DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

IERI
 
Per esaminare i nefasti della opportunistica e disfattistica «teoria dell'offensiva» occorre riordinare le idee, vecchie e semplice idee e - meglio detto - nozioni del marxismo sulla storia delle alleanze tra la classe operaia e le sue forze politiche ed altre forze sociali o partiti.
 
Poiché se noi enunciassimo come tesi assoluta e fuori del tempo che dal momento che si è affermato il metodo della lotta di classe tra proletariato e borghesia, sempre e dovunque debba vigere il dogma «nessuna alleanza, nessuna coalizione, nessun compromesso», avremmo l'aria di derivare le nostre conclusioni non per la via del determinismo scientifico, ma per quella metafisica che premette allo studio e alla constatazione della realtà assiomi ideali morali od estetici. È questo l'esatto rovescio delle posizioni strenuamente e sempre difese dai marxisti di sinistra in Italia o altrove, e giustamente cade sotto gli argomenti critici decisivi di Lenin in Estremismo e comunismo in cui è aspramente colpito l'estremismo fatto di atteggiamenti estetici di grosse parole di inutili spavalderie e di vuoto volontarismo.
 
Il problema delle eventuali alleanze del proletariato nelle lotte sociali si pone nel succedersi dei tempi in modi ben diversi; nel succedersi storico noi vediamo fondamentalmente l'avvicendarsi delle classi al potere, e questo avviene con diverso ritmo nei vari paesi del mondo; non può dunque escludersi che il problema vada diversamente risolto nei diversi paesi, malgrado fin dalla partenza la nostra scuola sia internazionalista e da tempo abbia cancellato il motto «tutti gli uomini sono fratelli», idealista e metafisico, per quello storico «proletari di tutto il mondo unitevi».
 
Il proletariato nasce con la grande industria, e questa è presente prima che la classe dei padroni di fabbrica, la borghesia, abbia strappato il potere alle classi feudali e fondiarie. Il dualismo ideologico politico e rivoluzionario tra feudalismo e capitalismo si incrocia fin dai primordi col moderno dualismo tra industriali e operai.
 
Le prime esperienze sia dell'ambiente sociale dei paesi in cui la borghesia ha trionfato, sia delle spontanee lotte operaie, già permettono l'apparire di rivendicazioni socialiste e preparano il passaggio del socialismo dalla utopia alla scienza. Le nequizie del sistema del salariato e la critica di esso dopo avere in primo tempo generato vaghe rivendicazioni di giustizia e di uguaglianza sociale, in mezzo al maggiore clamore delle rivendicazioni giuridiche e politiche dei programmi borghesi, danno luogo ad una prospettiva storica più esatta e fondata, al termine della quale sta una nuova lotta per il potere, la presa in consegna della organizzazione produttiva da parte delle classe operaia e lo sprigionamento delle forze che preludono ad una nuova economia non capitalistica. Da allora il movimento ha un traguardo finale, un punto di arrivo futuro, spoglio di ogni valore mistico e di ogni carattere di fantasia di inspirati, o di evangelo di setta, e cerca le soluzioni ai suoi problemi in funzione di questo sbocco che corona tutta la lunga battaglia in corso ed è comune ai rivoluzionari di tutti i paesi.
 
Per il marxismo l'alba di questo lungo corso, che corrisponde per il mondo più progredito al tempo del Manifesto dei Comunisti, vede nella stessa fase storica quei processi che chiamiamo da un secolo: «sviluppo delle forze produttive capitalistiche» - «carattere politico della lotta del proletariato contro la borghesia» - «costituzione del proletariato in classe». Da questo stesso punto si ha movimento comunista moderno, «i sociologi non hanno più bisogno di cercare la scienza nella loro mente... di fare dei sistemi... fin da questo momento la scienza prodotta dal movimento storico ha cessato di essere dottrinaria, è divenuta rivoluzionaria» (Miseria della Filosofia).
 
Da allora come ogni problema anche quello delle alleanze non si può porre se non in relazione ai caratteri dello stadio di trapasso in cui ci si trova, si farebbe altrimenti del puro dottrinarismo; ma da allora non lo si può porre che in rapporto al fine ultimo del movimento generale, altrimenti il passaggio al carattere rivoluzionario del metodo sarebbe tradito.
 
Un primo aspetto storico del problema si ha in quei paesi in cui nella lotta tra la borghesia rivoluzionaria e l'antico regime feudale è già presente il ceto operaio. Una prima falsa soluzione del problema già si presenta, ossia la proposta di alleanza tra gli operai e la controrivoluzione antiborghese. La breve parte del Manifesto dedicata a Letteratura socialista e comunista di cui già nella prefazione del '72 gli autori vagheggiavano ampia rifazione, e che oggi con grande utilità andrebbe riordinata in una vera e propria critica e condanna di scuole deviate (un sillabo marxista, se l’espressione fa dispetto a qualche imbecille, in quanto le passerelle verso il futuro su cui la Rivoluzione poggia più sicuro piede non sono i «sistemi» costruttivi, giostra di vendifumo, ma le critiche demolizioni), quella parte del Manifesto contiene la decisiva distruzione di questa falsa posizione. Infame che sia il nuovo sistema di produzione, è una necessaria tappa sulla nostra strada al comunismo, nessuna mistica velleità, nessun atletismo volitivo la può saltare in virtù del fatto che - contro l'apologetica liberale borghese - è feroce cattiva odiosa e sudicia per stimmate peggiori di quelle della vecchia oppressione feudale. La dottrina rivoluzionaria marxista è dunque in grado di dare una prima consegna: nessun appoggio alle forze feudalistiche contro il padronato borghese.
 
La motivazione di questa vera e propria «tesi sulla tattica» non è però che i canoni gli ideali i principi della borghesia contengano posizioni comuni ad essa e al nascente proletariato, cardini di una «civiltà» democratica e di libero pensiero comune a entrambe le classi o a tutti gli strati non aristocratici. La motivazione è del tutto materialistica ed è che non vi può essere comunismo senza la fase economica capitalistica, e il processo di questa si accelera decisamente col trapasso del potere alla borghesia.
 
Nelle rivoluzioni borghesi gli operai della già esistente industria lottano dalla parte opposta, ovvero a favore della borghesia. Ma già al tempo del Manifesto questo fatto è analizzato e i primi movimenti classisti sono diretti con assoluta chiarezza di visione dei rapporti tra le classi e dei successivi sviluppi della rivoluzione operaia.
 
È indubbio che la stessa analisi vale, per l'epoca del primo capitalismo, sia nel caso della offensiva rivoluzionaria borghese per la conquista del potere, sia nelle difensive che la borghesia oppone ai ritorni, «offensive» e tentativi di restaurazione assolutistica. In queste bufere il proletariato non è mai assente, esso comincia con larghi tributi di sangue a formarsi come classe, in un deciso moto verso la sua autonomia e indipendenza e verso la lotta decisiva da solo per i suoi fini, correndo e subendo continui rischi di cadere nella mobilitazione militare e ideologica al servizio di causa non sua. Prendete la Miseria, il Manifesto, le Lotte in Francia, ogni altro testo, la discriminazione di questo punto è sempre coerente e definitiva.
 
Le prime lotte operaie sono del tutto incoscienti e riescono in «controsenso storico», come la distruzione delle macchine e simili. I primi diseredati proletari sono portati a rivendicare le tramontate «medievali corporazioni degli artieri». «In tale stadio gli operai formano una massa dispersa per tutto il paese e disgregata dalla concorrenza. I loro aggruppamenti in grandi masse non sono la conseguenza di una coesione loro propria, ma della unione della borghesia che, per i suoi scopi politici, deve mettere in moto il proletariato e lo può ancora. In tale stadio i proletari combattono non già i loro nemici, ma i nemici dei loro nemici, gli avanzi della monarchia assoluta, i proprietari fondiari, i borghesi non industriali, la piccola borghesia». (Direbbe l'odierno giornalistame: i ceti retrivi. Per tale gente a polarizzazione invertita una fase storica che non abbia il retrivismo all'ordine del giorno non verrà mai. De gustibus...).
«Tutto il movimento storico è così concentrato in mano alla borghesia; ogni vittoria così ottenuta è una vittoria della borghesia». Eppure nei primi decenni della sua storia il proletariato ha dovuto fabbricare vittorie per la borghesia. Non aveva altra via per servire la propria vittoria futura. Il marxismo ha seguito passo passo tale processo. Il Manifesto all'ultimo paragrafo contiene uno schema di norme tattiche e cita i principali paesi d’Europa. Va notato che allora in soli due vi era stabile potere della borghesia, l'Inghilterra, di cui il Manifesto tace, la Francia, in cui tuttavia rumoreggiava contro la monarchia orleanista la pressione rivoluzionaria e repubblicana. Il testo si ferma sulla Germania ribadendo chiaramente la strategia dell'appoggio alla borghesia «ogni qualvolta essa combatte per un principio rivoluzionario contro la monarchia assoluta, l'antica proprietà feudale e la piccola borghesia».
 
La chiara posizione classista emerge tuttavia da ogni rigo del testo di cui va fatta più ampia analisi anche per gli altri paesi, non dimenticando mai che siamo agli inizi del trapasso dalla indagine scientifica alla direzione di azioni politiche. Marx ed Engels hanno appena potuto liberarsi dalla influenza di democratici umanitari e filantropi che stentatamente si adattano alla nuova concezione. Ancora nel 1845 hanno rifiutato di entrare nella Lega dei Giusti per la «tendenza a convertire il comunismo in cristianesimo» - così ben deglutita un secolo dopo dai partiti «marxisti» (!!!) d'Italia.
 
Questa posizione storica non contrasta dunque coi cardini ribattuti saldamente anche quando si parla dei rapporti dei «comunisti» con gli altri partiti proletari. Anzitutto sono definiti tali quelli che sostengono: «organizzazione del proletariato in partito di classe - distruzione del dominio borghese - conquista della forza politica da parte del proletariato». Da Lenin in poi non si contesta che tale conquista è quella armata, non quella legale. Inoltre i comunisti sono quelli che «difendono sempre l'interesse del movimento generale, in ogni stadio della lotta fra proletariato e borghesia» e «lottano bensì per raggiungere scopi immediati nell'interesse delle classi lavoratrici, ma nel moto presente rappresentano eziandio l'avvenire del movimento». Ritornati su questo fondamentale criterio occorre riprendere, a lunghi balzi, il cronologico «filo».
 
 
OGGI
 
Gli alleanzisti tipo Prima Guerra Mondiale e tipo Seconda Guerra Mondiale, per nulla scossi dal lungo corso di sviluppo capitalistico che relegava nelle tenebre del passato le possibilità di restaurazioni feudali e di crolli del sistema sociale politico borghese, hanno posto le forze proletarie a disposizione di partiti di regimi di governi borghesi senza alcun minimo riguardo per i fini di classe del movimento generale. Non hanno nemmeno tentato di dimostrare che l’alleanza era un tramite verso il fine rivoluzionario futuro, o lo hanno fatto ai primi passi della corsa al rinculo, timidamente e in cerchio ristretto di partito, e quando toccano questo tasto lo fanno per imbrogliare i gruppi radicali dei proletari che sventuratamente inquadrano.
 
In tutta la loro attitudine agitazione e propaganda hanno abbracciato senza riserva i fini e le parole dell'alleanza cui si erano dati in affitto a totale sostituzione delle specifiche direttive di partito. E ciò malgrado che, nell'uno e nell'altro caso, esistessero oramai partiti consolidati, con vere possibilità di azione e di manovra tattica, con largo impianto di stampa e di pubblica diffusione delle proprie direttive.
 
Era ancora bambina la Lega dei Comunisti nel 1850, con pochi aderenti, clandestina e perseguitata ovunque, e già diramava circolari in cui la tattica di alleanza, riferita ancora alla Germania, era ben altrimenti impostata. Essa nel prevedere movimenti di insurrezione dei democratici borghesi sottolinea che subito dopo di essi la borghesia si rivolgerà contro il proletariato che la ha aiutata (tema dialettico centrale anche di tutti gli studi di Marx sulle lotte sociali francesi). Non perciò prescrive di non partecipare alla lotta armata contro l'assolutismo feudale. Ma raccomanda soprattutto l'autonomia del movimento. Il partito democratico di borghesi e di piccolo-borghesi invita gli operai alla unione per assorbirne le forze in un movimento «in cui prevalgono le comuni frasi socialdemocratiche». «Una tale unione deve essere quindi “respinta” nel modo più reciso. Per il caso di una lotta contro un comune nemico non occorre una unione speciale...». Gli operai comunisti saranno i primi nel combattimento ma resteranno sull'avviso e pronti ad un cambiamento di fronte. «Soprattutto essi devono trattenere esplosioni di gioia per la vittoria, d'entusiasmo per il nuovo stato di cose... mantenersi riservati... mostrare la massima sfiducia verso il nuovo governo. In una parola, dal primo momento dopo la vittoria la sfiducia deve essere rivolta non più contro il vinto partito reazionario, ma contro i loro stessi alleati di ieri, contro il partito che vuole solo sfruttare la comune vittoria». Gli operai comunisti spingeranno la lotta ancora avanti. È questo il testo che dette a Trotzky, per la Russia, la suggestiva parola della «Rivoluzione permanente». Data marzo 1850.
 
Troppi sono i capitoli del bilancio dell'alleanzismo, all'inizio davvero utile malattia d'infanzia del socialismo, oggi, come noi sinistri sosteniamo da vari decenni, maledetta peste di esso. Ma quel geniale accenno al represso entusiasmo, che può sembrare di peso secondario, getta sulla questione un vero fascio di luce. Gli intervenisti del 1915 si dissero «rivoluzionari». Passarono alla democrazia alla guerra alla Patria pretendendo di prendere una via che li avrebbe ricondotti alla rivoluzione proletaria; di sgombrare un ostacolo a questa. Il Popolo d'Italia di Mussolini seguitò a dirsi socialista. Ma caduto il comune nemico, il deprecato «militarismo teutonico», fu inarrestabile l'orgia di entusiasmo. Non poteva essere diversamente, poiché non si era fatta una diversione tattica con gli occhi fissi sul fine «del movimento generale», si era semplicemente passati al servizio di fini borghesi. E gli entusiasti del novembre vittorioso, che ora ancora si celebra, come si celebra l'ingresso a Trieste del caccia Audace con Vittorio a bordo, sebbene non ci sia più né il caccia né Trieste né Vittorio né la Vittoria, si affittarono per sempre alla patria alla democrazia e quindi alla borghesia e al Capitale.
 
Quel processo non di «rivoluzione permanente» ma di «rivoluzione retroflessa» ci piace definirlo storicamente «mussolinismo». Le gesta degli alleanzisti antifascisti della Seconda Guerra hanno rinnovato il medesimo processo. Per scambio dialettico, era proprio Mussolini al classico posto di nemico comune. Gli Alleati, i Coalizzati, i Bloccardati del 1943-45 erano tanto poco marxisti che di entusiasmo hanno consumata una vera ed indecente sbornia, tra gli inni alla rinnovata rivoluzione borghese e liberale, alla riconquistata gloriosa patria italiana, alla definitiva piazzaloretesca unità nazionale di tutte le classi, aleggiante su essa lo spirito del Duce malgrado il corpo pendesse appeso per i piedi.
 
Se nel campo degli alleanzisti taluno era ancora in vago odore di marxismo - non per noi di sicuro - l'abiura è stata resa definitiva dalla fase di entusiastica euforia, che tanto infastidiva nel 1850 l'estensore della modesta «circolare» comunista. Qualche bega corre oggi tra i tripudianti danzatori di aurei giorni recenti. Ma ci vuole altro a schiarire la nera tenace pece del tradimento. Quando si vogliono colpire a morte si scambiano il supremo oltraggio di «fascista». La loro contesa fa schifo, perché nessuna delle parti ha tanto fegato da «rivolgere la sfiducia non contro il vinto partito ma contro gli alleati di ieri». L’impostazione storica è ben altra: non era quello partito feudale o reazionario, era un partito borghese, come lo sono questi due gruppi cialtroni di oggi.
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