DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

IERI 

Si era soliti - prima dell'altra guerra - definire la posizione dei partiti operai nei rapporti internazionali tra gli Stati con la frase: "I socialisti non fanno politica estera".

Inutile dire quanto tale espressione fosse inadeguata. Essa voleva risalire alla posizione teorica marxista che cerca la chiave della storia non più negli urti tra re, generali e potentati ma nei rapporti economici sorti nel campo della produzione. Ovvio è contrapporre al semplicismo di quel disinteressamento le precedenti acute analisi di Marx e di Engels sui contrasti e i conflitti tra i vari strati della borghesia soprattutto nel periodo successivo a quello di acuta guerra civile del 1848, e sulle guerre di assestamento nazionale del '59 e del '70, e l'evidente insufficienza dell'attitudine della Seconda Internazionale sui problemi dell'imperialismo, di fronte alle guerre coloniali e ai conflitti mondiali, con grandiosi inattesi sconvolgimenti a cui i partiti socialisti reagirono in modo infelice e disfattista.

Se allora gli elementi moderati del movimento proletario si appagavano di quella comoda norma negativa, quelli estremi cadevano in un semplicismo diverso ma parimenti ingenuo predicando un antimilitarismo fine a sé stesso e collegato alle mistiche del sindacalismo soreliano. Hervé (divenuto poi al momento della prova ancora più patriottardo e sciovinista dei socialisti di destra) nella sua Guerre Sociale poneva come programma il rifiuto individuale alla coscrizione - fatto rivoluzionario sì, ma non separabile dall'insieme della lotta rivoluzionaria per il potere - e voleva piantare le drapeau tricolore dans le fumier, la bandiera tricolore nel letame.

Tutto il problema fu messo bene altrimenti a fuoco nella fondamentale critica leninista sia dei fatti economici caratteristici del più recente capitalismo, sia del tradimento dei capi parlamentari e sindacali del proletariato da ambo le parti del fronte della guerra 1914. Le inadeguatezze teoriche condussero a sconfitte tattiche irreparabili; comunque meglio dire di non fare politica estera che prostituire la lotta di classe nell'unione sacra e nella difesa della patria, meglio l'herveismo ingenuo della bandiera borghese nel letame che le incredibili sbevazzate di monturismo, di maresciallate e generalate dei recentissimi traîneurs de sabre rossi, dai Balcani alla Cina.

OGGI.

Se i vecchi partiti, astensionisti di diplomazia mondiale e di politica estera, fecero bancarotta nel 1914 con la concordia nazionale, i nuovi nella nuova guerra non hanno saputo, dopo aver vantata ben altra potenza di valutazione dei reali problemi storici mondiali, che adagiarsi a loro volta alle consegne vuoi di questo vuoi di quello Stato Maggiore militare, e parlare alle masse di nazione, di patria, di guerra e di esercito popolare.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale il novanta per cento a dir poco della loro attenzione e della loro opera politica si porta sul nuovo antagonismo, sulla nuova frattura sorta nel seno di quel sacro blocco che impersonava la salvezza non solo della "libertà" e della "democrazia" ma del proletariato e del socialismo, tanto che milioni e milioni di lavoratori furono mandati ad immolarsi nella guerra ufficiale o irregolare contro il mito della barbarie fascista.

Oggi i due gruppi in litigio si preparano, ove non riescano a legarsi in un prolungato compromesso, di cui la classe lavoratrice farebbe tutte le spese, alla campagna ideologica per rinfacciarsi l'uno all'altro il crimine di "fascismo", pregustando sadisticamente il successo di schierare per la terza volta sui fronti di una guerra ancor più feroce le masse proletarie, non meno inquadrate a tal fine da una parte e dall'altra dai loro partiti comunisti e socialisti in etichetta.

In Italia le dirigenze dei partiti che si pretendono proletari non si agitano che in funzione delle influenze di politica estera, non si battono sul terreno giornalistico, elettorale, parlamentare e perfino di piazza che per fare propaganda in favore di questa o di quella influenza politica estera sul pidocchioso Stato della borghesia italiana.

I socialisti di destra sono impegnati fino alla gola nel lavoro per i patti economici col capitalismo di oltre oceano e applicano il marxismo alla dimostrazione che si tratta di fare affari brillanti ipotecando l'industria, il commercio e l'agricoltura italiana, ma non dando garanzia di ordine politico e militare, quasi che non fosse la stessa cosa e che non contassero nulla i viaggi a prendere ordini di ministri e capi di Stato Maggiore.

I socialisti filorussi sono poi in materia estera veri maestri, e vantano i Nenni che nelle ombre non sempre pulite della emigrazione e nelle finezze dei giochi quadrupli hanno maturata la preparazione a raccogliere l'eredità dei San Giuliano e dei Sonnino.

I comunisti tengono in primo piano l'azione di rottura, sempre più sfortunata, dell'asservimento all'America del nostro paese, postulato assurdo in partenza perché essi stessi sono saliti all'influenza politica e alle porzioni di potere che avevano ed hanno sulla scia dei cannoni alleati e dei dollari. Considerano questioni di primo piano le sostituzioni degli Sforza o dei Marshall. Si sono anche essi dati alla diplomazia militante, fatto assai spassoso, e si vede che, come ogni soldato di Napoleone portava nella giberna il bastone di maresciallo, i Reali, i Griechi e simili Scoccimarri nascondevano feluca e spadino nella mezza calzetta.

È invero il caso di dire "i partiti operai non fanno politica interna". Ed infatti su tutte le quistioni di economia e politica interna non solo non hanno fattodire nulla, oltre la pratica che vorrebbe essere geniale ma è soltanto vomitiva, dei mutamenti di rotta a colpo di scena non in quarant'anni ma in quaranta giorni come quelli che ci hanno esibito sulla quistione della Monarchia, della Chiesa, dell'ordinamento amministrativo e via via fino agli zeri assoluti in materia di "riforme" agrarie, industriali e sociali.

Quanto poi al problema centrale programmatico del potere che ogni tanto rispolverano tacciando il governo (ma per Marx era lo Stato!) di De Gasperi di essere il comitato di affari dei capitalisti, il loro sogno non è che quello di rientrare e coprire parte dei posti e degli affari in quel comitato; ritornando a fare, come gli scelbisti, i prefetti, i questori e i funzionari statali e commissariali della nuova Italia, ossia di quella di Cavour, di Giolitti, di Mussolini, di Badoglio, di Bonomi, di quella di sempre, a cui un giorno dicevamo ingenuamente: qualunque sia il tuo impegno diplomatico e di alleanza militare, a ponente o a levante, il nostro lavoro è di rovesciarti sottosopra.

Da "Battaglia Comunista" n. 2 del 1949

 

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