DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Dai nostri testi

Convinti assertori della tesi di principio che il Partito Comunista non può limitarsi né alla preparazione politica interna dei propri militanti, né all’intervento nelle lotte sociali dando ai lavoratori indicazioni pratiche generali o particolari e contribuendo alla loro organizzazione su basi classiste indipendenti, ma debba anche sforzarsi costantemente di ribadire e diffondere la conoscenza delle fondamenta dottrinarie del comunismo (le quali non sono del resto puri filosofemi, ma armi per la guerra proletaria), pubblichiamo qui di seguito il primo capitolo della Relazione presentata dalla Frazione comunista al Congresso di Livorno del 15-21 gennaio 1921.
Esso mostra come, da un lato, il superamento e la demolizione della ideologia democratica, operati dal comunismo, portino ad affermare la necessità irrinunciabile della rivoluzione e della dittatura proletaria e, congiuntamente, la necessità del partito di classe, organo indispensabile sia della lotta per la conquista insurrezionale del potere, sia del suo esercizio dittatoriale; e come, dall’altro lato, il partito politico possa assolvere la sua funzione di guida delle masse proletarie conquistate alla propria influenza alla sola condizione di mantenere intatti i suoi specifici caratteri di coscienza critica e teorica e di decisione nell’azione, quindi di omogeneità di vedute e di volontà dei suoi militanti, mai sacrificando alla ricerca della quantità il requisito fondamentale della qualità, o al conseguimento di obbiettivi immediati e contingenti il “supremo risultato rivoluzionario” dell’abbattimento del potere borghese.
(L’intero testo della Relazione, con ampio commento, si può leggere nel Cap. IV del Volume III della nostra Storia della Sinistra Comunista, Milano 1986, pp.188-228)


PARTITO E RIVOLUZIONE NELLA TEORIA MARXISTA


[...]
Il principale risultato a cui ci conduce tutto il sistema di critica storica del marxismo è il superamento e la demolizione teorica della ideologia democratica. Viene messa in evidenza la fallacia della fondamentale tesi democratica secondo la quale la rivoluzione borghese, creando la libertà e l’eguaglianza politica dei cittadini nel sistema elettorale e parlamentale, avrebbe posto le condizioni di un ulteriore indefinito sviluppo pacifico delle società umane verso un semplice più elevato tenore di vita economica, morale, intellettuale, escludendo per l’avvenire altre crisi rivoluzionarie ed altre guerre civili.
Da una esauriente critica economica e storica, i primi grandi assertori del marxismo desumono la constatazione di una lotta tra le classi in cui tuttora la società borghese è divisa dalla natura dei rapporti di produzione che le sono propri, lotta che, da antitesi elementari di interesse, e dai primi informi tentativi ribelli della classe sacrificata, tende ad assurgere ad un vasto conflitto per il rivoluzionamento di tutto il sistema dei rapporti produttivi. Contemporaneamente l’apparato democratico dello Stato è dimostrato essere corrispondente al regime e all’epoca capitalistica, sorto per la necessità dell’affermazione e atto solo ed esclusivamente alla protezione dei rapporti economici capitalistici, cioè degli interessi della borghesia dominante.
Un altro punto strettamente connesso a tutta la teoria marxista ed al suo modo di intendere la formazione della coscienza nei singoli e nelle collettività, l’azione della volontà umana come risultato delle cause determinanti che consistono nei rapporti economici è la negazione che l’interesse di classe del proletariato concretato nella necessità del superamento e della distruzione delle istituzioni del regime capitalistico, possa trovare una manifestazione ed una via di affermazione decisiva nel meccanismo delle rappresentanze democratiche borghesi, che di quelle istituzioni è parte integrante.
Essendo il proletariato, per le sue stesse condizioni di vita, legato ad una inferiorità intellettuale, culturale e politica, ma essendo per le condizioni stesse la classe chiamata a spingere innanzi la storia, questa apparente contraddizione si risolve dialetticamente nell’escludere che il proletariato possa agire come classe, ossia con finalità generali e storiche, in un meccanismo maggioritario, ed assegna la funzione di rappresentante della classe e del suo compito rivoluzionario alla organizzazione di una minoranza di avanguardia che dalla conoscenza delle condizioni della lotta più precisa che nel restante della massa, trae la volontà di indirizzare gli sforzi propri alla generale e ultima finalità rivoluzionaria del rovesciamento degli istituti capitalistici, nella quale sola tutto il proletariato troverà la soluzione del disagio in cui vive. Di qui il concetto della necessità di un partito politico di classe, diverso da tutti gli altri partiti perché anticostituzionale per definizione, generato non dalla meccanica del sistema elettorale borghese ma proprio dalle forze che anche quel sistema tendono a superare ed infrangere.
Da questi risultati critici la dottrina marxista assurge non solo a tracciare le previsioni dello sviluppo che dovrà presentare il processo storico della rivoluzione proletaria, ma a dettare le norme dell’azione della classe lavoratrice nel suo partito ponendo cosi i primi dati, ma anche le soluzioni generali, del vasto problema dei rapporti tra la teoria – che esamina, critica, prevede conseguenze future di elementi e condizioni esistenti nel passato e nel presente – e la tattica, che da tali risultanze trae le norme dell’azione di quella minoranza che, dall’aver conosciuto le condizioni e le leggi della lotta, passa a volerne e a prepararne la vittoria.
Poiché l’apparato statale borghese difende e protegge i rapporti dell’economia capitalistica, il partito di classe è quello che, raccogliendo le forze proletarie disperse in vani conati di superare le proprie condizioni di sfruttamento e di oppressione, le unifica e le indirizza al rovesciamento del potere statale borghese, che solo con la azione violenta potrà realizzarsi, trattandosi di una organizzazione di forze armate. Demolite l’impalcature dello Stato borghese nella sua burocrazia, nel suo esercito, nella sua polizia, per sostituirvi l’organizzazione armata dello Stato proletario, è indispensabile per stabilire le fondamenta dell’opera posteriore di trasformazione dell’economia, che richiederà un lungo periodo. Ma mentre si rovescia il potere e la posizione politica delle classi, cadono gli ordinamenti rappresentativi propri del potere borghese, ossia i parlamenti democratici, e sorgono i nuovi istituti di rappresentanza propri dello Stato proletario.
Il grande tracciato programmatico del marxismo, che si riconsacra oggi nei testi, e più ancora nelle conquiste del movimento comunista internazionale, si può cosi riassumere: organizzazione del proletariato in partito di classe – lotta per l’abbattimento del potere politico borghese –organizzazione del proletariato in classe dominante, tradotta nella formula ciclopica di dittatura proletaria – intervento del potere proletario nei rapporti di produzione per realizzare la socializzazione dei mezzi e delle funzioni economiche, che condurrà alla sparizione delle classi e di ogni altro apparato statale di potere.
Parlando fin d’allora di dittatura proletaria, Marx volle stabilire una differenza fondamentale: mentre il potere borghese è in realtà una solidissima dittatura, ma è protetto da un’apparente uguaglianza di diritto di rappresentanza politica negli uomini di ogni classe – e la borghesia non può porre il proletariato i una condizione patente e costituzionale di inferiorità, poiché essa non può vivere senza il proletariato – il potere della classe proletaria dovrà essere una aperta e palese dittatura, ossia si fonderà sull’esclusione dei membri della classe borghese da ogni ingerenza nella formazione degli istituti dello Stato – e ciò perché il proletariato tende ad eliminare la borghesia e, con essa, l’esistenza stessa delle classi e della dittatura di classe.
In tutta questa tragica via, alla classe proletaria è indispensabile il suo partito rivoluzionario. Soltanto una piatta interpretazione delle tesi marxiste, che viene talvolta dalla estrema destra e talvolta dalla “estrema sinistra”, riconosce o esalta la classe in organismi che istituzionalmente ne comprendono la totalità o la grande maggioranza – prima della rivoluzione, nei sindacati o nei consigli di azienda; dopo, nei consigli operai – più che nel partito che ne raccoglie solo una parte. E’ invece proprio per l’intimo valore delle ragioni marxiste che la maggioranza della classe proletaria non potrà accogliere ed esprimere la coscienza e la volontà dei compiti storici della classe, se non quando le sue condizioni di inferiorità nel tenore di vita fisica saranno eliminate; quando cioè già sarà in atto il comunismo. Fino allora non solo la classe sarà rappresentata solo nel partito, ma in tutto il proletariato apparirà ed agirà come classe, in quanto esprimerà dal suo seno questo partito, capace di critica e di coscienza storica, e per ciò stesso capace di volontà e di azione.
Nel suo cammino nella storia, il partito comunista troverà sempre più larghi strati della classe attorno a se trascinati, inquadrati, diretti, dalla sua opera rivoluzionaria. Questi effettivi e queste forze esso avrà e usufruirà sicuramente solo in quanto avrà mantenuto i suoi caratteri specifici che appunto lo differenziano sopra ogni altro organismo operaio: coscienza critica e teorica, decisione nell’azione – caratteri per i quali è soprattutto indispensabile l’omogeneità di vedute e di volontà nei suoi membri, che in nessun altro organo proletario esiste né può pretendersi che esista.
Anche i rapporti fra il partito e i più larghi immediati organi operai, fra la lotta del partito per un programma “massimo” e le azioni dei gruppi operai per minime realizzazioni limitate e contingenti, sono nella dottrina marxista ben chiari. Il partito non nega né trascura quei movimenti, ma, senza accettarli come fini a se stessi o alla propria azione, li considera come le occasioni per allargare il campo della lotta e condurre un semplice maggior numero di operai alla constatazione che occorre mirare a più vasti obiettivi e forgiarsi un organo di più alta potenzialità per la lotta contro il fondamento stesso dello sfruttamento capitalistico.
Ed il problema della tattica comunista sta qui nel raggiungere più larghi strati della massa e condurli sul terreo dell’azione rivoluzionaria preparandoveli in armi ideali e materiali, conservando al partito il suo carattere di qualità che garantisca il successo di tale preparazione – evitando l’errore di prospettiva di credere di poter raggiungere più facilmente la massa allargando le basi del partito e della sua opera, che, perdendo il loro carattere generale e massimale, vadano a combaciare con le manifestazioni frammentarie di limitati interessi, e si risolvano nel conseguire obiettivi immediati e contingenti a scapito del supremo risultato rivoluzionario.

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°06 - 2007)

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