle quattro classi, convogliamento del movimento delle masse sotto la disciplina del Kuomintang. La situazione si sposta, essa va a destra, l'Internazionale andrà a sinistra e nelle due riunioni indicate si vedono già i prodromi di quella che fu qualificata l'“insurrezione” di Canton del dicembre 1927.

 

Il Kuomintang unito sbocca nel terrore anti-operaio dell'aprile 1927. Una scissione si farà nel “Partito del Popolo” ed un Kuomintang di sinistra si forma a Ou-Thang. I comunisti entrano persino nel governo mentre Stalin proclamerà che il “fondo della rivoluzione cinese consiste nello sconvolgimento agrario”. Il C.C. del Partito cinese nella seduta citata dichiara che “si è in presenza di una situazione economica politica e sociale favorevole all'insurrezione e che poiché nelle città non è più possibile (Chang-Kai-Shek, grazie alla tattica del Comintern, si era incaricato di realizzare quest'impossibilità n. d. r.) scatenare delle rivolte, bisogna trasportare la lotta armata nelle campagne. È qui che si trovano i focolai della sollevazione mentre la città deve essere una forza ausiliaria”. Ed il detto C.C. concluderà: “bisogna, dovunque questo è obiettivamente possibile, organizzare immediatamente delle insurrezioni”.

 

Il risultato di questa svolta caratterizzata da un lato da un'analisi che considera l'esistenza di una situazione rivoluzionaria nello stesso tempo che la nega per quanto riguarda la città, e dall'altro lato dalla partecipazione dei comunisti al governo, non doveva tardare a manifestarsi attraverso il terrore del Kuomintang di sinistra contro i contadini che continuavano la lotta. 

     

                                                                                      *  *  *

 

Ci si incammina così verso “l'insurrezione” di Canton del dicembre 1927. Elementi politici di valutazione, precedenti questa “insurrezione” li troveremo nel Plenum del C.C. del Partito Cinese del novembre 1927, a proposito del quale la risoluzione del Cantone della Provincia di Kiang Sou del Partito Comunista cinese, dei 7 maggio 1929, fornisce delle interessanti indicazioni.

 

Ricordiamo che il sacrificio delle masse al Kuomintang aveva condotto allo schiacciamento violento del movimento operaio nelle città, che il sacrificio delle masse contadine al Kuomintang di sinistra aveva condotto ad un'analoga violenta repressione dei contadini nell'Hounan. Ed è così che ci si era avviati verso il capitolo conclusivo del Dicembre 1927.

 

Si trattava realmente di una “insurrezione”? Il IX Esecutivo Allargato dell'Internazionale che si terrà poco dopo, nel febbraio del 1928, renderà “il comp. N. responsabile del fatto che a Canton non vi fu un soviet eletto” (sottolineato nel testo della risoluzione). Nel movimento comunista nessun dubbio poteva esistere sul fatto che i soviet appaiono solamente nel corso di una situazione rivoluzionaria e che quindi o esistono delle condizioni politiche che li determinano, ed allora essi non possono che essere eletti, (a parte la questione formale e banale dell'elezione, quello che interessa è che essi sono il prodotto spontaneo del movimento delle masse insorte), oppure essi non esistono e l'appellativo di Soviet che sarà attribuito a degli organismi artatamente costituiti, non corrisponderà affatto ad una reale possibilità dell'esercizio del potere da parte del proletariato.

 

Ma, in effetti, non si assisteva che alla maturazione della nuova svolta dell'Internazionale i cui elementi primitivi si trovano nell'VIII Allargato e nella riunione del C. C. del Partito Cinese dell'agosto 1927. L'“insurrezione” sarà decisa dagli organi centrali proprio quando le possibilità per il suo trionfo non esisteranno più. È allora solamente che si parlerà di Soviet, di quella stessa parola che era stata rigorosamente interdetta nel pieno dell'offensiva rivoluzionaria delle masse, nel secondo semestre del 1926 e nel primo trimestre del 1927. I proletari di Canton (si noti che si tratta precisamente della città meno proletaria della Cina) si urteranno contro tutte le tendenze del Kuomintang e l'“insurrezione” limitata ad un solo centro, storicamente isolato (poiché il movimento rivoluzionario era in evidente discesa), non poteva che essere rapidamente liquidata. Frattanto l'Internazionale poteva conseguire una terza decorazione contro-rivoluzionaria (dopo quelle di Chang-Kai-Shek e dell'Hounan) giacché un colpo mortale sarà dato all'aspirazione rivoluzionaria delle masse cinesi le quali dovranno oramai convincersi dell'impossibilità della realizzazione del loro potere soviettista.

 

Si ha qui, nella tattica seguita a Canton, un'anticipazione della tattica che sarà poi seguita in tutti i paesi, a partire dal 1929 e fino al 1934, di quella tattica dell'“offensiva rivoluzionaria” di cui parleremo nel prossimo capitolo. La nostra corrente non poté in quel momento che limitarsi, da un lato, a mettere in evidenza che il movimento proletario non poteva urtare, anche nella Cina coloniale, che nell'opposizione violenta di tutte le classi possidenti del paese e di tutte le loro formazioni politiche, dall'altro, a sottolineare le ragioni della sconfitta immediata dovuta non al fatto dell'inattuabilità del potere proletario, ma al fatto che queste direttive erano state date non quando le condizioni obiettive per la vittoria rivoluzionaria esistevano ma quando esse erano state sacrificate dalla tattica controrivoluzionaria della disciplina alla borghesia cinese.

 

A partire dal 1928 la situazione in Cina farà un salto indietro. Lo spezzettamento diverrà ancora più grave di quello che preesisteva al movimento rivoluzionario del 1926-27, i generali costituiranno le loro zone particolari, e sorgerà altresì la “Cina comunista”. Si tratta delle regioni fra le più arretrate della Cina dove sussistono, insieme con le forme rudimentali dell'economia primitiva, le necessità di uno sfruttamento delle masse ancora più intenso di quello in vigore nelle altre zone. Il clan dirigente “comunista” stabilirà insieme con il pagamento in natura dei salari (un mercato vero e proprio non vi esiste ed il sistema corrente è quello del baratto), la coscrizione obbligatoria estesa a tutta la popolazione, poiché l'esercito ha non solo il compito militare di difendere “il paese comunista”, ma anche l'altro economico e sociale della ripartizione dei prodotti. E non può essere attualmente esclusa l'ipotesi di vedere una mobilitazione delle masse in difesa di questi regimi extra-reazionari, se l'evoluzione del mondo capitalista dovesse traversare una fase di conflitto fra di Stati Uniti e la Russia nei territori dell'Asia.

 

Nella situazione apertasi dopo l'“insurrezione di Canton” una violenta polemica si istituirà fra la nostra frazione e Trotzky. Le rispettive posizioni fondamentali non sono nuove, ma prolungano, nella questione cinese, le divergenze che si determinarono al IV e V Congresso dell'Internazionale. Nelle nuove circostanze che evidentemente non permettevano più di lanciare là parola della dittatura proletaria, Trotzky sosteneva che una parola intermedia dovesse essere sollevata nella questione del potere: quella dell'Assemblea Costituente e di una costituzione democratica in Cina. La nostra corrente, per contro, sosteneva che se la situazione non-rivoluzionaria non consentiva di sollevare la parola fondamentale della dittatura, se dunque, la questione del potere non si poneva più in forma immediata, non per questo si doveva rabberciare il programma del partito che doveva essere invece riaffermato integralmente sul piano teorico e della propaganda, mentre la ritirata non poteva effettuarsi che sulla base delle rivendicazioni immediate delle masse e delle loro organizzazioni di classe corrispondenti.

 

Nel corso di tutta questa polemica delle voci giunsero alla nostra corrente che una opposizione si era determinata nel seno della stessa organizzazione trotzkista, ma non si ebbe nessuna possibilità di stabilire dei collegamenti con questi militanti; mentre infatti si estendono le possibilità delle comunicazioni, si estendono altresì le forme della solidificazione claustrale delle organizzazioni non e contro-rivoluzionarie e queste formeranno una muraglia contro l'istituzione dei collegamenti fra le forze della rivoluzione.

 

Abbiamo tenuto a dare - nei limiti ristretti di un articolo - la più documentata relazione su questi formidabili avvenimenti che, svoltisi in un ambiente economico estremamente arretrato, avevano mostrato le possibilità rivoluzionarie della classe proletaria anche nella lontana Cina. Come nella progredita Inghilterra, con il Comitato anglo-russo, così anche in Cina l'Internazionale mostrò di essere lo strumento decisivo della controrivoluzione giacché essa sola si trovava ad avere l'autorità e la possibilità di controbattere un movimento rivoluzionario di incalcolabile portata storica e che doveva concludersi in un disastroso fallimento del movimento comunista. 

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  • Il proletariato palestinese nella tagliola infame dei nazionalismi ( Il programma comunista, n°2, 2024)
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