DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

A quanto pare, la parola preferita dall’ideologia dominante in questi ultimi tempi è “emergenza”, con numerose variazioni sul tema, del tipo “allarme”, “pericolo”, “rischio”, ecc. “Emergenza immigrati”, “emergenza rom”, “emergenza cinesi”, “emergenza clima”, “emergenza terrorismo”, “emergenza rifiuti”, “emergenza droga”, “emergenza giovani”, “emergenza famiglia”, “emergenza lavoro”... Ogni aspetto della società del capitale che non corrisponda a una visione idilliaca (e del tutto irreale, metafisica) di “ciò che si vorrebbe” (ma non è) si trasforma immediatamente in “emergenza”. Così facendo, l’ideologia dominante ci dice apertamente: “la società del capitale è la società della guerra di tutti contro tutti, della miseria e della fame, dell’instabilità e degli squilibri, dell’infelicità e delle nevrosi diffuse, dei problemi sociali insoluti e insolubili, delle tensioni crescenti”... I comunisti lo sanno, da quando si sono formati politicamente sul Manifesto del Partito Comunista (1848), in cui il quadro della società capitalistica sembra scritto oggi.

Quest’insistenza sull’“emergenza” risponde alla necessità da parte della società del capitale di creare un vero stato di psicosi collettiva, favorevole all’introduzione di misure sempre più capillari di militarizzazione della vita sociale. In ciò si dimostra in pieno il carattere della “democrazia blindata” uscita dalla seconda guerra mondiale, che ha ereditato la sostanza dei regimi nazi-fascisti: la creazione di una dittatura col consenso, la forma più adatta di governo per l’imperialismo contemporaneo.

Sta al centro dell’analisi materialista dello Stato (definitivamente sistematizzata da Marx-Engels e Lenin) il fatto che, in ogni società divisa in classi, la classe dominante non possa far altro, per mantenere il proprio potere, che esercitare la propria dittatura sulle classi dominate. Scriveva Lenin, in Stato e rivoluzione (1917), riprendendo l’analisi di Marx ed Engels: “Lo Stato è il prodotto e la manifestazione degli antagonismi inconciliabili tra le classi. Lo Stato appare là, nel momento e in quanto, dove, quando e nella misura in cui gli antagonismi di classe non possono essere oggettivamente conciliati. E, per converso, l’esistenza dello Stato prova che gli antagonismi di classe sono inconciliabili” [1].

Nel corso dei secoli, il dominio borghese si è espresso in forme diverse, ma è sempre stato, nella sua sostanza, una dittatura. La forma democratica (anch’essa più volte trasformatasi nel tempo) non fa altro che portare, proprio per l’inganno su cui si basa, alle vette più alte questa sua dittatura. Sempre Lenin, nel testo ricordato prima: “La repubblica democratica è il migliore involucro politico per il capitalismo; per questo il capitale, dopo essersi impadronito [...] di questo involucro – che è il migliore – fonda il suo potere in modo talmente saldo, talmente sicuro, che nessun cambiamento, né di persone, né di istituzioni, né di partiti nell’ambito della repubblica democratica borghese può scuoterlo”.

In particolare, come si diceva sopra, le “democrazie” uscite vittoriose dal secondo macello mondiale si sono impregnate (e non potevano far altro: non di scelta si tratta, ma di leggi materiali) della sostanza fascista dei regimi sconfitti, perché questa è la sostanza del dominio borghese nell’epoca dell’imperialismo. Gli Stati Uniti, i “liberatori democratici” di ieri, ne sono l’esempio migliore, con un apparato militare-poliziesco-carcerario-repressivo impressionante, con la stretta integrazione della finanza e della politica, con un interventismo economico statale che solo una ridicola e demagogica propaganda cerca di far passare per inesistente. Ma lo stesso vale, sia pure in maniera diversa, per tutto il mondo capitalista, a est come a ovest, a nord come a sud, che sempre più assomiglia a un’enorme caserma, con annessi carcere, manicomio e pene alternative.

Questa tendenza irreversibile (che noi abbiamo analizzato in numerosi studi, pre- e post-fascismo) [2] si fa ancor più acuta nei periodi di particolare crisi del capitale, come quello apertosi a metà anni ’70 – più acuta, si badi bene: la “dittatura democratica” si esercitava pienamente anche negli anni ’50 e ’60, come dimostrano le parecchie decine di proletari caduti sul campo della difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro (si pensi, limitandoci alla sola Italia e solo ad alcuni esempi, ai morti di Reggio Emilia, ai fatti di piazza Statuto, ad Avola e Battipaglia... ).

La classe al potere sa bene che “crisi economica” può voler dire “crisi sociale”, anche se la derivazione della seconda dalla prima non è mai così immediata e meccanica. Sa bene che la classe dominata non subirà eternamente e in maniera passiva il graduale e violento peggioramento della propria situazione, il taglio progressivo delle “garanzie” strappate con la lotta, la riduzione dei salari e l’aumento degli orari, l’aggravarsi del carico e al tempo stesso della precarietà del lavoro. Sa bene che dall’inasprirsi della violenza esercitata quotidianamente sulla classe dominata (nel luogo di lavoro o di non-lavoro, nella routine dei rapporti sociali) può scaturire la “pazza idea” di restituire violenza alla violenza, e (peggio ancora) di farlo in maniera organizzata, e forse anche, in date condizioni (orrore!), finalizzata all’abbattimento della sua dittatura di classe. Sa bene tutto ciò, perché esercita il proprio potere dittatoriale da alcuni secoli e ha una certa esperienza in materia. E dunque si premunisce.

Così, s’intrecciano nel dominio dittatoriale della borghesia misure attuali (che fanno sentire fin da ora il proprio pugno di ferro) e misure preventive (che pongono le premesse per farsi sentire al momento opportuno): e ciò equivale – e lo sosteniamo da ben più di mezzo secolo – a una progressiva, capillare militarizzazione della vita sociale, alla criminalizzazione anche del più piccolo accenno d’insofferenza (non diciamo nemmeno di ribellione), all’irrigidimento e miglioramento di tutte le strutture poliziesche, a una tendenza progressiva verso un esecutivo sempre più forte, attivo ed efficiente – per l’appunto, democrazia blindata, dittatura borghese da tempo di pace.

A ciò si accompagna un’autentica campagna ideologica mirante a imbottire i crani con tutta una paccottiglia della peggior specie su “quant’è bello il mondo del capitale e quanto sono cattivi gli orchi che non lo amano”. Scrivevamo proprio in “Forza, violenza, dittatura nella lotta di classe” (1946-48): “le forze di ingannatrice mobilitazione delle opinioni della massa nel senso che interessa il ceto privilegiato sono, nella società capitalistica, molto più potenti che in quelle pre-borghesi. Scuola, stampa, oratoria pubblica, radio, cinema, associazioni di ogni specie, rappresentano mezzi di un potenziale centinaia di volte più forte di quelli a disposizione delle società dei secoli passati. In regime capitalistico il pensiero è una merce, e lo si produce su misura impiegando sufficienti impianti e mezzi economici alla sua fabbricazione in serie. [...] Questo fattore sociale della manipolazione dall’alto delle idee, che va dalla falsa notizia [...] fino alla critica e all’opinione bell’e fatta, non deve sembrare di poco peso. Esso si inquadra nella massa delle violenze virtuali, che cioè non prendono l’aspetto di una imposizione brutale con mezzi coercitivi, ma sono tuttavia risultato ed esplicazione di forze reali, che deformano e spostano situazioni effettive” [3].

Questa “violenza virtuale” (parte integrante e necessaria della “democrazia blindata”) è ottenuta in vari modi diversi: da un lato, esasperando i motivi di ansia collettiva, facendo sentire il singolo individuo in balia di forze del “male” assolute e metafisiche, immettendolo per l’appunto in uno stato di “emergenza continua”; dall’altro, indirizzando ansie e paure contro obiettivi facilmente individuabili come i “malvagi” (lo straniero, il marginale, il violento, il ribelle, ecc.); dall’altro ancora, con una mobilitazione generale a favore di una “pace sociale” che tanto più viene presentata come assoluto bene superiore quanto meno esiste nel mondo borghese (che al contrario, ora dopo ora, accumula disordine, violenza, insoddisfazione, nevrosi).

Non è un caso dunque che – mentre le città si coprono di telecamere a circuito chiuso, le pattuglie di piedipiatti occupano militarmente strade e stazioni e si sottoscrivono “patti cittadini” all’insegna della “legge e ordine” – si moltiplichino in maniera impressionante (e quasi caricaturale) i telefilm che presentano gli sbirri di ogni tipo come i “salvatori della patria”, i “bravi ragazzi” da ammirare e imitare, che ogni padre vorrebbe come propri generi e ogni nonno come propri nipoti. Non è un caso che, mentre si esalta e santifica la democrazia facendone una pura questione di legalità, si punta subito il dito su qualunque manifestazione di insofferenza e, con l’aiuto di scribacchini più o meno abili, si costruisca un vero e proprio “cordone sanitario” intorno anche solo ai nomi di “comunista” e di “comunismo” insozzandoli di ogni calunnia, falsità e ignoranza bieca (e questo, va detto, grazie alla complicità ormai quasi secolare dello stalinismo, con i suoi figli, nipoti e pronipoti, colpevole di aver tutto ribaltato del comunismo, nonché grazie al valido contributo di qualche “utile idiota” che al momento opportuno sempre si trova, e se non si trova s’inventa). Non è un caso che, nella fuffa dei discorsi politici come nella melma del giornalismo corrente, a dominare sia soprattutto il concetto di una nazione che sta al di sopra delle parti, una sorta di Madonna che stende il proprio amorevole mantello su tutto e su tutti e che dunque va difesa a oltranza da chiunque ne metta in dubbio la verginità o addirittura attenti a essa. Non è un caso che sindacati e partiti, che a parole (e chi ancora crede a parole ormai svuotate di ogni sostanza è un autentico gonzo) si propongono come difensori dei lavoratori, si mostrino poi i più accaniti, carogneschi e vampireschi sostenitori dello status quo, del “mondo come è”, arrivando – pur di mostrarsi fedeli servitori dello Stato – alle più spregevoli delazioni e intimidazioni nei confronti di chi agisce per difendere anche solo i propri interessi immediati.

Chi non veda in tutto ciò una dittatura (mascherata, se non ancora aperta: ma proprio perciò più sottile ed efficace) o è un inguaribile sognatore o è uno spregevole traditore dei proletari. Starà a questi ultimi difendersi dunque dalla “dittatura democratica”, non invocando un impossibile ritorno a forme più liberali e “democratiche” di vita associata, ma comprendendo che il girone infernale dell’inganno giocato sulla loro pelle va distrutto alla radice. Lo potranno fare riprendendo la via della lotta di classe più ampia e determinata, senza farsi distrarre dalle sirene dei falsi amici, senza lasciarsi condizionare dalle falsità e dalle manipolazioni, senza farsi intimorire dalle provocazioni e dalla repressione. Lo potranno fare riconoscendo la necessità urgente di allargare ogni fronte di lotta, di superare le divisioni artificiali che il capitale non smette di creare, di organizzarsi stabilmente contro i suoi attacchi e le sue tecniche disgregatrici, di condurre battaglie che oggi possono essere solo di difesa ma che devono preparare al contempo il terreno (pratico e politico) per poter passare all’attacco, quando le condizioni oggettive e soggettive lo permettano e lo richiedano.

In tutto ciò, i proletari più combattivi e più consapevoli dei compiti complessi di questo lungo e accidentato percorso di ripresa classista comprenderanno soprattutto la necessità improrogabile di organizzarsi nel partito rivoluzionario – il solo che possa guidarli verso l’attacco contro la marcia società del capitale, la sua “dittatura democratica”, il suo Stato poliziesco, verso la presa violenta del potere che infranga tutte le strutture di dominio diretto e indiretto della classe dominante, verso l’instaurazione della propria dittatura di classe esercitata in nome della stragrande maggioranza, come necessario ponte di passaggio verso la società senza classi, verso il comunismo.

                                                                                                                                                             Partito Comunista Internazionale
                                                                                                                                                            (il programma comunista n°03 - 2007)

 

[1] Lenin, Stato e rivoluzione, Cap.3: “Lo Stato, strumento di sfruttamento della classe oppressa”.

[2] Si vedano i  nostri testi degli anni 1947-1953, e in particolare “Forza, violenza, dittatura nella lotta di classe”.

[3] In Partito e classe, Edizioni Il programma comunista, 1972, pp.90-91

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