DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

In quest’epoca storica dominata dal capitalismo, dal profitto, dalla estrazione massiccia di plusvalore, i proletari sono sottoposti ogni giorno a un bestiale sfruttamento che si traduce, giorno dopo giorno, in un autentico massacro. In tempo di guerra, si organizza la carneficina dei proletari costretti a uccidersi tra loro per rilanciare l’economia nazionale e i profitti del capitale, dopo che pacifisti, riformisti e altri traditori hanno disarmato la classe proletaria al grido ipocrita di “No alla guerra!”. In tempo di “pace”, si massacrano i proletari sui luoghi di lavoro, con l’aggravante che, in questa vera e propria guerra quotidiana fatta passare per pace, si muore senza nemmeno poter impugnare le armi, come tanti agnelli sacrificali. E gli assassini, e tutti i loro rappresentanti istituzionali, mentre spargono lacrime di coccodrillo, calcolano i lauti profitti derivanti dall’accresciuta produttività.

L’aumento della produttività diviene così elevato ed è presentato con tanto orgoglio come fattore di civiltà e di progresso che gli incidenti e le morti sul lavoro sono considerati nient’altro che effetti collaterali della  produzione. Anche in questa guerra, i responsabili della mattanza esprimono il proprio cordoglio e i rappresentanti e i servi del potere fingono d’indignarsi e propongono... quale soluzione? Non certo la diminuzione dei ritmi di lavoro! Non certo la drastica riduzione dell’orario di lavoro! No: maggiori controlli, nuove leggi. Da far vomitare...

Per Prodi, le vittime sul lavoro sono dei martiri e, si sa, i martiri vanno santificati, a essi vanno rivolte solo preghiere. Dopotutto, i santi sono per la non-iolenza e anche i fedeli devono essere non-violenti. “Non vi ribellate, condividiamo il vostro dolore  e penseremo al da farsi”, sembra dire Prodi. E i sindacalisti, novelli popi Gapon, il Primo Maggio vanno in processione a presentare una supplica al potere, perché intervenga a por fine alle lacrime dei lavoratori che piangono i loro compagni morti. E dimenticano (?) di proporre ai lavoratori la lotta per imporre la diminuzione dell’orario di lavoro e dei ritmi di lavoro. Si scagliano indignati contro quei “padroni cattivi” e si appellano alle istituzioni e ai “governi amici”, o agli “amici del governo”, perché facciano... che cosa?

Di fronte alla mattanza di cui è responsabile la borghesia mondiale, e che vede l’uccisione di centinaia di migliaia di proletari sul lavoro ogni giorno (in Italia, oltre 3 al giorno); di fronte ai milioni di morti proletari per malattie professionali, chi è l’assassino in tempo di pace, non certo migliore di quello dei tempi di guerra? Di fronte a tutto ciò, i proletari non possono non nutrire la rabbia e l’odio più smisurato per la “razza padrona”.

Ma quest’odio va organizzato. Non si tratta né di lanciare anatemi né di cercare l’immediata vendetta. Tanto meno ci si può appellare al senso di responsabilità e dovere delle istituzioni che rappresentano e difendono la “razza padrona”: capi di stato, capi di governo, parlamentari, giudici, sindacalisti tricolori e sbirraglia varia.

Il loro cordoglio, l’interessamento mediatico che cresce di giorno in giorno, la loro ipocrisia (quella del carnefice che si... dispiace delle proprie carneficine), accrescono il nostro odio di classe. Non suppliche, dunque, ma ritorno alla lotta decisa per la riduzione drastica dell’orario di lavoro, per la difesa e il miglioramento delle condizioni di lavoro, per la diminuzione dei ritmi di lavoro. Solo tornando a difendersi su un piano di classe, con obiettivi e metodi di classe, sarà possibile tornare a creare quel fronte di lotta capace di imporre al padronato e al suo Stato la salvaguardia anche minima della condizioni di vita e di lavoro dei proletari; e quindi – come ci ha insegnato tutta la teoria e la tattica comuniste – di ricreare quel fronte di lotta capace, in presenza delle condizioni oggettive favorevoli e sotto la guida del partito rivoluzionario, di scontrarsi viso a viso con lo Stato che difende il potere borghese, d’infrangerlo e di prendere noi, finalmente, il potere.

In ogni fenomeno, per far cessare l’effetto bisogna rimuovere la causa. E la causa degli incidenti sul lavoro, del massacro continuo di proletari, è l’esistenza stessa del modo di produzione capitalistico fondato sul profitto, sulla concorrenza, sulla competizione e sull’estrazione di plusvalore dal lavoro dei proletari, sull’esigenza quotidiana e inaggirabile di aumentare il saggio di profitto.

Dobbiamo dare forma al nostro odio di classe, dobbiamo dare alla borghesia la risposta più efficace, diffondendo ciò di cui i borghesi e i loro Stati, i loro manutengoli di ogni risma, i loro becchini, carnefici e sbirri, hanno maggior terrore: il comunismo.

E se l’attività principale della borghesia consiste nell’impedire o cercare di ostacolare l’esistenza del partito di classe del proletariato, la risposta più efficace da dare alla borghesia, per  vendicare i nostri compagni di classe assassinati, è assicurare l’esistenza e il radicamento internazionali del partito rivoluzionario, che solo potrà assicurare la vittoria della rivoluzione proletaria, quando le condizioni storiche renderanno possibile e necessario l’assalto al cielo.

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°03 - 2007

 

 

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